Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32781 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32781 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1526/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 12/09/2025
NOME COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Sassari il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza 15/04/2025 della Corte di Appello di Roma
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 aprile 2025 la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza del 28 settembre 2011 del Gip del Tribunale di Nuoro che lo aveva giudicato responsabile, in concorso con il coimputato NOME COGNOME, dei delitti di cui agli artt. 317 e 326 cod. pen., parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 6 marzo 2014, a sua volta parzialmente annullata dalla Corte di cassazione con sentenza del 9 aprile 2015, che aveva riqualificato il fatto ascritto all’imputato già riqualificato in appello ai sensi dell’art. 319quater cod. pen. – nel delitto di cui all’art. 640, secondo comma, n. 2, cod. pen., rinviando ad altra sezione della corte d’appello per la rideterminazione della pena; in ottemperanza a tale rinvio, la Corte di Appello di Cagliari, con sentenza emessa in data 26 novembre 2015, aveva
rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni uno, giorni venti di reclusione ed euro 400,00 di multa.
La corte territoriale ha basato il rigetto dell’istanza sulla accertata carenza dei presupposti di applicabilità dell’istituto della revisione, giacché la ‘nuova prova’ posta dall’imputato a fondamento della richiesta – consistente nelle dichiarazioni di NOME COGNOME, gestore di un bar nel paese dove si erano consumati i fatti oggetto del presente procedimento, il quale, in sede di indagini difensive, aveva dichiarato di aver assistito a diversi scambi di denaro tra NOME e la persona offesa NOME NOME COGNOME, dai quali emergeva che fosse piuttosto quest’ultimo a chiedere insistentemente denaro al primo, e non il contrario – non sarebbe tale ai sensi degli artt. 630 e ss. cod. proc. pen. e, in ogni caso, risulterebbe comunque priva del carattere dell’astratta idoneità a ribaltare il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del COGNOME e costantemente confermato nell’arco dei tre gradi di giudizio, configurandosi come una mera diversa interpretazione soggettiva dei fatti di causa.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia e procuratore speciale, sulla base di un unico motivo con il quale eccepisce l’inosservanza di norme processuali in relazione agli artt. 630, 631 e 634 cod. proc. pen.
Rileva preliminarmente che avverso le sentenze di condanna pronunciate nei confronti del COGNOME era già stata proposta, in data 23 novembre 2021, una prima richiesta di revisione – con la quale era stata eccepita la mancata valutazione, da parte dei giudici di merito, di alcuni tabulati telefonici acquisiti nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini le cui risultanze apparivano discordanti rispetto alle dichiarazioni della persona offesa – dichiarata inammissibile con ordinanza n. 64 del 24 febbraio 2022.
Con la seconda istanza di revisione, a sua volta dichiarata inammissibile con l’ordinanza in epigrafe, si sarebbe inteso dimostrare come la testimonianza resa da COGNOME – soggetto, a giudizio della difesa, del tutto affidabile e privo di qualsiasi interesse personale nella vicenda – potesse offrire una differente chiave di lettura dei rapporti tra l’imputato e la persona offesa, idonea a sconfessare il racconto di quest’ultima. COGNOME aveva dichiarato, infatti, non solo di aver assistito a plurimi passaggi di denaro tra COGNOME e COGNOME – uno dei quali il giorno dell’arresto dell’imputato – tali da indurlo a pensare che fosse COGNOME a chiedere soldi al COGNOME e poi restituirglieli, piuttosto che il contrario, ma anche di aver subito l’atteggiamento minaccioso e oppositivo del maresciallo COGNOME, il quale, intimandogli di tacere e di allontanarsi, avrebbe privato le indagini di un elemento utile, se non addirittura fondamentale, per la corretta ricostruzione dei fatti.
Di conseguenza, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che, con quella prova testimoniale, si volesse offrire soltanto un diverso e meramente soggettivo punto di vista sulla vicenda, posto che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, le dichiarazioni del COGNOME, riferendo dati di fatto rimasti ignoti nel corso del processo, avrebbero consentito una più adeguata ricostruzione dei rapporti intercorrenti tra imputato e persona offesa, ed anche, in astratto, la rideterminazione dell’esito condannatorio cui erano pervenute le sentenze dei vari gradi di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per un motivo reiterativo e generico, privo della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
In via preliminare occorre rammentare che in tema di revisione, per ‘prove nuove’ rilevanti ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443 – 01).
Inoltre, con specifico riguardo alla idoneità RAGIONE_SOCIALE nuove prove a legittimare l’apertura del giudizio ex art. 630 cod. proc. pen., va ribadito che la valutazione preliminare del giudice circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base dell’asserita esistenza di una prova nuova deve avere ad oggetto, oltre che l’affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione, e, non potendo essere confinata nell’astrazione processuale, deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione, tra la prova nuova e quelle esaminate, ancorata alla realtà processuale svolta (Sez. 5, n. 18064 del 25/03/2025, R., Rv. 288137 – 03; Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, COGNOME, Rv. 281772 – 01; Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, Conti, Rv. 253437 01).
Nel caso in esame, conformemente a tali principi ermeneutici, la Corte di appello ha dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di revisione, giudicando l’impianto probatorio posto a fondamento della condanna
solido e puntuale, oltre che sorretto da un’accurata istruttoria articolatasi nei vari gradi di giudizio, e perciò non inciso dalla nuova prova allegata a sostegno dell’istanza.
In particolare, secondo la valutazione della corte di merito – del tutto immune da illogicità e dunque non sindacabile in questa sede – le dichiarazioni rese da COGNOME NOME, non costituendo altro che una differente interpretazione soggettiva dei fatti dal punto di vista del testimone, non integrerebbero all’evidenza la ‘nuova prova’ necessaria ai fini dell’ammissibilità del giudizio di revisione, e, in ogni caso, non fornirebbero comunque elementi idonei, ove provati, a ribaltare l’accertamento della condotta truffaldina posta in essere dal ricorrente, basandosi tale accertamento su una pluralità di fonti di prova, comprendenti non solo le dichiarazioni accusatorie rese da NOME COGNOME, ma anche le ulteriori deposizioni testimoniali e documentali che alle stesse hanno dato pieno riscontro.
La Corte territoriale ha, dunque, definito la doglianza difensiva in termini corretti, applicando i consolidati principi della giurisprudenza di legittimità nonché valutando correttamente tutte le circostanze in fatto che hanno caratterizzato la vicenda, sicché la motivazione dell’ordinanza impugnata non si presta ad alcuna censura in questa sede. Peraltro, con tale motivazione il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME si confronta solo apparentemente, limitandosi a reiterare il contenuto dell’istanza di revisione senza scalfire l’ iter logico-argomentativo posto dalla Corte alla base della decisione e, in particolare, senza fornire argomenti idonei a dimostrare l’effettiva rilevanza probatoria RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del COGNOME.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento ed al pagamento a favore della RAGIONE_SOCIALE, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma il 12 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME