Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2861 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2861 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a VICENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha Gefi.sluso e@fiadehtle
Il PG conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore L’avvocato NOME COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso il provvedimento della Corte di appello di Trieste del 14 novembre 2022, con il quale è stata rigettata la richiesta di revisione della sentenza della Corte di appello di Trento del 28 aprile 2018 con la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trento del 25 novembre 2016, era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 220,00 di multa, in ordine al reato di furto aggravato, ai sensi dell’art. 624 e 625, primo comma, n. 2, cod. pen., commesso il 21 ottobre 2015 in Molveno.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 630, comma 1, lett. c), e 631 cod. proc. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che le nuove prove acquisite nel giudizio di revisione erano tali da poter affermare che NOME COGNOME fosse estraneo al reato in esame, considerando che, nella medesima sentenza di condanna, era stato accertato che il furto era stato commesso da tre persone
Infatti, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano affermato che il furto era stato commesso da loro e che NOME COGNOME non era stato presente al momento della commissione del fatto.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello, invece di effettuare una valutazione unitaria e globale delle nuove dichiarazioni, le avrebbe esaminate singolarmente e avrebbe offerto, sul punto, una motivazione viziata.
Infine, il giudice di merito non avrebbe effettuato una comparazione tra le unitarie e concordi risultanze delle tre prove nuove e le dichiarazioni rese in primo grado dalla teste COGNOME, testimone oculare che aveva visto la scena da una distanza di circa 15 metri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha evidenziato che gli elementi assunti nel dibattimento, insieme alle prove già valutate nel corso del giudizio di cognizione, non consentivano di accogliere l’istanza di revisione, posto che i testi esaminati in sede di revisione erano risultati del tutto inattendibili, per una pluralità di elementi specifici, ta da aver indotto lo stesso giudicante a inviare gli atti alla Procura della Repubblica, per le determinazioni in ordine ad eventuali reati commessi dai dichiaranti.
5e
NOME (cognato del ricorrente) – sentito ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., già giudicato con sentenza definitiva per il medesimo reato aveva negato che NOME COGNOME fosse stato presente al momento della commissione del fatto e aveva dichiarato di non aver rilasciato tali dichiarazioni in precedenza, poiché aveva saputo del suo coinvolgimento della vicenda solo «poco tempo dopo che gli erano arrivate le carte».
La Corte di appello tuttavia ha ritenuto non credibile tale dichiarazione, posto che il decreto di citazione a giudizio, notificato presso la residenza di NOME, era stato emesso nei confronti di entrambi gli imputati; pertanto la decisione di farsi avanti per scagionare il cognato con molto ritardo era del tutto inspiegabile e inverosimile, anche considerando che – come dichiarato dallo stesso – lui e NOME COGNOME erano sempre rimasti in contatto.
La Corte, pertanto, ha fornito sul punto ampia motivazione, anche considerando che, in tema di revisione, la dichiarazione liberatoria di un coimputato, o comunque di un soggetto che va esaminato ai sensi dell’art. 197bis cod. proc. pen., deve essere valutata “unitamente agli altri elementi che ne confermano l’attendibilità” in forza dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., e non costituisce, pertanto, da sola, “prova nuova”, bensì mero elemento probatorio integrativo di quelli confermativi (Sez. 6, n. 36804 del 20/09/2021, Ornato, Rv. 281992).
Secondo la Corte di appello, anche le dichiarazioni degli altri testi, sentiti in veste di soggetti indagati ex art. 210 cod. proc. pen., non avevano fornito elementi idonei a far ritenere fondata la richiesta di revisione.
In particolare, le dichiarazioni rilasciate da NOME COGNOME erano state tali da non aver fatto emergere alcun elemento utile, ed erano state tanto generiche da creare in modo plausibile il dubbio che lo stesso non fosse stato nemmeno presente all’azione delinquenziale; anche le dichiarazioni rilasciate da NOME COGNOME erano state imprecise e non avevano trovato riscontro alcuno negli elementi probatori già valutati dal giudice della cognizione.
La genericità delle stesse, inoltre, strideva con quanto era stato riferito in maniera particolarmente circostanziata al difensore, in sede di esame ex art. 391-bis cod. proc. pen. in data 21 aprile 2021.
Il ricorso, pertanto, appare manifestamente infondato, anche sul piano giuridico, perché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità. Nel giudizio di revisione, infatti, non può mai costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una diversa e nuova valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna (Sez. 3, n. 14547 del 08/03/2022, C., Rv. 282987).
Come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, la prospettata inattendibilità del riconoscimento effettuato dalla teste COGNOME non appare idonea a permettere l’accoglimento della richiesta di revisione, essendo la relativa tesi già esaminata dal giudice della cognizione con sentenza definitiva, con una motivazione che non viene rimessa in discussione dalle nuove considerazioni sviluppate nella richiesta di revisione.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’8/11/2023