Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8590 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8590 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 09/07/1982
avverso l’ordinanza del 21/08/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette/s22.ttte le conclusioni del PG GLYPH 2 x,~’ ,r ),5,03h ( IACAPA’
udito il i ensore
RITENUTO IN FATTO
1.11 ricorso è presentato, nell’interesse di COGNOME, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Torino del 21/8/2024, che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza della Corte di Assise di Appello di Genova, irrevocabile il 13.7.2021 – confermativa della pronuncia del G.U.P. di Genova n.437/2019 – ritenendo l’inidoneità delle prove addotte a comportare la rimozione de giudicato.
1.2.Esso deduce, con l’unico motivo articolato, la violazione degli artt. 634 e 636 cod. proc, pen., nonché la manifesta illogicità della motivazione. In particolare, lamenta la erronea valutazione circa la non ammissibilità della richiesta, sotto il profilo della manifesta infondatezza.
Rileva che la sopravvenuta promessa di una confessione tesa a scagionare la COGNOME da parte del coimputato COGNOME, esecutore materiale dell’omicidio del marito della predetta, non può che avere un peso specifico nell’economia valutativa del compendio probatorio, travolgendo, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato.
Nella prospettazione difensiva la sinergica lettura dei nuovi elementi addotti dalla condannata, costituiti non solo dalla promessa di confessione dell’esecutore materiale ma anche dall’apporto dichiarativo della stessa COGNOME, prima reso impossibile dalle sue condizioni di salute, è oggettivamente idonea a dar luogo ad una pronuncia di proscioglimento, e la Corte territoriale ha violato la legge nel negare che tali elementi rivestissero il carattere di novità idonea ad incidere sul quadro probatorio preesistente.
2.11 Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso, per iscritto, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.Innanzitutto il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 634 cod. proc. pen. sotto il profilo della corretta applicazione dei principi più volte affermati dal giurisprudenza in materia di manifesta infondatezza della richiesta di revisione, secondo cui integra la manifesta infondatezza l’evidente inidoneità delle ragioni ad essa sottese a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, restando riservata
alla fase del merito ogni valutazione sull’effettiva capacità delle allegazioni a travolgere anche nella prospettiva del ragionevole dubbio il giudicato. In buona sostanza, il ricorso si duole della mancata spiegazione da parte della Corte territoriale del motivo per cui le prove nuove non sarebbero idonee ad intaccare il quadro probatorio, posto che l’ordinanza impugnata si limiterebbe soltanto ad affermarlo senza illustrare le ragioni di tale convinzione.
Il ricorso nell’impostare in tali termini la propria doglianza non considera che in realtà la decisione di inammissibilità della Corte di appello si fonda soprattutto sulla riscontrata mancanza del requisito di “prova nuova” in relazione agli elementi addotti a sostegno dell’istanza di revisione.
Evidenzia, innanzitutto, la Corte di merito che le nuove prove nel caso di specie consisterebbero in una lettera inviata nel 2022 alla condannata da NOME COGNOME condannato anch’egli, in concorso, per l’omicidio pluriaggravato di NOME COGNOME, marito della ricorrente; in una memoria a firma della condannata; nell’audizione del dottor NOME COGNOME del Serd di Lavagna e dell’agente di polizia penitenziaria del carcere di Vercelli, soprannominata dalle detenute “occhi blu”.
Osserva la Corte di appello che la condannata, che nel corso del procedimento non aveva mai reso alcuna dichiarazione, avrebbe inteso ora fornire la propria versione del fatto con un memoriale, laddove è pacifico che le dichiarazioni dell’imputato non costituiscono di per sé una prova. Ha aggiunto che in ogni caso la versione dei fatti fornita dalla ricorrente nel memoriale a distanza di molti anni dai fatti non è affatto nuova né concerne circostanze anche solo ipoteticamente idonee ad incidere sul giudizio di responsabilità.
Quanto alla lettera del COGNOME, la cui condotta ed il cui rapporto con la COGNOME sono stati analiticamente descritti nelle sentenze di merito, neppure può attribuirsi – si osserva nell’ordinanza impugnata – alla sua promessa di “confessione”, dal contenuto tale da scagionare la compagna, dignità di nuova prova nell’ambito del procedimento penale in argomento che ha visto il COGNOME rendere nel tempo lunghe e diverse dichiarazioni sui fatti – a fronte dì un quadro probatorio che univocamente lo acclarava quale esecutore materiale dell’omicidio, indipendentemente da una sua ammissione al riguardo, su istigazione della COGNOME che ora si vorrebbe scagionare attraverso aspetti in parte già proposti.
, hfulla di utile aggiunge, ai fini che occupano, secondo la compiuta e logica ricostruzione svolta nel provvedimento impugnato, la richiesta di testimonianza del medico del Serd che sarebbe stato presente nel momento in cui la COGNOME apprendeva da tale COGNOME che il marito era stato ferito, e dell’agente di polizia penitenziaria che avrebbe presenziato ad una chiamata del Febbraio 2022 tra i due
condannati, decidendo dì interromperla allorquando si accorgeva della reazione avuta dalla COGNOME ( che assume nel memoriale di essere stata, nel frangente, minacciata dal COGNOME che le avrebbe intimato di non rendere alcuna dichiarazione)
Afferma la Corte territoriale che in entrambi i casi non si tratta di alcuna nuova prova e che in ogni caso l’approfondimento istruttorio richiesto non apporterebbe alcun elemento idoneo a scalfire la pronuncia di condanna che ha approfonditamente ed accuratamente tratteggiato ì ruoli dei condannati e le loro rispettive personalità sulla base di elementi indiziari molto solidi e ampiamente riscontrati, soffermandosi anche su aspetti e momenti della giornata del delitto che oggi la condannata chiede di interpretare in diverso modo (il riferimento è a tutto quanto accertato con le sentenze di merito in ordine ai rapporti tra la COGNOME ed il COGNOME e, più nello specifico, anche con riferimento alla stessa fase di esecuzione dell’omicidio perpetrato dal COGNOME, su istigazione della COGNOME, per ragioni di tipo economico, mentre la COGNOME si trovava a casa a tessere ordito dimostrativo della sua estraneità al fatto omicidiario).
Estraneità al fatto che, in buona sostanza, la difesa vorrebbe, ora, dimostrare attraverso le dichiarazioni – tardive – degli stessi condannati ed in particolare dell COGNOME, limitandosi a supportarle attraverso possibili dichiarazioni di terzi che nell’ottica difensiva dovrebbero confortare l’ipotesi secondo cui la ricorrente non sapeva nulla dell’omicidio, deciso ed eseguito da altri, e sarebbe stata minacciata dal COGNOME a non riferire circostanze utili al suo proscioglimento.
È invero inammissibile la richiesta di revisione che, senza allegare elementi probatori nuovi e specificatamente indicati, si sostanzi nella domanda di procedere all’esame delle persone imputate in procedimenti connessi ovvero di testimoni sulla base della ipotetica possibilità che gli stessi, se escussi nel giudizi di revisione, possano rendere dichiarazioni favorevoli al condannato. (Sez. 1, n. 6897 del 05/12/2014, dep. 17/02/2015, Rv. 262484 – 01, in motivazione, questa Corte ha evidenziato che le dichiarazioni poste a base dell’istanza di revisione devono preesistere alla sua presentazione per consentire al giudice adito la valutazione preliminare di ammissibilìtà prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., in relazione all’art. 633, comma primo, del medesimo codice); e, nel caso di specie, le richieste di escussione dell’agente di polizia penitenziaria, neppure identificata, e del medico del Serd si risolvono addirittura in mere istanze di tipo esplorativo che traggono spunto dalla stessa prospettazione della parte ricorrente.
Si è altresì già precisato che, quando l’elemento nuovo sia costituito da dichiarazioni rese da un soggetto precedentemente non esaminato – ma il discorso non muta allorquando si tratti di soggetto che non abbia inteso rendere, per
qualunque motivo, dichiarazioni, come nel caso di specie la COGNOME – rimane circoscritta nel perimetro della manifesta infondatezza la valutazione, anche dettagliatamente e approfonditamente motivata, in ordine alla intrinseca affidabilità di quel soggetto ed alla plausibilità di quanto da lui dichiarato, a stregua di quanto già obiettivamente accertato e non più revocabile in dubbio, rientrando anche una tale valutazione nell’ambito del controllo sulla astratta idoneità della nuova prova a comportare una rimozione del giudicato (cfr. Sez. 1, n. 4126 del 13/10/1993, Geri, Rv, 195611).
E tale principio è vieppiù valido quando, come nel caso in esame, le dichiarazioni liberatorie provengano da un coimputato, già condannato per il medesimo reato, che abbia nel processo già reso dichiarazioni ritenute non credibili: le nuove dichiarazioni vanno a maggior ragione scrutinate, per il profilo dell’attendibilità del dichiarante, alla stregua di elementi esterni che consentano anche di superare il precedente vaglio di inattendibilità, laddove il ricorso in scrutinio nulla di specifico argomenta al riguardo pur trattandosi di profilo che involge la prova nuova e la sua idoneità a scalfire il quadro probatorio cristallizzato nel giudicato.
Indi, conclude correttamente la Corte di appello affermando, per un verso, che nel caso di specie gli elementi addotti nell’istanza di revisione non sono idonei ad integrare “prova nuova”, con la conseguenza che la richiesta di revisione si risolve perlopiù in una contestazione della valutazione delle prove svolta nei giudizi di merito sulla base di aspetti privi di effettiva capacità di ribaltare determinazioni assunte dal giudice di merito, risolvendosi nella proposizione di una rilettura e di una rivisitazione della piattaforma probatoria già valutata anche nei profili personologici dei condannati; laddove una prova, perché possa dirsi effettivamente “nuova”, deve essere tesa ad introdurre elementi di fatto diversi da quelli già presi in considerazione nel precedente giudizio e non soltanto a sollecitare la rivalutazione di essi. Conclude altresì, osservando, per altro verso, che le considerazioni svolte dalla difesa nell’istanza dì revisione siano solo un tentativo di ottenere un terzo giudizio di merito, trattandosi di questioni già ampiamente affrontate dai giudici di primo e secondo grado con motivazione giudicata ineccepibile dal giudice di legittimità.
Sotto quest’ultimo profilo occorre porre in luce come, secondo il costante insegnamento di questa Corte, l’istituto della revisione non si configura come un’impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti del giudicato dando priorità all’esigenza
giustizia sostanziale rispetto a quella di certezza dei rapporti giuridici: da ciò deriv che l’efficacia risolutiva del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o una inedita disamina del deducibile (il giudicato, infatti, copre entrambi), bensì l’emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli del definito processo (Sez. 3, n. 2940 del 20/09/1995, Rossi, Rv, 203112). L’istituto della revisione è, invero, diretto a che al giudicato sia sostituita u nuova, diversa pronuncia, all’esito di un nuovo, diverso, giudizio; ma, perché il giudizio sia “nuovo”, esso deve necessariamente fondarsi su elementi di indagine diversi da quelli compresi nel processo conclusosi con il giudizio precedente (Sez. U, n. 6019 del 11/05/1993, COGNOME ed altri, Rv.193421): sicché è inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull’acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio, ovvero su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee “íctu ()culi” a determinare un effetto demolitorio del giudicato (Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, Rv, 271071).
2.A fronte delle ragioni suesposte, il ricorrente lamenta genericamente un difetto di motivazione, spingendosi per altro verso in argomentazioni di puro merito, e comunque prive di stringente conclusività decisiva ai fini che occupano, senza confrontarsi adeguatamente con il contenuto dell’ordinanza impugnata e senza addurre quali circostanze delle dichiarazioni °stese o eventualmente da acquisire siano tali, per decisività, da porre in crisi l’articolata ricostruzi recepita nelle pronunce di merito.
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto e, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 19/12/2024.