Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14436 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14436 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAPIZZI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/09/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte d’appello di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione proposta ai sensi dell’art. 630 lett. c) c.p.p. d COGNOME NOME avverso la sentenza del 30 giugno 2012 con la quale il Tribunale di Patti lo ha condannato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e confermata 1’11 gennaio 2017 dalla Corte d’appello di Messina con sentenza divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso per cassazione con sentenza della Sez. 5 n. 24437 del 19 gennaio 2019.
2. Avverso l’ordinanza ricorre il condannato articolando quattro motivi.
2.1 Con i primi due vengono dedotti vizi di motivazione in merito all’omessa valutazione nel giudizio di merito della sentenza con la quale il Tribunale di Nicosia aveva assolto il COGNOME per il reato di estorsione ai danni del COGNOME e delle dichiarazioni del teste COGNOME. In tal senso il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto inammissibili le prospettazioni difensive rinviando alla valutazione di non decisività delle suddette prove, pure acquisite nel giudizio di merito, operata dal giudice di legittimità in occasione del rigetto del ricorso per cassazione, senza considerare come tale valutazione abbia avuto valenza meramente incidentale, alla luce del perimetro della cognizione di quel giudice, e pretermettendo dunque il significato della richiesta di revisione, nella quale oggetto di doglianza era per l’appunto l’omessa e piena valutazione delle suddette prove nel giudizio d’appello. Con riguardo alla menzionata sentenza del Tribunale di Nicosia il ricorrente evidenzia come la stessa sia divenuta definitiva solo dopo l’impugnazione della pronunzia di primo grado e come dunque il suo rilievo non aveva potuto essere prospettato il suo effettivo rilievo, che, in quanto sopravvenuto, avrebbe dunque dovuto costituire oggetto di specifica valutazione nel giudizio d’appello, come invece non è stato. Quanto invece alle dichiarazioni del COGNOME, queste in realtà non sarebbero state nemmeno effettivamente oggetto di valutazione da parte della Cassazione, la quale avrebbe fatto riferimento al contenuto delle intercettazioni, il cui significato invece sarebbe stato chiarito da COGNOME proprio attraverso la sua deposizione e poi ribadito dal medesimo nel processo intentato nei suoi confronti per falsa testimonianza.
2.2 Con il terzo e quarto motivo vengono dedotti ulteriori vizi di motivazione. Lamenta anzitutto il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe reso motivazione solo apparente
in merito alla rilevanza della consulenza tecnica prodotta dalla difesa a sostegno della richiesta di revisione. In secondo luogo eccepisce l’omessa valutazione delle ulteriori dichiarazioni rese dal COGNOME in merito alla competitività dell’azienda dell’imputato e al fatto che la stessa venisse preferita in ragione della concorrenzialità delle sue offerte, dichiarazioni peraltro confortate proprio dagli esiti della menzionata consulenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Le doglianze articolate nei primi due motivi sono inammissibili in quanto manifestamente infondate e generiche.
2.1 Quanto alla lamentata omessa valutazione della sentenza del Tribunale di Nicosia, non è in dubbio il principio evocato dal ricorrente secondo cui, per prove nuove rilevanti a norma dell’art.630 lett. c) c.p.p. ai fini dell’ammissibilità della istanza di revisi devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Se U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443). Né è dirimente che con i motivi d’appello la menzionata sentenza fosse stata eventualmente evocata non direttamente ai fini dell’esclusione della prova del concorso nel reato associativo del COGNOME.
2.2 Infatti, come illustrato (p. 52) nella citata pronunzia n. 24337 del 19 gennaio 2019 con la quale è stato rigettato il ricorso per cassazione (e ribadito anche nella sentenza della Sez. 1, n. 26014 del 6 luglio 2020, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso straordinario proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la stessa pronunzia), la Corte d’appello non ha in alcun modo desunto la responsabilità del condannato per il reato imputatogli da un suo presunto coinvolgimento nell’attività estorsiva condotta dal sodalizio ai danni del COGNOME e del COGNOME, ritenendo invece discendere la prova del suo concorso nell’associazione dalla messa a disposizione di quest’ultima da parte del medesimo della propria attività imprenditoriale (ad oggetto la produzione di calcestruzzo) in occasione della realizzazione dei disegni del sodalizio. Ne consegue che la decisività dell’estraneità del COGNOME all’attività estorsiva ai danni del primo non so è stata condivisibilnnente esclusa nel giudizio di legittimità – dove non è stata compiuta
una valutazione “incidentale” come sostenuto, posto che la circostanza aveva costituito oggetto di specifico rilievo con i motivi di ricorso e dunque è stato ritenuto irrilevan che il giudice dell’appello non abbia valutato la citata sentenza anche nell’ottica poi prospettata – ma anche implicitamente valutata nel giudizio di merito, il che esclude il carattere di novità della prova anche in riferimento ai principi affermati dalle già citat Sezioni Unite Pisano (ex multis Sez. 3, n. 13037 del 18/12/2013, dep. 2014, Segreto, Rv. 259739; Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, COGNOME, Rv. 271071). Non di meno il ricorso nemmeno con il ricorso dimostra in che termini la prova sarebbe decisiva, il che comunque rivela, come già accennato, la sua genericità.
Analoghe considerazioni valgono anche per le dichiarazioni del COGNOME, le quali, peraltro, contrariamente a quanto eccepito, sono state valutate nel giudizio di merito, come già rilevato nella citata sentenza della Cassazione (p. 53 della motivazione in riferimento a p. 77 di quella della sentenza d’appello). Né, per le ragioni già esposte, assume qualche rilievo il fatto che questi abbia eventualmente dichiarato di non essere stato direttamente minacciato dal COGNOME. Ed anche in questo caso difetta nel ricorso qualsiasi indicazione della decisività della prova, che l’ordinanza ha escluso richiamando quanto osservato nella pronunzia di legittimità.
Il terzo e quarto motivo risultano irrimediabilmente generici nella misura in cui parimenti non rivelano la decisività delle altre due prove oggetto della richiesta di revisione. Ed infatti, anche volendo ritenere apodittica la valutazione compiuta dalla Corte circa l’idoneità della consulenza tecnica prodotta dalla difesa a giustificare l’instaurazione del giudizio di revisione, anche in questo caso è incontrovertibile che il ricorrente non ha in alcun modo evidenziato l’effettiva rilevanza del vizio motivazionale denunziato in riferimento alla decisività della prova asseritamente pretermessa nell’ottica della potenziale incrinatura del corredo fattuale sulla cui base è intervenuta la decisione oggetto del rimedio straordinario. Ed alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riguardo all’ulteriore dichiarazione del COGNOME di cui si lamenta l’omessa valutazione, posto che il ricorso non evidenzia in che termini la condanna dell’imputato sia stata fondata sul presunto difetto di competitività della sua azienda.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30/1/2024