Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7157 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7157  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Taranto il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza in data 30/05/2023 della Corte di appello di Roma, quarta sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 30/05/2023, la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile la richiesta di revisione avanzata da NOME COGNOME in relazione alla sentenza emessa nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sassari in data 08/01/2016, confermata dalla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, del 30/01/2019, irrevocabile in data
25/11/2020, che condannava il sunnominato alla pena di anni sei di reclusione ed euro 40.000 di multa per il reato previsto dall’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, sono stati proposti due distinti ricorsi per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso a firma AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Primo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 630, comma 1, lett. a), 125 cod. proc. pen., 4 prot. 7 CEDU.
Secondo motivo: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Nella trattazione congiunta dei motivi, si assume come, in modo del tutto inopinato, la Corte territoriale non abbia ritenuto compresi nel decreto di archiviazione del Giudice per le indagini preliminari anche i fatti successivi al 13/07/2007 e le risultanze probatorie successive a tale data, per come specificato dal pubblico ministero nella richiesta e statuito dal Giudice per le indagini preliminari nel decreto di archiviazione. La Corte territoriale:
-ha dedotto l’assenza dell’idem factum dal solo dato letterale della data del commesso reato, in assenza di imputazione capace di descrivere il fatto attribuito a ciascuno dei coindagati e in assenza di valutazione del contenuto del decreto di archiviazione e della richiesta del pubblico ministero;
-non ha valutato l’illogicità di una richiesta di archiviazione per un fatto alla c data – 13/07/2007 – il nominativo dell’indagato non figurava ancora nel registro degli indagati;
-non ha valutato il fatto che nella richiesta del pubblico ministero e nel decreto del giudice per le indagini preliminari, erano state indicate anche le intercettazioni successive al 13/07/2007.
2.2. Ricorso a firma AVV_NOTAIO.
Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 630, lett. c), 631, 529, 649 e 634 cod. proc. pen., non avendo la Corte territoriale ritenuto la sussistenza del medesimo fatto tra la sentenza oggetto di revisione e i fatti oggetto del decreto di archiviazione emesso nel maggio del 2014 relativamente al procedimento penale n. 4364/2007.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Rileva preliminarmente il Collegio la non scrutinabilità del “secondo” ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO (avvocato cassazionista), datato 05/10/2023, figurando quest’ultimo quale “terzo” e non consentito difensore (peraltro, agli atti manca la formale nomina difensiva dello stesso da parte del ricorrente e solo qualificatosi come tale), in mancanza di espressa revoca di uno dei precedenti difensori (AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, entrambi abilitati al patrocinio innanzi le magistrature superiori), come da mandato difensivo con contestuale procura speciale loro validamente conferiti dall’assistito NOME COGNOME in data 10/09/2023.
2.1. Trova, infatti, in tal caso applicazione la regola, volta a privilegiare l’aspetto sostanziale della pluralità di nomine a più difensori, dettata dall’art. 2 disp. att. cod. proc. pen. la quale prevede che “la nomina di ulteriori difensori si considera senza effetto finché la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza”.
Al riguardo, deve escludersi che il diverso principio affermato da questa Suprema Corte, secondo il quale la disposizione generale contenuta nel citato art. 24 “non è applicabile nel giudizio di cassazione, nel quale prevale, in quanto speciale, quella dell’art. 613, comma 2, cod. proc. pen., in forza della quale la nomina di un terzo difensore iscritto nell’albo delle giurisdizioni superiori ai fi della presentazione del ricorso o successivamente non può essere considerata eccedente e conferisce a quest’ultimo in via esclusiva nella fase di legittimità la titolarità della difesa ed il diritto a ricevere i relativi avvisi” (Sez. U, n. 1216 15/12/2011, dep. 2012, Di Cecca, Rv. 252028), possa estendersi al di fuori dell’ipotesi in cui si discuta della validità dell’atto di impugnazione redatto sottoscritto dal difensore espressamente nominato a tal fine, anche se in eccedenza rispetto alle precedenti nomine dei difensori di fiducia.
2.2. Se, infatti, la validità dell’impugnazione proposta dal difensore a tale scopo nominato dall’imputato, quantunque tale nomina comporti il superamento del limite numerico indicato dall’art. 96 cod. proc. pen., trova la sua ragion d’essere nella stessa volontà dell’imputato consacrata dall’art. 613, comma 2, cod. proc. pen. in ordine alla proposizione del ricorso, la quale, stante la peculiarità del giudizio di cassazione di natura tecnica rispetto alle precedenti fasi di merito, consente di privilegiare la volontà di conferire il mandato al professionista che ritiene maggiormente in grado di esplicare la sua difesa ai livelli richiesti nella fase di legittimità, rendendo irrilevante la mancanza di revoca esplicita del mandato conferito ai difensori precedentemente nominati, revoca da ritenersi per facta condudentia, altrettanto non può dirsi quando un altro difensore intervenga allorquando il ricorso per cassazione sia stato già presentato da parte di un avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori e a tal fi
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espressamente nominato e alla sua nomina si aggiunga poi quella di un secondo difensore con gli stessi requisiti. In tal caso, le successive diverse nomine effettuate in assenza di revoca dei difensori precedentemente nominati che abbiano provveduto alla presentazione del ricorso per cassazione devono ritenersi senza effetto così come previsto dall’art. 24 dis. att. cod. proc. pen.
2.3. Ciò trova, del resto, espressa conferma nella puntualizzazione resa da questa Suprema Corte nel suo supremo consesso nella pronuncia citata, secondo cui la puntualizzazione contenuta nell’art. 571, comma 3, cod. proc. pen. configurante norma speciale rispetto al ricordato art. 24, in quanto peculiarmente riferita alla legittimazione a proporre impugnazione, la quale prevede che può «proporre impugnazione il difensore dell’imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine», esprime la intenzione del legislatore di attribuzione prioritaria, al legale nominato per la proposizione della impugnazione, dell’ufficio difensivo, pur nella ipotesi in cui l’imputato sia già assistito da due difensori, laddove invece deve ritenersi la inoperatività (vale a dire, la inefficacia) di una ulteriore impugnazione da parte di un terzo difensore a tal fine nominato se entrambi i due legali già designati hanno proposto impugnazione atteso che la facoltà di impugnazione legittimamente esercitata dai due precedenti consuma quella del terzo (cfr., Sez. 3, n. 16579 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 283067; nello stesso senso, Sez. 5, n. 51897 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 258032).
Per le ragioni che precedono, non può, in conclusione, essere esaminato il “secondo” ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, quand’anche lo stesso venisse considerato quale atto parificabile a memoria difensiva, in quanto redatto da difensore privo di un valido mandato.
3. Ricorso a firma AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Entrambi i motivi, trattabili congiuntamente per la loro reciprocità, sono manifestamente infondati.
3.1. Il ricorrente ha riproposto alla Corte d’appello, nelle forme della richiesta di revisione europea, una questione già sottoposta alla stessa Corte d’appello di Roma, con esito di inammissibilità (25/05/2021), confermato dalla Corte di cassazione, con la decisione Sez. 6, n. 2600 del 14/12/2021, dep. 2022.
In precedenza, e in parallelo, la questione risulta più volte sottoposta al Giudice sardo quale giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., con esiti negativi impugnati davanti a codesta Corte, con ricorsi puntualmente dichiarati inammissibili, assoggettati talvolta, infruttuosamente, a rimedio straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22526 del 2021; Sez. 5, n. 40410 del 2022).
3.2. In fatto, risulta accertato come nei confronti di NOME COGNOME veniva instaurato un primo procedimento penale nel 2007 (n. NUMERO_DOCUMENTO); successivamente, per il medesimo reato, il pubblico ministero procedeva ad una nuova iscrizione nel 2011 nell’ambito di un diverso procedimento, già pendente, iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO. Quest’ultimo procedimento proseguiva fino alla sentenza definitiva di condanna, mentre in quello iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO veniva disposta l’archiviazione nel 2014.
3.3. Nella presente sede si reitera la prospettazione secondo la quale la scoperta, in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, del decreto di archiviazione emesso in data 27/05/2014 nell’ambito del procedimento n. 4364NUMERO_DOCUMENTO RGNR della Procura della Repubblica di Sassari, non essendo stato rimosso con un provvedimento di riapertura delle indagini, comporterebbe l’improcedibilità o improseguibilità dell’azione penale esercitata nel procedimento n. 2383/07 RGNR della stessa Procura della Repubblica che ha condotto alla decisione di condanna. Ciò in quanto la prova del decreto di archiviazione noviter reperta sarebbe stata suscettibile di condurre al proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 529 cod. proc. pen. Il profilo “europeo” della questione sarebbe costituito dal riconoscimento da parte della giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di giustizia UE della suscettibilità di un decreto di archiviazione, a determinate condizioni di integrare il concetto di decisione definitiva di merito preclusiva della condanna del soggetto per lo stesso fatto (v. sentenza 8 luglio 2019, Mihalache c. Romania e Sez. 6, n. 27384 del 06/06/2022, NOME., Rv. 283329, in cui era sta affrontata la problematica relativa alla natura di decisione definitiva del decreto di archiviazione, con espresso richiamo al principio espresso dalla Corte EDU nella succitata sentenza dell’8 luglio 2019).
3.4. In realtà, il provvedimento impugnato risponde adeguatamente alla prospettazione del ricorrente, segnalando il difetto del presupposto di operatività della richiamata preclusione processuale, l’identità tra il fatto “coperto” dal decreto di archiviazione e quello per il quale l’azione penale fu esercitata con esito di condanna, riconoscendo testualmente che “… il decreto di archiviazione era relativo ad una violazione (art. 73 d.P.R. n. 309/1990) commessa fino al 13/07/2007, come si evince letteralmente dalla richiesta del Pubblico Ministero richiamata integralmente dal detto decreto di archiviazione mentre la sentenza di condanna aveva preso in considerazione una cessione di sostanze stupefacenti successiva perché commessa in data 01/09/2007, con la conseguenza che i fatti sono diversi”.
3.4.1. Un primo e decisivo argomento contrario alle tesi del ricorrente viene fornito dalle condivisibili argomentazioni spese dalla Procura generale secondo cui “… il fatto che la motivazione della richiesta di archiviazione, riscontrata dal Gi
con generica formula di condivisione, rievochi le «risultanze delle intercettazioni fino a questo momento acquisite», dalle quali non sarebbero «emersi elementi sufficienti per giustificare un rinvio a giudizio», non cambia i termini della questione: sebbene le intercettazioni in parola si siano sviluppate nei mesi successivi alla data del 13/07/2007 e i loro esiti siano poi confluiti nell’alt procedimento per il quale si è esercitata l’azione penale, la scelta dell’inazione e la sua asseverazione da parte del Gip riguardano unicamente fatti anteriori a quello per il quale COGNOME è stato condannato. La circostanza che, per la cessione del 10 settembre 2007, COGNOME sia stato iscritto nel registro degli indagati soltanto nell’anno 2011 e in un procedimento diverso da quello archiviato, conferma che quel fatto era estraneo tanto alla richiesta di archiviazione quanto al provvedimento che l’ha assecondata. Non appaiono conferenti i richiami del ricorrente alla giurisprudenza costituzionale in tema di controllo del Gip sull’esercizio non apparente dell’azione o alla giurisprudenza di legittimità in tema di necessaria esaustività del controllo del AVV_NOTAIO sulla completezza della piattaforma conoscitiva, ai fini dell’informato esercizio dei poteri di indicazione di indagin suppletive o di imputazione coattiva, posto che detti poteri e prerogative non possono comunque esorbitare il perimetro della domanda. Pare, in realtà, che il ricorrente identifichi l’oggetto della scelta tecnica dell’inazione non con la notitia criminis ma con le risultanze di indagine, così da attribuire al provvedimento archiviatorio una valenza preclusiva che eccede i termini della domanda proposta dal Pubblico Ministero, titolare esclusivo dell’azione”.
3.3.2. A questo decisivo argomento, si aggiunge, peraltro, quello già speso da codesta Suprema Corte – e che si ritiene, anche qui, di dover far proprio – a conferma della dichiarazione di inammissibilità della precedente richiesta di revisione (Sez. 6, n. 2600/2022, cit.), rispetto alla quale, invero, il presente ricorso non presenta profili di novità.
In quella sede la RAGIONE_SOCIALE aveva evidenziato come “… sulla base dell’individuazione delle cadenze temporali, emerge chiaramente come nel caso di specie non vi sia stata una violazione dell’art. 414 cod. proc. pen., posto seconda iscrizione (2011) è intervenuta prima che nel primo procedimento fosse stata disposta l’archiviazione (2014). È di tutta evidenza che il pubblico mini non avrebbe potuto chiedere la riapertura delle indagini in mancanza di preventivo decreto di archiviazione.
Alla luce della descritta evoluzione dei due procedimenti paralleli, non p neppure condividersi la tesi difensiva secondo cui l’archiviazione avrebbe preclu l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto. A ben vedere, la preclusion determina solo ove, per il medesimo fatto, sia stata esercitata l’azione pena diversi procedimenti (sul tema si veda Sez. U, n.34655 del 28/6/2005, COGNOME, Rv
231800). Nel caso dell’archiviazione, invece, si verifica l’esatto contrario, dato che il pubblico ministero non esercita l’azione e chiede al giudice delle indagini preliminari un decreto che legittima l’inazione. La differenza, peraltro, è dirimente, posto che solo ove per il medesimo fatto si eserciti’ l’azione penale in due distinti procedimenti si pone un problema di duplicazione del giudizio foriera di possibili contrasti di giudicati e, soprattutto, prodromica alla violazione del principio del ne bis in idem. Evidentemente, ove uno dei due procedimenti sia definito con l’archiviazione, viene meno in radice la possibile violazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 649 cod. proc. pen.
Per completezza, deve rilevarsi che nel caso di specie, posto che non si verte in tema di mancata riapertura delle indagini, la duplice iscrizione per il medesimo fatto poteva rilevare esclusivamente ai fini del superamento dei termini per le indagini e della conseguente inutilizzabilità delle prove acquisite dopo il limite massimo di durata.
Si tratta, tuttavia, di una problematica che non è idonea a dar luogo alla revisione del giudizio, neppure se il vizio nell’assunzione della prova emerga dopo l’intervenuto giudicato …”.
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dai ricorsi, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 19/01/2024.