Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33671 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33671 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/06/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso come da requisitoria scritta già in atti.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 19 giugno 2023, la Corte d’appello di Messina ha rigettato l’istanza di revisione proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania del 28 settembre 2016, passata in giudicato il 10 maggio 2018, che aveva ritenuto l’imputato responsabile del delitto di estorsione, aggravato ai sensi dell’art. 7 del dl. n. 152 del 1991 (oggi art. 416 bis.1.), di cui al capo D7), condannandolo alla pena di mesi dodici e mesi quattro di reclusione ed euro 2.100 di multa e alle pene accessorie.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite dei propri difensori, affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si duole di vizio di motivazione in relazione agli artt. 630, 631 del codice di rito, e di violazione di legge, con riferimento agli artt. 110, 629 cod. pen., 630, 631 e 533 cod. proc. pen.
La Corte territoriale non avrebbe adempiuto al dovere di motivazione rafforzata richiesto al giudice della revisione, il quale, investito dall’istanza ex art. 630, comma 1, cod. proc. pen., si trovi a valutare dati fattuali, accertati dalla sentenza di condanna, inconciliabili con i dati emergenti da altra sentenza. Tale sarebbe, a parere della difesa, la peculiarità che caratterizza il caso in esame, posto che la sentenza di condanna per il reato di cui al capo D7), emessa della prima sezione penale della Corte d’appello di Catania il 28 settembre 2016, contro cui era stata proposta istanza di revisione, si poneva in contrasto con altra pronuncia della medesima corte territoriale, terza sezione, emessa il 10 settembre 2014, che aveva assolto i co-imputati del medesimo reato.
A proposito di tale, più stringente, dovere di motivazione, la difesa cita la recente giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 43631 del 05/10/2023, COGNOME, Rv. 285320 – 01), in cui si è ricordato che, in presenza di fatti oggettivamente inconciliabili emergenti da due sentenze, il giudice è tenuto a procedere alla rivalutazione congiunta e unitaria del materiale probatorio che ha dato luogo alla sentenza di condanna, raffrontandola con i dati fattuali, incontrovertibilmente accertati, risultanti dalla sentenza che si pone in conflitto con quella di condanna. In caso di conferma della sentenza impugnata, egli deve dar conto, con motivazione, appunto, rafforzata, delle ragioni per le quali, pur in presenza di fatti oggettivamente inconciliabili, ha ritenuto di dover ribadire la soluzione adottata dalla sentenza attinta dall’istanza di revisione.
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Messina, nella sentenza qui impugnata, si sarebbe limitata a osservare che la formula assolutoria adottata
dalla terza sezione della Corte territoriale di Catania esprimeva, sì, un dubbio sulla colpevolezza dei coimputati, senza che ciò implicasse l’esclusione della responsabilità dell’odierno ricorrente. Osserva la difesa che, al di là della formula assolutoria “per non aver commesso il fatto”, la terza sezione penale della Corte di Catania avrebbe comunque concluso che non v’era stata estorsione.
Nell’impugnata sentenza si fa riferimento a un compendio probatorio più esteso che la I sezione Corte d’appello di Catania avrebbe posto a sostegno della decisione di condanna. Il riferimento è alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME; tuttavia -osserva il ricorrente- tali dichiarazioni erano già agli atti del giudizio abbreviato che ha portato alla decisione assolutoria; pertanto, esse erano state già ritenute non decisive dai giudici della III sezione della Corte di Messina. Inoltre, dal tenore delle dichiarazioni delle persone offese, doveva escludersi la condotta estorsiva ascritta al ricorrente. Tant’è vero che il Procuratore generale, a fronte del medesimo compendio probatorio, chiedeva l’assoluzione in relazione al fatto contestato al capo D7).
La Corte, infine, avrebbe errato nell’attribuire alla difesa la richiesta -non consentita in sede di revisione- di rivisitazione delle captazioni, segnatamente delle trascrizioni delle stesse.
È pervenuta a mezzo p.e.c., in data 20 maggio 2024, atto di rinuncia alla trattazione orale del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO (il quale, ha precisato di non voler addurre un legittimo impedimento a presenziare all’udienza, bensì soltanto di informare il Collegio di un suo improvviso problema di salute). Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, riportandosi alla requisitoria in atti, ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, richiamata dal ricorrente stesso, «in tema di revisione richiesta ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il giudice è tenuto a procedere alla rivalutazione congiunta e unitaria del materiale probatorio che ha dato luogo alla sentenza di condanna, raffrontandola con i dati fattuali incontrovertibilmente accertati risultanti dalla sentenza che si pone in conflitto e, in caso di conferma della sentenza impugnata, deve dar conto, con motivazione rafforzata, delle ragioni per le quali, pur in presenza di fatti oggettivamente inconciliabili, ha ritenuto di dover ribadire la soluzione adottata dalla sentenza attinta dall’istanza di revisione (Sez. 5, n. 43631
del 05/10/2023, COGNOME, Rv. 285320 – 01; Sez. 3, n. 48344 del 19/07/2017, COGNOME, Rv. 271523 – 01).
Nel caso di specie, e con precipuo riferimento al fatto estorsivo di cui al capo D7), la Corte territoriale ha messo in chiaro rilievo la mancata emergenza di una realtà fattuale diversa, emergente dalla decisione n. 2741 del 2016 della I sezione della Corte d’appello di Catania, rispetto a quella delineata nella pregressa sentenza irrevocabile n. 1991 del 2014, resa dalla III sezione della medesima Corte. Tra i fatti posti a base delle due pronunce -ha illustrato la Corte nell’impugnata sentenza- non v’era né diversità né incompatibilità, posto che i dubbi che avevano giustificato l’assoluzione dei tre presunti complici dell’COGNOME “per non aver commesso il fatto” non implicavano anche la messa in discussione del giudizio di responsabilità formulato nei confronti dell’COGNOME per la consumazione della condotta estorsiva di cui al capo D7).
La Corte territoriale ha anche spiegato che il più ampio compendio probatorio a disposizione del secondo Collegio (decisione n. 2741 del 2016 della I sezione della Corte d’appello di Catania) – arricchitosi, segnatamente, in seguito alle deposizioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME e alla perizia sulle captazioni già in atti, e dal quale l’COGNOME emergeva come soggetto attivamente operante nel territorio di Palagonia per conto del clan mafioso d’appartenenza ha corroborato il giudizio di responsabilità reso nei confronti dell’odierno ricorrente. Nell’impugnata sentenza, sono state dunque adeguatamente evidenziate le più ampie basi motivazionali concernenti la concreta attribuibilità all’COGNOME della vicenda estorsiva di cui al capo D7), la cui sussistenza non è stata positivamente esclusa dalla sentenza assolutoria resa nei confronti dei coimputati; rispetto a quanto illustrato dalla Corte distrettuale, il ricorso si rivela del tutt generico e asseverativo, limitandosi, la difesa, a osservare che 1) dal tenore delle dichiarazioni delle persone offese, doveva escludersi la condotta estorsiva ascritta al ricorrente e che 2) le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME erano già agli atti del giudizio abbreviato che aveva portato alla decisione assolutoria dei tre presunti complici dell’COGNOME. In altre parole, in nessun punto del ricorso la difesa sottopone a questo Collegio quella presenza di fatti oggettivamente inconciliabili emergenti dalle due sentenze (del 2014 e del 2016) di cui la Corte d’appello, nella sentenza oggi impugnata, non avrebbe dato adeguatamente conto nel ribadire la soluzione adottata dalla sentenza attinta dall’istanza di revisione.
A tal proposito, la Corte d’appello ha, peraltro, ben segnalato i limiti del proprio spazio valutativo, evidenziando come la revisione giovi a emendare l’errore nella ricostruzione del fatto-reato e non nella valutazione dei fatti (cfr., ad es., Sez. 4, n. 43871 del 15/05/2018, COGNOME, Rv. 274267 – 01: «il contrasto di
giudicati di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., che legittima la revisione, attiene ai fatti storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto-reato e non alla valutazione dei fatti né all’interpretazione delle norme processuali in relazione all’utilizzabilità di una determinata fonte di prova»; fattispecie in cui l’istanza di revisione riguardava una sentenza di condanna basata su intercettazioni telefoniche ritenute inutilizzabili da una sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di coimputati per insussistenza del fatto).
Il ricorso deve pertanto dichiararsi inammissibile. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21/05/2024
Il consigliere estensore
Il presidente