Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28189 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28189 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in LIBIA il 19/01/1995 ( alias NOME, nato in data 11/01/1997 in LIBIA)
avverso l ‘ ordinanza del 28/02/2025 della CORTE di APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte presentate dall ‘ avv. NOME COGNOME il quale, nell ‘ interesse di NOME COGNOME ha chiesto l ‘ accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 8/2020 in data 4 giugno 2020, definitiva il 2 luglio 2021, la Corte di assise di appello di Catania confermò la sentenza n. 17/2017 con cui la Corte di assise di Catania, il 5 dicembre 2017, aveva condannato NOME COGNOME ( alias NOME COGNOME nato in Libia in data 11 gennaio 1997) alla pena di 30 anni di reclusione in quanto ritenuto colpevole dei delitti previsti dagli artt. 81, 110 e 575 cod. pen., 12, commi 3, lett. a ), 3bis e 3ter , d.lgs. 26 luglio 1998, n. 286, per avere concorso al compimento di atti diretti a procurare l ‘ ingresso nel territorio italiano di stranieri irregolari trasportati dalla Libia a bordo di un barcone di legno e per avere concorso nel cagionare la morte di 49 di essi, deceduti, dopo essere stati allocati nella stiva del natante, priva di areazione, a causa dei fumi del motore e dei miasmi del carburante, non potendo uscire dai locali per la resistenza opposta dai soggetti, tra cui vi era NOMECOGNOME rimasti a guardia dell ‘ingresso . Secondo quanto accertato nel relativo giudizio, in particolare grazie alle dichiarazioni dei migranti superstiti, alle parziali ammissioni di alcuni imputati e alle indagini di polizia, il viaggio era stato organizzato da alcuni trafficanti libici che avevano fatto salire a bordo del barcone, privo di bandiera e dotazioni di sicurezza, circa 300 persone, ordinando ai migranti di carnagione più scura di salire per primi sul natante e di sistemarsi, sotto la minaccia delle armi, nella stiva, ove la presenza di tre piccoli boccaporti era risultata insufficiente a fare passare l ‘ aria necessaria alla sopravvivenza delle persone presenti, anche a causa dei fumi prodotti dal motore della barca. Inoltre, coloro i quali avevano cercato di uscire dalla stiva erano stati a ciò impediti, anche con la violenza, dalle persone che, e tra esse l ‘ imputato, erano state incaricate dai trafficanti, poco prima della partenza, di mantenere l ‘ ordine durante la traversata ed erano state poste a guardia dell ‘ apertura della stiva, trasformata in una camera a gas , così concorrendo a cagionare la morte delle persone che vi erano ammassate. L ‘ identificazione di NOME tra i responsabili era avvenuta grazie alla pluralità delle testimonianze dei migranti, rese in un momento assolutamente prossimo al salvataggio, nonché alle indicazioni della polizia giudiziaria e, in particolare, dell ‘ ispettore NOME COGNOME della Guardia costiera, secondo cui i responsabili dell ‘ accaduto, all ‘ atto dei controlli, avevano tentato di confondersi con gli altri passeggeri, i quali li avevano respinti platealmente, tanto che essi erano rimasti isolati.
1.1. Con ordinanza in data 28 febbraio 2025, la Corte di appello di Messina ha dichiarato inammissibile l ‘ istanza di revisione proposta nell ‘ interesse di NOME. NOME COGNOME in relazione alla predetta condanna, a fondamento della quale era stata dedotta l ‘ esistenza di «prove nuove» costituite: dalle dichiarazioni di due cittadini siriani i quali, sentiti ex art. 397bis cod. proc. pen., avevano riferito di
avere viaggiato sulla medesima imbarcazione, a bordo della quale non vi sarebbe stato alcun equipaggio addetto al mantenimento dell ‘ ordine o al controllo e nessuno avrebbe usato violenza sui passeggeri, i quali erano stati collocati nella stiva dai trafficanti libici armati e non avevano chiesto aiuto dalla stiva, nonché dal cd. «rapporto Frontex » e dal rapporto del vicequestore COGNOME sull ‘ attività svolta a bordo del natante da NOME COGNOME della Guardia costiera, che avrebbero inficiato l ‘ attendibilità dell ‘ identificazione di NOME COGNOME smentendo, come avrebbero fatto anche i due siriani, la versione del teste di polizia giudiziaria secondo cui l ‘ imputato era stato allontanato dagli altri migranti quando, insieme ai complici, aveva tentato di mimetizzarsi tra essi.
La Corte di appello, dopo avere respinto l ‘ eccezione di incompatibilità formulata con riferimento ad alcuni componenti del Collegio ai sensi dell ‘ art. 34 cod. proc. pen., ha ritenuto che le prove addotte dalla Difesa fossero prive del carattere della decisività, in quanto insuscettibili di alcun serio sviluppo dibattimentale; e, dunque, in quanto non in grado di sovvertire un giudizio di condanna basato su solide risultanze istruttorie, non intaccato dai «nuovi» elementi forniti, intesi, sostanzialmente, a una rivalutazione del precedente compendio attraverso la mera affermazione che determinati fatti «non fossero accaduti». Del pari, le segnalazioni del vicequestore COGNOME in relazione alle attività svolte dall ‘ ispettore capo COGNOME all ‘ interno del natante sono state ritenute del tutto generiche, tanto non potersi comprendere in che parte esse si pongano in contrasto con quanto accertato; così come lo stralcio del «rapporto Frontex» indicato a pag. 10 dell ‘ istanza è stato ritenuto irrilevante rispetto ai fatti raccontati da COGNOME, ai quali non faceva menzione alcuna. La Corte territoriale ha anche sottolineato che il tema della inesigibilità di una diversa condotta era stato affrontato nel giudizio di cassazione, ove si era ritenuto che gli imputati avessero deciso di accettare il rischio che, nel trasporto, potesse verificarsi la morte dei migranti ammassati nella stiva, ben potendo essi attivarsi per favorire, anche a turno, l ‘ accesso al ponte, essendosi in ogni caso posti colpevolmente nella condizione che li aveva condotti alla commissione dei reati loro ascritti. Su tali presupposti, la Corte territoriale ha dunque ritenuto inammissibile la richiesta di revisione per la sua «manifesta infondatezza», escludendo la oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente a determinare una pronuncia di proscioglimento, senza peraltro vagliare l ‘ attendibilità intrinseca ed estrinseca dei nuovi testimoni e la capacità delle nuove prove di «sconvolgere le precedenti acquisizioni probatorie» ovvero di «incrinarle fortemente» fino a porre un dubbio insuperabile sulla colpevolezza.
Alla F. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME
deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell ‘ art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell ‘ art. 34 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione del rigetto della richiesta di riassegnazione del fascicolo motivata con il fatto che, del Collegio decidente, facessero parte la dott.ssa NOME COGNOME e il dott. NOME COGNOME componenti anche del Collegio che aveva dichiarato l ‘ inammissibilità della richiesta di revisione presentata dal coimputato e fondata sulle medesime «prove nuove». Detta richiesta sarebbe stata liquidata in poche righe, mentre NOME sarebbe stato sottratto al proprio giudice naturale venendo giudicato da un collegio non imparziale in violazione dei principi del giusto processo riconosciuti dall ‘ art. 111, secondo comma, della Costituzione e dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell ‘ Uomo.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 630 e 634 cod. proc. pen. e dell ‘ art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell ‘ Uomo, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione. Detta istanza si sarebbe fondata su dichiarazioni radicalmente contrastanti con la ricostruzione accolta dalla sentenza di condanna, gettando una luce radicalmente nuova sull ‘ intera vicenda e sulle dichiarazioni rese dai testimoni escussi nel corso dell ‘ incidente probatorio, atteso che dal racconto dei due siriani sarebbe emerso che gli imputati non erano stati reclutati dai trafficanti libici, essendo passeggeri come gli altri che intendevano raggiungere l ‘ Europa, e che non vi era alcun equipaggio a bordo che avesse deciso alcunché sulla dislocazione dei passeggeri, né che avesse esercitato violenza su di essi. Tuttavia, la Corte di appello, nel dichiarare l ‘ inammissibilità della richiesta, avrebbe censurato il fatto che i testi indicati nell ‘ istanza fossero stati appositamente rintracciati dal difensore e non rinvenuti casualmente, ponendosi in contrasto con le prerogative difensive e mettendo in dubbio la genuinità dei risultati conseguiti. In questo modo, la Corte avrebbe obliterato la circostanza che, essendo i testimoni privi di titolo d ‘ ingresso e di soggiorno, essi avrebbero inteso allontanarsi velocemente dal territorio nazionale e che, dunque, la ricerca di prove a discarico da parte della Difesa era un’ attività, oltre che processualmente legittima in base al titolo VI-bis del libro V del codice di rito, del tutto necessitata dalla peculiarità del processo in esame.
Sotto altro profilo, l ‘ ordinanza avrebbe violato gli artt. 630 e 634 cod. proc. pen. per avere la Corte territoriale esondato dai limiti propri della fase rescindente, avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta e, dunque, sulla astratta capacità demolitoria del giudicato delle prove dedotte, essendosi spinta ad apprezzamenti di merito propri della successiva
fase rescissoria, la quale si sostanzia nella celebrazione del giudizio con l ‘ assunzione della prova nel contraddittorio tra le parti. Invero, le valutazioni della Corte assumerebbero, in maniera del tutto apodittica, che le dichiarazioni dei siriani siano insuscettibili di approfondimento e si risolverebbero in una valutazione, estranea al preliminare apprezzamento sull ‘ ammissibilità, circa l ‘ effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio. In realtà, non si comprenderebbe come possa essere considerata ininfluente la dichiarazione di chi avrebbe escluso radicalmente le circostanze su cui si fondava il giudizio di colpevolezza, ossia che gli imputati fossero stati reclutati dai trafficanti libici al momento dell ‘ imbarco e non fossero semplici passeggeri, che avessero mantenuto l ‘ ordine a bordo durante la traversata, impedendo ai migranti di uscire dalla stiva e che fossero stati allontanati dagli altri passeggeri alla presenza della Guardia costiera. E dalla estraneità degli imputati al disegno dei trafficanti deriverebbe anche che essi ben avrebbero potuto ignorare le condizioni della stiva, che nessuno dei passeggeri, ad eccezione di chi ebbe a viaggiarvi, poteva conoscere. Le due nuove testimonianze sarebbero state ancor più essenziali a fronte della problematicità delle individuazioni fotografiche compiute dalla polizia giudiziaria, allorché ai testi sarebbe stato chiesto soltanto di riconoscere la propria firma apposta accanto alle fotografie riconosciute in precedenza, mediante l ‘ utilizzo di foto in bianco e nero. E, tuttavia, esse sarebbero state illogicamente svalutate, finanche con apprezzamenti circa la prossimità etnico-culturale dei due testimoni rispetto ai libici imputati, beneficiati, per tale ragione, da dichiarazioni a loro favorevoli.
L ‘ ordinanza presenterebbe una motivazione criptica del giudizio di manifesta infondatezza e non rispettosa dei parametri posti dalla Corte europea di Strasburgo, secondo cui, una volta che l ‘ imputato abbia presentato una richiesta di audizione di testimoni non illegale e sufficientemente motivata, le autorità nazionali potrebbero respingerla solo se sussistano motivi pertinenti.
Da ultimo, la decisione sarebbe contraddittoria laddove pur, dichiarando inammissibile la richiesta di revisione, essa assumerebbe che, nella situazione data, gli imputati non avrebbero potuto comportarsi diversamente, in questo modo ingenerando una situazione di dubbio ragionevole che avrebbe imposto di audire i siriani nel contraddittorio proprio della fase rescissoria.
In data 22 maggio 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
In data 6 giugno 2025 il Difensore di fiducia di NOME ha fatto pervenire in Cancelleria una memoria con la quale ribadisce le censure espresse in relazione
al provvedimento impugnato in quanto privo di adeguata motivazione, per avere dichiarato inammissibile la richiesta di revisione per manifesta infondatezza senza una delibazione degli elementi dedotti a fondamento della richiesta di revisione e senza pronunciarsi sull ‘ idoneità del novum a condurre il proscioglimento dell ‘ istante. Benché i due nuovi testimoni avessero dichiarato di non avere sentito provenire richieste di aiuto dalla stiva, di non avere visto commettere alcun atto di violenza sui passeggeri e che anche gli imputati sarebbero stati dei semplici migranti, la Corte territoriale non avrebbe compiuto alcuna verifica circa la astratta capacità demolitoria del giudicato riconoscibile a tali nova alla stregua di una sommaria delibazione di essi, essendo preclusa, in tale fase, una approfondita valutazione tale da comportare un ‘ anticipazione del giudizio di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Muovendo dal primo motivo di doglianza, con cui la Difesa deduce la violazione dell ‘ art. 34 cod. proc. pen. in ragione dell ‘ incompatibilità di alcuni componenti del Collegio che ha assunto la decisione impugnata, i quali avevano concorso a pronunziare l’ ordinanza di inammissibilità di una richiesta di revisione formulata dal coimputato, NOME COGNOME la censura deve ritenersi manifestamente infondata.
Va premesso, in argomento, che la disciplina del regime delle cause di incompatibilità previste dall ‘ art. 34 cod. proc. pen. è ancorata ai presupposti dell ‘ idem iudex , della eadem res e dell ‘ idem reus , ma anche a quello, parimenti ineludibile, dell ‘ eadem actio , di modo che il pregiudizio è necessariamente correlato alla posizione del giudice che, nell ‘ ambito dello stesso procedimento, sia chiamato, in fasi e in gradi diversi, a esprimere un giudizio di merito sulla stessa regiudicanda . Coerentemente, la predetta norma processuale prevede espressamente l ‘ incompatibilità delle funzioni di cognizione ordinaria con quelle della procedura di revisione, che è considerata dal legislatore come un grado del processo e, quindi, come un proseguimento del giudizio di responsabilità in conseguenza della straordinaria impugnazione.
Diverso da tale situazione è, invece, il caso delle plurime procedure di revisione, le quali, pur se concernenti la medesima condanna passata in giudicato, non si configurano come un proseguimento del medesimo giudizio di merito. E per questa ragione, la giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormai consolidato, ritiene che non sussista alcuna incompatibilità per il giudice che, dopo avere pronunciato ordinanza di inammissibilità di una richiesta di revisione, venga chiamato a decidere su un ‘ altra richiesta di revisione concernente lo stesso
soggetto e la medesima sentenza (Sez. 5, n. 44685 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 282171 – 01; Sez. 1, n. 13561 del 10/03/2010, Sepe, Rv. 246836 – 01; Sez. 5, n. 610 del 05/02/1999, COGNOME, Rv. 213519 – 01). Di modo che, a fortiori , nessuna incompatibilità può essere ipotizzata nel caso in cui la richiesta provenga da un differente soggetto, ancorché originariamente imputato nel medesimo procedimento. Anche in questo caso, infatti, manca il presupposto dell ‘ eadem actio , cui si aggiunge, peraltro, l ‘ assenza della condizione dell ‘ idem reus .
In ogni caso, deve rilevarsi che la disciplina del regime delle incompatibilità è considerata di stretta interpretazione in quanto diretta ad assicurare la serenità, l ‘ obiettività e la terzietà del giudice in fattispecie tipiche, specificamente determinate, sicché le cause di incompatibilità previste dall ‘ art. 34 cod. proc. pen. devono ritenersi tassative e non suscettibili di interpretazione analogica (Sez. 5, n. 610 del 05/02/1999, Bagedda, Rv. 213519 -01).
Venendo al secondo motivo, va premesso che l ‘ istituto della revisione costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, nei casi tassativi previsti dal codice di rito, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata, dando priorità alle esigenze di giustizia rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici.
3.1. L ‘ art. 634 cod. proc. pen. prevede, al comma 1, una fase preliminare volta a colpire con la sanzione di inammissibilità le richieste formulate in relazione provvedimenti diversi da quelli contemplati dall ‘ art. 629 cod. proc. pen. o da soggetti non legittimati ai sensi dell ‘ art. 632 cod. proc. pen. o senza l ‘ osservanza delle forme prescritte dall ‘ art. 633 cod. proc. pen. ovvero al di fuori delle ipotesi previste dall ‘ art. 630 cod. proc. pen. o, ancora, quelle che non risultino idonee a realizzare gli effetti previsti dall ‘ art. 631 cod. proc. pen. o che, già respinte, siano state ripresentate in assenza di elementi diversi ai sensi dell ‘ art. 641 cod. proc. pen.; o, infine, tutte le richieste che risultino «manifestamente infondate».
In questa prospettiva, la corte di appello, cui è attribuita la competenza in relazione a tale fase preliminare, è chiamata, innanzitutto, a uno scrutinio diretto a verificare l ‘ astratta potenzialità degli elementi dedotti nell ‘ istanza a rovesciare il decisum su cui si è ormai formato il giudicato; e nel caso in cui lo scrutinio preliminare pervenga a un esito favorevole al richiedente, essa è anche investita della successiva cognizione di merito, distinta sul piano logico-funzionale dalla prima delibazione (così Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266810 01), nella quale si osservano le disposizioni di cui agli artt. 465 e ss. cod. proc. pen. in quanto applicabili.
In tale fase preliminare, la valutazione della corte di appello è diretta a verificare se gli elementi giuridico-fattuali posti a fondamento della richiesta siano sussumibili in talune delle ipotesi tassative contemplate dall ‘ art. 630 cod. proc. pen., le quali «rappresentano la tipicizzazione legale di specifiche situazioni alle
quali lo stesso ordinamento collega la probabilità di una condanna ingiusta e implicano il perentorio divieto di dissolvere ab intrinseco – in mancanza di nuovi elementi rimasti estranei ai precedenti giudizi – l ‘ efficacia formale e sostanziale del giudicato sulla base di una diversa valutazione delle identiche prove esaminate nella sentenza divenuta irrevocabile». Secondo tale disposizione, invero, l ‘ istanza può essere presentata: a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un ‘ altra sentenza penale irrevocabile; b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall ‘ art. 3 ovvero una delle questioni previste dall ‘ art. 479 cod. proc. pen.; c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell ‘ art. 631; d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato. Una volta verificata la sussistenza di taluna delle ipotesi sopra indicate, la corte di appello deve compiere un ulteriore scrutinio, strettamente collegato, sul piano logico funzionale, al primo accertamento, ovvero se gli elementi in base ai quali si chiede la revisione siano tali da dimostrare, ove accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531 cod. proc. pen. e, in ogni caso, se la richiesta non risulti, come anticipato, «manifestamente infondata».
3.2. Limitando la rassegna alle questioni di stretto interesse ai fini della presente decisione, due sono gli ambiti problematici che vengono qui in rilievo.
Il primo riguarda la nozione di «prova nuova», richiamata dall ‘ art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e, più specificamente, quella di prova nuova «rilevante» ai fini della revisione in quanto idonea a dissolvere l ‘ efficacia formale e sostanziale del giudicato. Secondo un orientamento più risalente, la locuzione di «prova nuova» doveva ritenersi riferibile agli elementi diversi da quelli presenti agli atti del processo conclusosi con il giudizio precedente ovvero alla prova noviter producta costituita dalla prova sopravvenuta al giudicato o successivamente scoperta, ma anche da quella preesistente ma non acquisita nel precedente giudizio (Sez. U, n. 6019 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193421 – 01). Secondo altro più recente indirizzo, invece, alla nozione di «prova nuova» deve essere ricondotta, accanto a quella di prova noviter producta , anche quella di prova noviter cognita , ovvero di prova acquisita al processo, ma non valutata, neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220443 – 01; per questo indirizzo, nella giurisprudenza successiva, v. Sez. 3, n. 20266 del 26/03/2003, COGNOME, Rv. 224439 – 01; Sez. 6, n. 20022 del
30/01/2014, COGNOME, Rv. 259778 – 01; Sez. 4, n. 17170 del 31/01/2017, Rv. 269826 – 01; Sez. 5, n. 12763 del 09/01/2020, COGNOME, Rv. 279068 – 01; Sez. 5, n. 8997 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282824 – 01). Tuttavia, come anticipato, la «novità» della prova costituisce un requisito necessario ma non sufficiente ai fini della revisione, essendo anche indispensabile che essa sia idonea a ribaltare il giudizio di colpevolezza dell ‘ imputato (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028 – 01). Ne consegue che, a tal fine, il giudice della revisione deve comparare le prove nuove e quelle già acquisite in un giudizio che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, i quali, però, devono essere riscontrabili ictu oculi (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273029 01; Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259779 – 01; Sez. 2, n. 49113 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257496 – 01; Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, COGNOME, Rv. 253437 – 01; Sez. 1, n. 3647 del 28/05/1996, COGNOME, Rv. 205685 01). In altri termini, la necessaria delibazione prognostica circa il grado di affidabilità e di conferenza dei nova non deve tradursi in un ‘ approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito (Sez. 6, n. 2437 del 03/12/2009, dep. 2010, Giunta, Rv. 245770 – 01; Sez. 5, n. 11659 del 22/11/2004, dep. 2005, Dimic, Rv. 231138 – 01; Sez. 1, n. 29660 del 17/06/2003, COGNOME, Rv. 226140 – 01).
3.3. Il secondo ambito tematico concerne i criteri alla stregua dei quali deve essere formulato lo scrutinio di «manifesta infondatezza» della richiesta di revisione. In argomento è stato affermato che l ‘ inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ai sensi dell ‘ art. 634 cod. proc. pen. sussiste quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all ‘ evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l ‘ esito del giudizio. Ne consegue che rimane del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente l ‘ effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio (Sez. 2, n. 19648 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281422 – 01; Sez. 2, n. 11453 del 10/03/2015, COGNOME, Rv. 263162 – 01; Sez. 6, n. 18818 del 08/03/2013, COGNOME COGNOME COGNOME, Rv. 255477 – 01). E nel caso di allegazione di prove nuove si è ritenuta inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull ‘ acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio, nonché su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee ictu oculi a determinare un effetto demolitorio del giudicato (Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, COGNOME, Rv. 271071 – 01).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto che nessuna delle prove dedotte fosse capace di sovvertire il quadro probatorio su cui si è fondato il giudizio
di condanna di NOMECOGNOME e ha spiegato, in maniera logicamente inappuntabile, le ragioni del proprio convincimento.
Ciò è a dirsi, in primo luogo, per il rapporto del vicequestore COGNOME e per il «rapporto Frontex », rispetto ai quali è stata sottolineata l ‘ assenza di una interferenza apprezzabile tra i contenuti di essi, per come rappresentanti nell ‘ istanza di revisione, e l ‘ oggetto delle prove valorizzate nel giudizio di merito che i suddetta nova avrebbero dovuto sovvertire; una valutazione, questa, rispetto alla quale il ricorso ha omesso di articolare specifiche censure, di modo che, sul punto, la valutazione della Corte territoriale e, con essa la relativa motivazione, non può ritenersi essere stata adeguatamente aggredita.
Alle medesime conclusioni deve, poi, pervenirsi quanto alla testimonianza dei giovani siriani, che l ‘ ordinanza di inammissibilità ha preso in esame non tanto rispetto al suo carattere di novità (essendosi effettivamente al cospetto di dichiarazioni non valutate in precedenza), quanto rispetto al suo profilo di reale decisività. In proposito è del tutto palese, invero, come dalla circostanza che i due nuovi testimoni avessero escluso che gli imputati fossero dei trafficanti e non dei passeggeri, non potesse certo ricavarsi alcuna significativa conclusione sul piano della auspicata revisione del giudizio, atteso che in sede di merito, non si era affatto ritenuto che NOMECOGNOME al pari degli altri condannati, fosse uno dei trafficanti che avevano imposto, sotto la minaccia delle armi, che i passeggeri «di carnagione scura» fossero collocati nella stiva. Infatti, le sentenze di merito avevano, in realtà, ritenuto che egli si fosse prestato a gestire l ‘ ordine a bordo del natante, impedendo, con percosse e violenze, alle persone ammassate nella stiva di salire sui ponti per mettersi in salvo. Da qui il giudizio, pienamente condivisibile, di totale irrilevanza di un accertamento chiaramente non decisivo, siccome concernente una circostanza del tutto inidonea a escludere la responsabilità del richiedente.
Del pari, la parte della deposizione nella quale i due testi hanno riferito dell ‘ assenza di un equipaggio e della mancata percezione, sia di violenze da parte di esso, sia di richieste di aiuto da parte dei passeggeri, è stata logicamente ritenuta non decisiva, posto che la mancata percezione di un fenomeno o di un evento da parte dei due dichiaranti non poteva certo comportare, sul piano logico, che altri soggetti presenti sul natante avessero avuto, invece, una piena percezione di quanto al riguardo denunciato.
Dunque, le valutazioni espresse dalla Corte di appello, lungi dal configurare un giudizio di merito sulla concreta valenza probatoria delle dichiarazioni e, dunque, sul grado di attendibilità del narrato e di credibilità soggettiva dei testimoni, si è sostanziato in una delibazione sulla astratta idoneità del racconto a demolire l ‘ accertamento compiuto con la regiudicata ; valutazioni, quelle al riguardo esperite, che sono pienamente idonee a dar conto della manifesta infondatezza
della richiesta di revisione e che appaiono del tutto incensurabili in questa sede in quanto sostenute da logica e congrua motivazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 12 giugno 2025