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Revisione penale: l’archiviazione non è assoluzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per la revisione penale di una condanna per spaccio. Il ricorrente sosteneva che un precedente decreto di archiviazione per fatti simili dovesse impedire il processo (principio del ne bis in idem). La Corte ha stabilito che l’archiviazione non equivale a un’assoluzione e, soprattutto, che i fatti oggetto della condanna erano diversi e successivi a quelli archiviati, rendendo legittima la condanna.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revisione Penale: Il Decreto di Archiviazione Non Impedisce un Nuovo Processo

Un decreto di archiviazione può essere equiparato a un’assoluzione e impedire un futuro processo per un fatto simile? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7157 del 2024, ha fornito una risposta chiara, negando la revisione penale a un condannato che basava la sua richiesta proprio su questa premessa. La decisione ribadisce la netta differenza tra un’archiviazione e una sentenza di merito, e chiarisce i limiti di applicabilità del principio del ne bis in idem (divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto).

Il Caso: Condanna per Droga e la Scoperta di un’Archiviazione

La vicenda giudiziaria ha origine da una condanna definitiva a sei anni di reclusione per violazione della legge sugli stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/1990). L’imputato era stato condannato per una cessione di sostanze avvenuta in data 01/09/2007.

Successivamente alla condanna, l’interessato scopriva l’esistenza di un decreto di archiviazione emesso nel 2014, relativo a un diverso procedimento penale avviato nel 2007. Secondo la sua tesi difensiva, tale decreto copriva anche i fatti per cui era stato condannato, e pertanto il secondo processo non avrebbe dovuto nemmeno iniziare. Sulla base di questa “nuova prova”, presentava un’istanza di revisione penale alla Corte d’appello, che la dichiarava inammissibile. Contro questa decisione, proponeva ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la questione della revisione penale

Il ricorrente basava la sua difesa su due argomenti principali:
1. Violazione di legge e del principio ne bis in idem: Sosteneva che l’archiviazione del primo procedimento avesse creato una preclusione, impedendo al Pubblico Ministero di esercitare l’azione penale per gli stessi fatti in un secondo procedimento.
2. Vizio di motivazione: Criticava la Corte d’appello per non aver considerato che le indagini del primo procedimento, poi archiviato, includevano intercettazioni successive alla data limite indicata nel decreto stesso, sovrapponendosi così ai fatti della condanna.

In sostanza, la difesa mirava a equiparare gli effetti di un decreto di archiviazione a quelli di una sentenza assolutoria, invocando una violazione del divieto di doppio giudizio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente le argomentazioni difensive, dichiarando i ricorsi inammissibili.

Fatti Diversi, Procedimenti Diversi

Il punto cruciale della decisione risiede nella distinzione dei fatti. La Corte ha accertato che il decreto di archiviazione riguardava espressamente violazioni commesse fino al 13/07/2007. La sentenza di condanna, invece, si riferiva a un episodio specifico e distinto, avvenuto in data 01/09/2007. Non vi era, quindi, identità di fatto, presupposto indispensabile per l’applicazione del principio del ne bis in idem.

La Differenza tra Archiviazione e Assoluzione

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale della procedura penale: l’archiviazione non è un giudizio di merito. Si tratta di un provvedimento con cui il Pubblico Ministero decide di non esercitare l’azione penale (inazione), e il giudice ne prende atto. Non vi è un’assoluzione nel merito dell’accusa.

Il principio del ne bis in idem, sancito dall’art. 649 del codice di procedura penale, si applica solo quando l’azione penale è stata esercitata e si è conclusa con una sentenza irrevocabile. Nel caso dell’archiviazione, l’azione non viene esercitata, pertanto non si crea alcuna preclusione a un futuro processo per un fatto diverso, anche se scoperto nell’ambito delle stesse indagini generali.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione di inammissibilità con argomentazioni precise e stratificate. In primo luogo, ha affrontato una questione procedurale preliminare, dichiarando inammissibile un secondo ricorso presentato da un terzo avvocato, poiché i due difensori di fiducia avevano già esercitato la facoltà di impugnazione, “consumandola”.

Nel merito, il cuore del ragionamento giuridico si è concentrato sulla manifesta infondatezza della richiesta di revisione penale. I giudici hanno sottolineato che il provvedimento impugnato rispondeva adeguatamente alla tesi del ricorrente, evidenziando il difetto del presupposto fondamentale: l’identità tra il fatto “coperto” dal decreto di archiviazione e quello per cui era intervenuta la condanna. Il decreto del 2014, come risultava testualmente dalla richiesta del Pubblico Ministero, si riferiva a reati commessi fino al 13/07/2007. La condanna, al contrario, riguardava una cessione di stupefacenti avvenuta il 01/09/2007. La diversità temporale era sufficiente a escludere l’identità del fatto storico.

La Corte ha inoltre smontato l’argomentazione difensiva che tentava di estendere la portata preclusiva dell’archiviazione. Un’archiviazione, hanno spiegato i giudici, rappresenta una scelta di “inazione” da parte dell’accusa, legittimata dal giudice. Questo atto non può essere confuso con una sentenza di merito (assoluzione o condanna), che invece presuppone l’esercizio dell’azione penale. Il principio del ne bis in idem è posto a presidio del cittadino contro un duplice esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto. Se l’azione non è mai stata esercitata, come nel caso dell’archiviazione, il divieto non può operare.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di procedura penale con significative implicazioni pratiche. Innanzitutto, chiarisce in modo definitivo che un indagato, il cui procedimento viene archiviato, non acquisisce una sorta di immunità per fatti simili commessi in momenti diversi. La preclusione processuale opera solo sul medesimo fatto storico, non su una generica condotta criminale.

In secondo luogo, la decisione riafferma la natura e la funzione del decreto di archiviazione: non è un’attestazione di innocenza, ma una constatazione dell’impossibilità o inopportunità di procedere con l’azione penale in quel momento e sulla base degli elementi disponibili. Di conseguenza, la scoperta di un’archiviazione non può, di per sé, costituire una “nuova prova” idonea a fondare una richiesta di revisione penale per una condanna relativa a un fatto distinto.

Infine, la sentenza serve da monito sul rigore delle norme procedurali in Cassazione, specialmente riguardo alla nomina dei difensori e all’unicità dell’atto di impugnazione.

Un decreto di archiviazione per un reato impedisce di essere processati in futuro per un fatto simile?
No, la sentenza chiarisce che l’archiviazione non preclude l’esercizio dell’azione penale per un fatto diverso, anche se simile, commesso in un momento successivo. La preclusione vale solo per l’identico fatto storico oggetto di archiviazione.

Qual è la differenza fondamentale tra archiviazione e assoluzione ai fini del principio del “ne bis in idem”?
L’archiviazione è un provvedimento che chiude le indagini senza un processo (inazione), mentre l’assoluzione è una decisione di merito presa al termine di un processo. Solo una decisione di merito, come l’assoluzione, fa scattare il divieto di un secondo processo per lo stesso fatto (ne bis in idem).

È possibile nominare un terzo avvocato per presentare un ricorso in Cassazione se si è già assistiti da due difensori?
No, se i due difensori di fiducia hanno già presentato il ricorso, la nomina di un terzo difensore è senza effetto se non si revocano formalmente le nomine precedenti. La facoltà di impugnazione si considera già esercitata e “consumata”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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