Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8878 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8878 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORRE DI RUGGIERO il 01/01/1945
avverso l’ordinanza del 07/10/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso;
letta la memoria di replica del difensore del ricorrente, Avv. COGNOME il quale ha insistito nelle conclusioni di cui al ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 ottobre 2024, la Corte di appello di Salerno dichiarava inammissibile l’istanza di revisione proposta nell’interesse di COGNOME NOME della sentenza di condanna emessa a suo carico dalla Corte di appello di Catanzaro in ordine ai reati di usura ed estorsione.
1.1 Avverso l’ordinanza ricorre per Cassazione il difensore di COGNOME premettendo che con sentenza n.939/19 la Corte di appello di Catanzaro aveva riformato la sentenza di primo grado -che aveva riconosciuto la responsabilità di COGNOME NOME in relazione a tutti i capi di imputazione- ritenendo assorbito il reato di cui al capo F) in quello di cui al capo G), con rideterminazione della pena; che
tale sentenza era stata annullata da questa Corte (con sentenza n. 37817/20) limitatamente al trattamento sanzionatorio alla luce della diversa qualificazione data al fatto di cui al capo G), da ricondursi entro la fattispecie di cui all’art. 644 cod. pen. , dichiarando irrevocabile l’accertamento di responsabilità contenuto nella sentenza n. 939/19, pronuncia che veniva fatta oggetto di richiesta di revisione, in uno con la successiva sentenza n. 15/23 che, sulla scorta della prima, aveva statuito sulla pena, e che era divenuta definitiva a seguito di sentenza della settima sezione di questa Corte.
Ciò premesso, il difensore rileva che la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità di COGNOME si fondava sulle dichiarazioni di COGNOME NOME, sulla documentazione in atti e sui colloqui captati da COGNOME, riportati su un cd; su tale ultimo aspetto, al momento della produzione della registrazione dei colloqui, la difesa aveva subordinato il proprio consenso al una valutazione tecnica del file che confortasse la genuinità della provenienza nonché del contenuto, e il Tribunale aveva quindi disposto perizia per accertare eventuali manomissioni, che erano state successivamente escluse dal perito; tale dato risultava smentito da accertamenti tecnici eseguiti mediante l’utilizzo di più moderne tecniche (inesistenti al momento dell’espletamento dell’incarico), che avevano consentito di pervenire ad esiti oggettivi di certa manomissione pregressa alla masterizzazione da parte della persona offesa; le registrazioni risultavano essere state manipolate dalle persona offesa in data antecedente alla loro produzione, ma soprattutto in data antecedente alle dichiarazioni da questo rese dinnanzi al Tribunale, per cui la valutazione della corrispondenza tra le dichiarazioni e registrazioni da parte del Tribunale, e poi dalla Corte di appello, era errata; pertanto, la sintesi della Corte di appello di Salerno non era affatto aderente alle argomentazioni contenute nell’istanza di revisione, posto che l’istante non aveva prodotto la consulenza tecnica ‘quale novum dimostrativo dell’infondatezza della versione di NOME COGNOME, ma aveva censurato, con specifiche e moderne soluzioni tecnologiche la perizia disposta non già in merito ai contenuti delle registrazioni, ma alla loro complessiva manomissione, come risultante oggettivamente dalla nuova consulenza, e ciò con due conseguenze: 1) che i contenuti della perizia disposta dal Tribunale non potevano essere ritenuti riscontro delle dichiarazioni di COGNOME; 2) che la manipolazione era sintomatica della prova nuova introdotta con l’istanza di revisione.
Il difensore rileva che il travisamento iniziale del novum revisionale aveva portato i giudici di appello ad una valutazione di merito dei contenuti delle tracce allo scopo di saggiare la fondatezza o meno dell’attendibilità di COGNOME mentre il novum dell’istanza di revisione mirava a dimostrare non la conformità o meno dei contenuti delle registrazioni alla tesi accusatoria, ma a dimostrare in maniera
incontrovertibile che i file erano stati manipolati da COGNOME prima del deposito in Tribunale, in modo da inficiarne la validità a fini probatori e così pure censurare l’attendibilità della persona offesa, che aveva usato registrazioni manomesse per combinarle con le proprie dichiarazioni; inoltre, la Corte di appello aveva sviluppato un confronto tra le tesi dell’accusa e della difesa propria del giudizio rescissorio e non già del giudizio rescindente, che avviene de plano con una valutazione dell’ammissibilità dell’istanza, mirando a verificare se la stessa sia stata proposta nei casi e con l’osservanza delle norme di legge, nonché la non manifesta infondatezza; vi era poi stato un evidente travisamento nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto che il perito della difesa aveva ‘semplicemente prospettato la possibilità di tagli e cancellazioni’ quando invece tagli e cancellazioni erano stati oggettivamente riscontrati dal consulente.
1.2 Il difensore, premesso che con l’istanza di revisione erano state acquisite, in sede di investigazioni difensive, le intercettazioni disposte dall’Ufficio inquirente sulla utenza della persona offesa COGNOME NOME mai prodotte al Tribunale, eccepisce la mancanza di motivazione in quanto la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che le stesse fossero state già valutate.
1.3 Altra prova nuova, prosegue il difensore, era costituita dalla pendrive rinvenuta nell’appartamento di Azzarito, nella quale era riportata una conversazione tra imputato e persona offesa da cui emergeva un quadro del tutto incompatibile con la versione dei fatti fornita da quest’ultima.
1.4 Il difensore offre quale prova nuova la documentazione reperita in sede di investigazioni difensive, da cui risultava la falsità della causale dei prestiti riferita da COGNOME in sede di denuncia, sulla quale la Corte di appello aveva operato una valutazione che trasmodava in maniera assolutamente incomprensibile in valutazioni di merito -confondendo il giudizio sulla rilevanza della prova con la sua conducenza- e non aveva considerato che la prova nuova non riguardava affatto lo stato di bisogno di Az zarito, ma l’attendibilità della persona offesa.
1.5 Il difensore, premesso che un ulteriore profilo dedotto con l’istanza di revisione riguardava l’ammontare degli interessi richiesti e/o versati da COGNOME, compresa la circostanza che COGNOME non si era appropriato dell’immobile di Azzarito quale conseguenza degli accordi usurari, ma lo aveva acquisito a seguito dell’offerta e dell’aggiudicazione avvenuta in seno a procedura esecutiva avviata da BNL, produce, quale prova documentale mai valutata, la domanda di partecipazione alla vendita e tutta la documentazione ad essa afferente; precisa che il preliminare di vendita non era mai stato azionato da COGNOME, così come la scrittura di riconoscimento di debito sottoscritta dai coniugi; era inoltre falso che COGNOME avesse presentato la denuncia quando ancora non sapeva dell’aggiudicazione dell’immobile, avvenuta in udienza pubblica, essendo ben più
probabile che avesse posto in essere l’unica strada percorribile per evitare la perdita dell’immobile; risultavano già depositati in atti, ma mai valutati dal Tribunale prima e della Corte di appello poi, alcuni documenti che dimostravano come la denuncia per usura avesse fruttato a COGNOME dapprima la sospensione della procedura esecutiva e poi il sequestro dell’immobile in capo all’acquirente.
1.6 Il difensore segnala la sentenza con la quale questa Corte aveva annullato il decreto di sequestro conservativo disposto sull’immobile acquistato da COGNOME per omessa quantificazione degli interessi corrisposti e che erroneamente non era stata considerata prova nuova la consulenza del dottore commercialista NOME COGNOME considerato anche che nessuna ricostruzione del tasso era stata effettuata nel corso del giudizio, che nessuno degli assegni consegnati da NOME a COGNOME aveva avuto buon esito e che correttamente la consulenza non aveva inserito nel calcolo del saggio di interesse l’immobile acquistato all’asta da COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato
1.1. Preliminarmente, si deve rilevare che non poteva essere presa in esame la richiesta di trattazione dell’udienza a mezzo discussione orale, trattandosi di procedimento incardinato ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., per il quale detta forma di trattazione non è prevista; si deve poi ribadire che è inammissibile una diversa valutazione sulla rilevanza delle prove richieste nel precedente giudizio, dovendo rientrare nella valutazione le prove nuove o sopravvenute; in altri termini, ai sensi e per gli effetti dell’art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen, devono considerarsi prove nuove sia le prove preesistenti, non acquisite nel precedente giudizio, sia quelle già acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice.
Ciò premesso, quanto al primo motivo di ricorso, è vero che ‘In tema di revisione, sussiste distinzione logica-funzionale tra la fase rescindente – avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile ” ictu oculi “, da parte del ” novum ” dedotto – e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo’ (Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266810); la Corte di appello ha però, nella specie, correttamente espresso un
giudizio di manifesta infondatezza della richiesta di revisione basata sulla perizia di parte effettuata con le osservazioni contenute a pag.8 della impugnata ordinanza, nella quale si rileva, con motivazione completa e priva di contraddizioni o illogicità, che la prova nuova richiesta non aveva il carattere della rilevanza e della decisività, ambito di valutazione rientrante nel vaglio preliminare rimesso alla Corte.
1.2 Relativamente al secondo motivo di ricorso, se ne deve rilevare la sua genericità, posto che non indica quale rilevanza il nuovo dato offerto avrebbe rispetto alla struttura argomentativa delle sentenze di merito; a prescindere dal fatto del possibile equivoco della Corte sulla errata individuazione dell’allegato n.13 all’istanza di revisione, il motivo è quindi inammissibile, risolvendosi nella semplice evidenziazione di due frasi della persona offesa (riportate a pag.26 del ricorso) che non incidono in alcun modo sulla sua attendibilità, come valutata dalle sentenze di merito.
1.3 Quanto alla pendrive rinvenuta nell’appartamento di Azzarito, l’argomento era stato trattato sia a pag.13 della sentenza di questa Corte n. 37817/20 che aveva dichiarato irrevocabile l’accertamento di responsabilità, che a pag.7 della sentenza della Corte di appello del 7 marzo 2019, per cui è errata l’affermazione che si tratterebbe di prova nuova, essendo stata la stessa espressamente valutata.
1.4 Relativamente alla prova nuova consistente nella documentazione reperita in sede di investigazioni difensive, da cui sarebbe risultata la falsità della causale dei prestiti riferita da COGNOME in sede di denuncia, la Corte di appello ha risposto con la motivazione contenuta a pag.7, nella quale si evidenzia chiaramente che la documentazione viene ritenuta irrilevante per dimostrare il mendacio della persona offesa, essendo al più tale mendacio circoscritto allo stato di bisogno non all ‘ attendibilità complessiva, come compiutamente valutata nelle fasi di merito.
1.5 Quanto agli ultimi due motivi di ricorso, nella sentenza di questa Corte n.37817/20 veniva evidenziato (pag.9) che non era stata proposta alcuna censura relativamente al calcolo degli interessi e del tasso soglia, per cui il ricorrente non può proporre in sede di revisione un tema mai proposto nel giudizio di merito, sul quale la Corte di appello non aveva alcun onere di motivazione; inoltre, nelle pagine da 10 a 18 della sentenza della Corte di appello del 7 marzo 2019 viene espressamente trattato il t ema dell’acquisto dell’immobile da parte dell’imputato per aggiudicazione a seguito ad asta pubblica, per cui anche in questo caso non sussiste il requisito della novità, quale prova documentale mai valutata, della domanda di partecipazione alla vendita e di tutta la documentazione ad essa afferente; il decreto di sequestro e la sospensione della procedura esecutiva
vengono menzionate dalla Corte di appello a pag.7 della sentenza del 7 marzo 2019, per cui anche in questo caso non sussiste il requisito della novità delle prove, in quanto già valutate.
In definitiva, si deve rilevare che i motivi di ricorso sono reiterativi di censure già proposte (si veda la questione sulla tempistica della denuncia, affrontata dalla Corte di appello a pag.19 della sentenza del 7 marzo 2019), e sollecitano una rivalutazione nel merito incompatibili con la fase.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 12/02/2025