Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23543 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23543 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/07/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugNOME, la Corte d’appello di Perugia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione presentata da NOME COGNOME con riguardo alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. dal GIP del Tribunale di Roma il 18/06/2020, irrevocabile il 12/03/2021, con la quale COGNOME è stato ritenuto responsabile, tra gli altri, del delitto di cui all’art. 512 bis cod. pen., per avere, in concorso con la moglie NOME COGNOME, attribuito a quest’ultima la titolarità di un bene immobile, al fine di agevolare la commissione del reato di cui all’art. 648 bis cod. pen., e dunque in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro per l’acquisto proveniente dalla commissione di altri delitti.
Il COGNOME aveva presentato istanza di revisione ex art. 630 comma 1 lett. a) cod. proc. pen., evidenziando che nei confronti della moglie NOME COGNOME, originariamente condannata a seguito di giudizio abbreviato per i reati di cui agli artt. 512 bis e 648 bis cod. pen. con sentenza della Corte d’appello di Roma del 16/07/2022, la Suprema Corte di Cassazione, in parziale accoglimento del ricorso proposto, aveva, con sentenza n. 38141 del 15/07/2022, escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 512 bis cod. pen, ritenendolo assorbito nella più grave ipotesi delittuosa di cui all’art. 648 bis cod. pen.
La Corte perugina, con la decisione oggi impugnata, ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione proposta dal COGNOME sul presupposto che non vi fosse inconciliabilità tra giudicati, essendo i Giudici addivenuti ad una diversa qualificazione giuridica dei medesimi fatti, non contestati nella loro materialità. Evidenziava in particolare la Corte come, mentre al COGNOME era stato contestato il solo delitto di cui all’art. 512 bis cod. pen, alla COGNOME erano state elevate le due imputazioni di cui agli artt. 512 bis e 648 bis cod. pen., e che la Cassazione, con la citata pronuncia n. 38141 del 15/07/2022 nei confronti della COGNOME, si era limitata a rilevare come la fittizia intestazione del bene di cui alla contestazione ex art. 512 bis cod. pen. costituisse un segmento della più articolata condotta di riciclaggio, che non poteva essere sanzionata una seconda volta alla luce della clausola di riserva dell’art. 512 bis cod. pen.
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo dei difensori AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che, con unico motivo, denuncia, ex art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 630 comma 1 lett. a), 631 e 634 cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 512 bis e 648 bis cod. pen., nonché vizio di motivazione.
Deduce il ricorrente che sussiste una inconciliabilità tra i giudicati dal momento che, stante l’identità del materiale probatorio utilizzato dai diversi giudici, il fatto storico ascritto a COGNOME è stato sussunto nell’ambito di applicazione dell’art. 512 bis cod. pen., mentre il medesimo fatto storico, nel procedimento a carico della COGNOME, è stato invece ritenuto corrispondente, naturalisticamente e storicamente con la struttura tipica propria della diversa fattispecie di cui all’art. 648 bis cod. pen. Non si tratta quindi di una mera contraddittorietà logica tra valutazioni difformi effettuate nelle due decisioni, bensì di oggettiva incompatibilità tra i “fatti” su cui si fondano le diverse sentenze.
Evidenzia inoltre il ricorrente come, essendo il delitto di cui all’art. 512 bis cod. pen., un reato a concorso necessario, l’esclusione di detto delitto nei confronti del concorrente necessario COGNOME, implica che il medesimo delitto non possa essere ascritto al solo COGNOME.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO COGNOME, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto generico, aspecifico e comunque manifestamente infondato.
V’è da osservare, preliminarmente, che il disposto di cui all’art. 630 comma 1, lett. a) cod. proc. pen., che autorizza la richiesta di revisione qualora i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna non possano conciliarsi con quelli stabiliti in altra sentenza irrevocabile, si riferisce agli elementi storici adottati per la ricostruzione del fatto di reato, non già alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni (Sez. 2, n. 14785 del 20/01/2017, Rv. 269671 – 01; Sez. 2, n. 12809 del 11/03/2011, Rv. 250061).
L’inconciliabilità, dunque, deve riguardare i fatti di reato accertati e posti a fondamento delle due diverse decisioni, non già l’ipotesi in cui la stessa veda sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti dai due diversi giudici. (Sez. 1, n. 381 del 30/11/1992, dep. 1993, Rv. 194797; Sez. 5, n. 3914 del 17/11/2011, dep. 2012, Rv. 251718). Entro tale prospettiva, inoltre, il criterio decisivo per la riconoscibilità del contrasto di giudicati non può ravvisarsi sulla sola base di un contrasto di principio fra due sentenze, ma deve essere tale da dimostrare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale, irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condanNOME (Sez. 6, n. 10916 del 07/02/2006, Rv. 233733).
Ne consegue che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condanNOME deve esser prosciolto, e non possono pertanto consistere, come già osservato, nel mero rilievo di una divergenza di principio tra due sentenze, che abbiano a fondamento gli stessi fatti (sez. 1, n. 8419 del 14/10/2016 dep. 2017, Rv. 269757; Sez. 5, n. 8462 del 09/07/1997, Rv. 208608).
La Corte territoriale ha fatto buon governo del quadro di principii delineato in questa sede, escludendo, con congrua ed esaustiva motivazione, ogni profilo di contraddittorietà logico-giuridica tra i due giudicati.
E’ stato in particolare chiarito come ai due originari coimputati, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, che hanno poi effettuato scelte processuali diverse e sono quindi stati separatamente giudicati, la medesima condotta contestata al capo NN della richiesta di rinvio a giudizio (rubricata come violazione dell’art. 512 bis cod. pen.), fosse stata qualificata in un caso (al COGNOME) come intestazione fittizia ex art. 512 bis cod. pen, e nell’altro (nei confronti della COGNOME) come riciclaggio ex art. 648 bis cod. pen. Il fatto storico contestato (anche) alla COGNOME non è stato quindi ritenuto insussistente, bensì facente parte dell’operazione di riciclaggio contestata con il successivo capo 00) – reato quest’ultimo contestato alla sola COGNOME.
La Corte di Cassazione, in sede di annullamento con rinvio della sentenza emessa dalla Corte di appello, ha infatti osservato che giudici di merito avevano accertato, nei riguardi dell’imputata, un’unica condotta di riciclaggio realizzata con più atti, consistenti nel versamento sul proprio conto corrente del denaro costituente il provento dei delitti commessi dal marito e, successivamente, nell’uso del denaro per pagare l’immobile alla stessa fittiziamente intestato. La fittizia intestazione, secondo la Corte, ha costituito «un segmento della più articolata condotta di riciclaggio che, considerata la clausola di riserva dell’art. 512 bis c.p. (salvo che il fatto non costituisca più grave reato) non può essere sanzioNOME una seconda volta» (così testualmente Cass. n. 38141 del 2022).
Non si coglie, del resto, neppure nel motivo di ricorso in quale nucleo fattuale, irrevocabilmente accertato nei due titoli, si annidi quel nesso di inconciliabilità ontologica tra i fatti posti a fondamento delle due statuizioni, unico elemento che avrebbe potuto indurre la revisione della decisione di condanna, dal momento che lo stesso ricorrente (pagg. 5, 6) afferma che « il medesimo fatto storico, all’esito del giudizio condotto a carico della concorrente ex art. 110 c.p. nel delitto, NOME COGNOME, è stato ritenuto corrispondente, naturalisticamente e storicamente, con la struttura tipica propria della diversa fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p.»
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente