Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28566 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28566 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
Festivo NOME nata a Monte di Procida il 20/11/1931, avverso l’ordinanza del 24/02/2025 della Corte di appello di Roma.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Cons. NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Dr. NOME COGNOME che ha conclus per l’inammissibilità del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con ordinanza in data 24/02/2025, la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile la richiesta di revisione della sentenza n. 4753 emessa dalla Corte di appello di Napoli in data maggio 2007 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, con la quale quest’ultima veniva condannata in contumacia in relazione ai reati di cui agli articoli 20 lettera c) I. 47/1985, 20 I. 64/1964, 163 d. Igs. 490/1999 e 734 cod. pen. commessi in Monte di Procida, INDIRIZZO.
Avverso detta ordinanza propone ricorso la Festivo.
2.1. Con un primo motivo lamenta vizio di motivazione in relazione alla deduzione della prescrizione maturata durante il giudizio di cognizione, peraltro già eccepita dinanzi ai giudi appello, contrariamente a quanto asserito dall’ordinanza impugnata.
2.2. Con un secondo motivo lamenta mancanza di motivazione in relazione alla asserita mancanza del requisito della «novità» della prova dedotta con l’istanza di revisione.
La Corte di appello ritiene erroneamente che la nuova prova dedotta (ossia l’intervenuta prescrizione dei reati per effetto dell’erronea sospensione del corso della prescrizione dispos dal giudice di primo grado per consentire la procedura di condono, posto che l’immobile abusivo non era condonabile) non aveva la forza di disarticolare il percorso logico della sentenza condanna.
La prova nuova (in quanto non acquisita nel presente giudizio), ossia l’attestazione de Comune di Monte di Procida della incondonabilità del manufatto e della assenza di procedure di condono in atti relative all’immobile in parola, è decisiva, e ciò indipendentemente da circostanza che il provvedimento del giudice sia stato determinato da fatto (in ipotesi anc doloso) dell’imputato.
2.3. Con un terzo motivo lamenta travisamento della prova rispetto al motivo della sospensione del procedimento e della prescrizione all’udienza del 9 giugno 2004, posto che il giudice ha sospeso proprio alla luce della legge sul condono, che però non era applicabile in quanto l’opera non era condonabile.
2.4. Con il quarto motivo denuncia violazione degli articoli 630 e 631 cod. proc. pen., quanto erroneamente la Corte di appello di Roma ha erroneamente ritenuto l’istanza di revisione configurare in realtà una impugnazione tardiva.
Nelle sue conclusioni il P.G. ritiene che il ricorso sia inammissibile, per le ragioni di ben espresse dalla Corte territoriale. In particolare, ritiene pertinente condividere i ri giurisprudenziali ivi indicati (fra cui Sez. 1, n. 8250 del 14/12/18, Rv. 274919; Sez. 3, n. 4 del 28/10/10, Rv. 248726; Sez. 5, n. 37268 del 15/06/10, Rv. 248636; Sez. 1, n. 6304 del 27/11/96, Rv. 206449).
Ritiene anche utile segnalare che l’accertamento relativo alla sussistenza e alla natura dell violazioni edilizie e alla loro condonabilità è proprio l’oggetto dell’accertamento penale ch consolida con la sentenza; che la natura permanente dei reati oggetto della condanna vanifica il fondamento del ricorso; che l’attestazione della sottoposizione al vincolo paesaggistic ambientale prodotta quale “nuova prova” coincide con il contenuto dell’addebito sub d) e dunque non costituisce prova nuova; che l’ipotesi del verificarsi della prescrizione è stata esamina valutata nel giudizio di condanna.
In data 10 giugno 2025, l’Avv. NOME COGNOME per l’imputato, deposita memoria di replica in cui contesta le conclusioni del P.G. e insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Come correttamente evidenziato dall’ordinanza impugnata, il processo di merito fu sospeso su richiesta della difesa motivata dalla paventata adesione al condono.
Questa Corte ritiene pacificamente che, in tema di prescrizione del reato, la sospensione del procedimento e il rinvio o la sospensione del dibattimento comportano, senza necessità di un provvedimento formale, la sospensione dei relativi termini ogni qualvolta siano disposti p impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta e sempre che l’una o l’altro non siano determinati da esigenze di acquisizione della prova o dal riconoscimento di u termine a difesa (Sez. 3, n. 23179 del 16/06/2020, COGNOME, Rv. 279861 – 01; Sez. 4, n. 40309 del 04/10/2007, Impero, Rv. 237783 – 01; Sez. 5, n. 12453 del 23/02/2005, COGNOME, Rv. 231694 – 01).
Non vi è dubbio alcuno pertanto che, promanando la richiesta di sospensione dalla difesa, correttamente il giudice, nell’accordare il rinvio fino al termine ultimo previsto dalla norm sul condono, ha sospeso i termini di prescrizione dei reati.
Le circostanze che tale procedura non sia stata (dolosamente o meno) attivata, ovvero che l’abuso non fosse suscettibile di condono, restano pertanto sullo sfondo e non consentono in alcun modo di colorare la vicenda in modo favorevole all’imputato.
Va, conseguente, negato valore di «novità» alla prova dedotta, che altro non è che un (tardivo) tentativo di rimettere surrettiziamente in discussione il giudicato, come correttame evidenziato dall’ordinanza impugnata.
Le predette considerazioni consentono di ritenere assorbiti, nel senso dell’inammissibilità tutti i residui motivi di censura.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia propos il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata (in ragione della natura palesemente dilatoria e,
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comunque, a dir poco avventata, dell’impugnazione, che rischia di pregiudicare – per il crescente impegno che comporta delle limitate risorse dell’apparato giudiziario, con conseguente
dilatazione dei tempi delle decisioni – la possibilità di corrispondere alla domanda di gius
«entro un termine ragionevole», come prescritto pur dall’art. 6, comma 1, CEDU) in euro
5.000,00; v., ex multis,
Sez. 3, n. 32493 del 03/07/2023, COGNOME, n.m.).
La condanna al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 616 cod. proc. pen., trova infatti il suo fondamento nel principio di «responsabilità processuale» e ha caratt
discrezionale, in funzione dell’apprezzamento dei profili di «colpa» ravvisabili a carico della p privata per aver presentato un’impugnazione temeraria, ovvero connotata da avventatezza,
superficialità, o finalità meramente dilatorie (Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267
– 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 02/07/2025.