Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25986 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25986 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CHIVASSO il 22/02/1968
avverso l’ordinanza del 25/10/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano con l’ordinanza in epigrafe ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Torino il 18/12/2019 (in parziale riforma della sentenza n. 1840/2018 emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Torino), con riferimento alla condanna di NOME NOME per i reati di cui ai capi H) (artt. 110 cod. pen., 12quinquies D.L. n. 306/1992 e 7 d.l. 152/1991) ed O) (artt. 612, primo e secondo comma, cod. pen. e 7 D.L. n. 152/1991), confermata dalla Corte di cassazione con sentenza del 23/06/2021, che aveva invece annullato con rinvio la pronuncia della Corte territoriale limitatamente ad altro reato (capo G), dal quale l’COGNOME sarebbe stato poi assolto nel giudizio di rinvio, con sentenza del 31/05/2022.
L’istanza di revisione si fondava sulle prove acquisite nel procedimento nei confronti del coimputato NOME COGNOME, celebratosi con rito ordinario e definito con sentenza del Tribunale di Torino che, in data 06/10/2021, aveva assolto il predetto dal reato ascrittogli al capo H) perché il fatto non sussiste. Ad avviso dell’istante, dalle dichiarazioni del teste COGNOME – dalle quali si evinceva che l’acquisto del bar RAGIONE_SOCIALE era stato frutto di una lecita trattativa tra lo stesso ed il COGNOME – ed altresì da testimonianze di altri soggetti (tali NOMECOGNOME COGNOME e COGNOME) era emersa una “consuetudine imprenditoriale del COGNOME” che, quale socio occulto del Pugliese, aveva anche venduto altro bar ad un cinese.
L’istanza prospettava essere così smentite le valutazioni della sentenza della Corte di Appello di Torino che avevano ritenuto fittizia l’intestazione a NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME del predetto bar Backery in Torino, perché di fatto di proprietà dell’associazione ‘ndranghetista di cui l’COGNOME era accusato di far parte, ed adduceva essere avvalorata la prospettazione difensiva anche da documenti, quali: a) l’atto notarile di risoluzione del contratto di cessione del ramo d’azienda, con il quale il bar era stato ceduto dalla società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME alla società RAGIONE_SOCIALE dì NOME COGNOME, che prevedeva una clausola di riservato dominio in virtù della quale il trasferimento della proprietà del bene ara condizionato al pagamento integrale del prezzo; b) gli estratti conto della RAGIONE_SOCIALE, in base ai quali il Tribunale aveva ritenuto provato che i pagamenti rateali erano stati preceduti spesso dall’incasso delle cambiali relative alla predetta vendita di un bar ad un cinese o da versamenti di denaro contante.
Quanto al reato dì cui all’art. 612 cod. pen., di cui al capo O), l’istanza di revisione si fondava sul rilievo che il reato di minaccia grave era divenuto perseguibile a querela della persona offesa che, avvisata di tale facoltà nel procedimento con rito ordinario nei confronti del coimputato NOME COGNOME aveva omesso di proporla, tanto che quest’ultimo era stato prosciolto per mancanza di condizione di procedibilità.
3. La Corte di appello di Milano, nel dichiarare inammissibile l’istanza di revisione, rilevava: – che le nuove prove addotte si rivelavano “ictu ()culi” inidonee a determinare l’affetto demolitorio del giudicato, non emergendo dalle testimonianze addotte alcun elemento specifico con riferimento al bar RAGIONE_SOCIALE, in quanto rivelavano solo lo svolgimento di attività imprenditoriale di compravendita e gestione di bar da parte del Taverniti; – che la documentazione nuova e la testimonianza del Pugliese in ordine alle trattative per la vendita del bar non potevano ritenersi determinanti, in quanto ben possono essere utilizzate per sottrarre un bene alla confisca non solo interposizioni fittizie, ma anche effettive intestazioni al soggetto interposto, che risulti legato all’interponente da un rapporto fiduciario, per l’amministrazione dei beni nell’interesse e secondo le direttive di quest’ultimo (Sez. 2, n. 41051 del 26/10/2011, Ferrara, Rv. 251542-01).
Soprattutto, la Corte di appello rilevava che l’istanza di revisione non si confrontava con le gravi, precise e concordanti risultanze probatorie valorizzate dalle sentenze di merito e costituite dalle deposizioni testimoniali di NOME COGNOME e NOME COGNOME e da conversazioni oggetto di intercettazioni, intercorse tra il Crea ed il COGNOME e tra l’Ursino, il Pugliese ed il COGNOME.
Infine, la Corte di appello evidenziava come lo stesso COGNOME non avesse mai sostanzialmente contestato la ritenuta natura fittizia dell’intestazione di quell’attività commerciale a vari titolari.
L’COGNOME a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’istanza di revisione, affidandolo ad un unico ed articolato motivo di impugnazione relativo al solo capo H), con il quale ha dedotto il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale, assumendo non essersi dato adeguato valore al rilievo che nel processo a carico del COGNOME era emerso che questo ha sempre svolto attività commerciale nel settore della ristorazione-bar, sicché ad avviso del ricorrente doveva ritenersi che ogni compravendita non aveva mai avuto la finalità di consentire l’elusione di misure di prevenzione.
Il ricorrente si duole anche della non adeguata valutazione delle dichiarazioni dei testimoni NOMECOGNOME e COGNOME, e contesta altresì l’assunto della Corte di Appello secondo cui sarebbe configurabile il reato di cui alla condanna anche nel caso di interposizione reale di persona, assumendo che dal procedimento ordinario a carico del COGNOME risulterebbe smentita l’ipotesi che vedeva l’COGNOME unico dominus del bar COGNOME ed unico percettore dei redditi di questo, ed il Pugliese ed il COGNOME meri dipendenti del locale, essendo invece questi risultati dotati di autonomia gestionale nel proprio interesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per aspecificità e per manifesta infondatezza, in quanto non si confronta in alcun modo con gli elementi principali posti a fondamento del provvedimento impugnato, né con il percorso argomentativo della sentenza di questa Corte di cassazione del 23/06/2021, che aveva annullato la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte territoriale nei confronti dell’Ursino solo con riferimento ad altro reato (capo G), dichiarando irrevocabile l’affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui si tratta.
Va premesso che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione in tema di revisione, non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove – dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317-01), sicché non è ammessa la revisione della sentenza di condanna fondata sugli stessi dati probatori utilizzati dalla sentenza di assoluzione nei confronti di un concorrente nello stesso reato e pronunciata in un diverso procedimento, in quanto la revisione giova ad emendare l’errore sulla ricostruzione del fatto e non sulla valutazione del fatto (Sez. 6, n. 488 del 15/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269232-01).
Come adeguatamente evidenziato dall’ordinanza impugnata, invece, la sentenza di assoluzione del COGNOME è stata esplicitamente emessa dal Tribunale di Torino sulla base del “significato di alcune intercettazioni telefoniche”, che il predetto Tribunale ha ritenuto che “non (fosse) adeguato a dimostrare la fondatezza dell’ipotesi d’accusa al di là di ogni ragionevole dubbio”. Si tratta, pertanto, non già di elementi nuovi che, per la loro affidabilità, persuasività e congruenza, in una comparazione con le prove già esaminate, siano idonee a determinare l’effetto demolitorio del giudicato, bensì di una mera diversa “interpretazione” di dati probatori, e segnatamente di intercettazioni telefoniche, ritenute inadeguate a fondare un giudizio di colpevolezza del Taverniti oltre ogni ragionevole dubbio.
Il ricorso, pertanto, non prospetta un’incompatibilità tra i fatti storici come riconosciuti nelle diverse sentenze, bensì una mera diversa valutazione dei fatti da parte di diverse autorità giudiziarie, peraltro senza nemmeno confrontarsi con gli elementi di maggior rilievo evidenziati dall’ordinanza impugnata e costituiti dalle deposizioni testimoniali di NOME COGNOME e NOME COGNOME dalle conversazioni oggetto di –
intercettazioni, intercorse tra il Crea ed il COGNOME e da quelle tra l’Ursino, il Pugliese e il COGNOME.
Tra queste, peraltro, la sentenza di questa Corte di cassazione n. 37640/2021 che ha dichiarato irrevocabile l’accertamento di responsabilità dell’Ursino in ordine alle
imputazioni di cui si tratta, ricordava esplicitamente quella nel corso della quale lo stesso
COGNOME aveva riconosciuto «il reale scopo dell’intestazione dell’attività in proprio favore, nel momento in cui, parlando con NOME COGNOME afferma:
“rischiamo che vado ad attaccarmi là, me lo sequestrano pure a me”».
In ogni caso, nell’invocare la diversa valutazione del materiale probatorio effettuata dal Tribunale di Torino nel procedimento a carico del COGNOME, il ricorso non si confronta
con le argomentazioni della Corte di appello, laddove questa ricordava come lo stesso
COGNOME avesse riconosciuto “di essersi sempre occupato, in prima persona di tutti i locali a lui riconducibili sin dal 2006, e quindi anche del locale in oggetto”, e come perfino la
citata sentenza di questa Corte di cassazione del 23/06/2021 avesse rilevato che “I’Ursino non si duole della ritenuta natura fittizia dell’intestazione di quell’attività commerciale a
vari titolari e, da ultimo, ad NOME COGNOME che sostanzialmente non contesta”.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 10 aprile 2025