Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29864 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29864 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ROCCELLA IONICA il 20/02/1971
avverso l’ordinanza del 28/01/2025 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME presentava, ai sensi dell’art. 630, lett. a) e c), cod. proc. pen., istanza di revisione della sentenza di condanna per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 emessa nei suoi confronti, in esito a rito abbreviato, dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data 18 luglio 2018, irrevocabile il 3 marzo 2020 (con assoluzione dal reato-fine di cui al capo 3 della rubrica).
Detta sentenza, nella prospettazione dell’interessato, si sarebbe posta in contrasto con quella, resa in sede di giudizio di rinvio dalla stessa Corte di appello di Reggio Calabria il 19 aprile 2024, con rito ordinario, con la quale i coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati assolti dalla fattispecie associativa suindicata “perché il fatto non sussiste”.
Nel giudizio ordinario, la Corte di merito si era potuta avvalere, diversamente che nel parallelo processo celebratosi in abbreviato, delle aggiornate dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME sentito il 17 marzo 2023, il quale avrebbe offerto ai giudici “la prova positiva dell’inesistenza di un contesto associativo descrivendo piuttosto una serie di operazioni di importazione di grossi quantitativi di stupefacenti, per lo più fallite, finanziate dallo COGNOME‘ (voglioso di rientrare nel gir del narcotraffico) con la stabile complicità del fido COGNOME, al di fuori di qualunque programmazione ricollegabile a uno stabile sodalizio e comunque senza alcun ulteriore apporto gioiosano e, dunque, senza nessun comprovato coinvolgimento, anche meramente concorsuale, dell’RAGIONE_SOCIALE“.
Quest’ultimo deduceva, inoltre, le seguenti prove “nuove”, a suo dire suscettibili di minare l’attendibilità del collaboratore COGNOME: a) due certificazioni, provenienti, rispettivamente, dalla Curia e dalla Polizia municipale di Gioiosa Jonica, con le quali si attestava che nel sabato di fine giugno del 2011 – giorno in cui vi sarebbe stato il primo degli incontri “incriminati” e di cui l’COGNOME aveva riferito per aver fatto da staffettista allo COGNOME‘ – il traffico veicolare sul lungomare del paese, diversamente da quanto dichiarato dal collaboratore, non sarebbe risultato congestionato a causa di manifestazioni religiose o laiche; b) due “dichiarazioni” non datate e sottoscritte da un dipendente (NOME COGNOME) e da un cliente (NOME COGNOME di esso COGNOME, i quali avrebbero fornito, con riferimento alla giornata del 29 giugno 2011 (data del secondo presunto incontro tra COGNOME e COGNOME, come riferito dall’AGOSTINO), un resoconto, riscontrato da documentazione commerciale, secondo cui l’istante sarebbe stato costantemente impegnato, prima in negozio, poi a casa del compratore, nella vendita e nel montaggio di mobili da cucina, non residuando, quindi, tempo utile nella giornata per incontrarsi con terzi; c) le dichiarazioni rese nel separato giudizio ordinario dai testi di polizia giudiziari COGNOME e COGNOME, con le quali costoro avevano escluso che, nel periodo oggetto d’indagine, vi fossero stati “ulteriori contatti fra NOME COGNOME (altro presunto sodale) e COGNOME al di fuori di quello monitorato presso il negozio di mobili di
quest’ultimo” (dalla difesa sempre ascritto a lecite ragioni di natura commerciale), mentre, nello stesso periodo, si erano “registrati, fra gli altri presunti sodali, almen altri quattro abboccamenti, tutti avvenuti in luoghi diversi e lontani dall’esercizi commerciale dell’RAGIONE_SOCIALE“.
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro dichiarava inammissibile l’istanza.
2.1. In primo luogo, la Corte di merito non riteneva di ravvisare, nel caso in esame, un contrasto di giudicati, ma solo una diversa valutazione delle prove, segnatamente con riguardo al narrato del collaboratore NOMECOGNOME
Rilevava, sul punto, che mentre il giudice dell’abbreviato aveva apprezzato le dichiarazioni del collaboratore come “evocative di un ampio e complesso accordo associativo”, quello del rito ordinario, all’esito di un rinnovato esame concentrato sulle posizioni di COGNOME e COGNOME le aveva considerate insufficienti a tal fine e piuttosto dimostrative di intese occasionali e contingenti insuscettibili di configurare la fattispeci associativa; a tale diversa determinazione, ribadiva la Corte territoriale, i giudici de rito ordinario erano giunti frion già per non aver creduto all’COGNOME o perché questi avesse ritrattato o perché fosse stato smentito da altre prove sopravvenute, ma per averne diversamente valutato il narrato nel complesso del materiale istruttorio raccolto in quella sede; secondo il giudice della revisione, in altri termini, non veniva indicato un solo ‘fatto storico’ – ritenuto nell’un pronunciamento e smentito nell’altro – che potesse essere valorizzato ai fini del principio fissato dall’art. 630, lett. a), cod. proc. pen.
2.2. Quanto alle dedotte prove “nuove”, osservava la Corte di Catanzaro che l’efficacia dimostrativa dei documenti provenienti dalla Curia e dalla Polizia municipale di Gioiosa Jonica appariva tutt’altro che decisiva.
Mentre il primo risultava del tutto inconferente, il secondo si limitava a ‘comunicare’ di non aver rinvenuto in atti evidenze dalle quali evincere che nel giugno 2011 l’amministrazione avesse organizzato eventi o manifestazioni sul lungomare, ma non anche che in quegli stessi luoghi, in un sabato di inizio d’estate, potesse esserci stato un considerevole afflusso pedonale o veicolare.
Generiche dovevano considerarsi le dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME in quanto prive di precisi e circostanziati riferimenti temporali.
Tutt’altro che inedite, infine, dovevano essere considerate le deposizioni rese dagli ufficiali di p.g. COGNOME e COGNOME che avevano riversato in dibattimento gli esiti dell’attività investigativa svolta, ben nota a chi aveva optato per il rito abbreviat
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore, sviluppando cinque motivi.
3.1. Con il primo, deduce “violazione dell’art. 629 c.p.p. in combinato disposto con l’art. 63 c.p.p. in relazione agli articoli 3, 13, 24, quarto comma, 25, secondo
comma, e 27 della Costituzione e dell’art. 7 CEDU in relazione alla pronuncia di inammissibilità dell’istanza di revisione”.
Il ricorrente pone il tema della illegittimità della declaratoria di inammissibilit dell’istanza di revisione in presenza di condizioni tali da impedire l’emissione di un siffatto provvedimento (cita Sez. 6, n. 22283 del 2024 e Sez. 1, n. 31263 del 2014).
Osserva che dal raffronto tra la condotta oggetto di condanna in abbreviato, sostanziatasi in plurime azioni eseguite in “appoggio al capo COGNOME NOME“, e la pronuncia assolutoria emessa nei confronti di COGNOME nel giudizio ordinario (“perché il fatto non sussiste”), emergeva un’evidente inconciliabilità fra il ruolo partecipativo d AMEDURI, costruito sulla figura di NOME COGNOME (“garantendo allo stesso un costante appoggio”), e la sentenza che aveva escluso radicalmente qualsivoglia condotta associativa in capo allo COGNOME e agli altri coimputati.
Già tale situazione di contrasto fra giudicati avrebbe dovuto consentire di superare la fase di ammissibilità dell’istanza di revisione.
Sul punto, l’ordinanza impugnata si presenterebbe come lacunosa perché si sarebbe limitata ad affermare che, nella specie, era dato registrare solo una diversa valutazione delle prove, correlata alla diversità dei riti celebrati, così, tuttav determinandosi lo stravolgimento del ruolo del giudice della revisione.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione degli artt. 630 e 631 cod. proc. pen., 111 e 24 Cost. e 7 CEDU in relazione alla omessa valutazione della inconciliabilità fra i giudicati.
Si rileva che Sez. 6, n. 9189 del 18 gennaio 2022, nell’annullare con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (posizioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), aveva affermato che il giudice della fase rescissoria avrebbe dovuto valutare la compatibilità con l’ipotesi associativa di elementi che ben potevano essere dimostrativi del concorso di persone nelle singole operazioni di narcotraffico.
La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza emessa il 19 aprile 2024 quale giudice di rinvio, aveva ritenuto che le iniziative promosse dallo RAGIONE_SOCIALE, con l’ausilio di COGNOME e COGNOME, costituissero singoli affari programmati di volta in volta, senza che potessero essere riconducibili a una struttura organizzata.
Secondo la difesa del ricorrente, non si trattava di una “diversa valutazione giuridica, ma di fatto storico-naturalistico quello che prevede la insussistenza di un’a ffectio societatis in presenza di trattative programmate di volta in volta” e che non vedevano, peraltro, mai coinvolto l’RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di Reggio Calabria, nel giudizio di rinvio, aveva anche messo in luce la bilateralità dei rapporti intercorrenti tra NOMECOGNOME e COGNOME e questa considerazione, come il giudizio di insussistenza del fatto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 sarebbe dovuta valere anche per COGNOME: ciò sulla base dell’assenza di una struttura, del numero limitato di reati-fine, della distanza temporale degli episodi, dell’assenza di elementi da cui desumere la complessa gestione delle attività successi ‘e alle
importazioni di droga e dell’assenza di contatti nell’intervallo tra le importazioni, tu elementi ignorati dalla Corte di appello di Catanzaro.
3.3. Con il terzo motivo, si eccepisce la violazione degli artt. 630, 631 e 634 cod. proc. pen. in relazione alla erronea valutazione delle due certificazioni provenienti dalla Curia e dalla Polizia municipale attestanti l’assenza di feste religiose e di feste popolari sul lungomare diversamente da quanto riferito dal collaboratore NOME.
3.4. Con il quarto motivo, si deduce la violazione degli artt. 630, 631 e 634 cod. proc. pen. in relazione alla erronea valutazione delle dichiarazioni rese in sede di indagini difensive da NOME e COGNOME sul tema del presunto incontro del 29 giugno 2012 tra COGNOME e COGNOME
La difesa aveva prodotto fattura relativa alla transazione tra COGNOME e COGNOME recante la data del 29 giugno 2012, il che consentiva di riferire proprio a quel giorno le dichiarazioni del teste.
Quanto alle dichiarazioni di COGNOME la mancanza di un dato cronologico si spiegava con la lunghezza dell’arco temporale da esse coperto con riguardo agli anni di svolgimento di attività lavorativa (5-6 anni).
3.5. Con il quinto ed ultimo motivo, si denuncia la violazione degli artt. 630, 631 e 634 cod. proc. pen. in relazione alla erronea valutazione delle testimonianze rese dai verbalizzanti NOME e NOMECOGNOME nonché del contenuto delle intercettazioni allegate.
La Corte di Catanzaro avrebbe mancato di cogliere la novità del dato, riferito dai dichiaranti, circa l’assenza di contatti tra COGNOME e COGNOME nel periodo di svolgimento delle indagini, elemento emerso solo nel giudizio ordinario.
Analogamente, non sarebbe stato colto l’elemento di novità inerente al monitoraggio di quattro incontri avvenuti tra COGNOME e altri soggetti, senza alcun coinvolgimento del ricorrente.
Infine, la Corte di merito non avrebbe dato alcun rilievo alla intercettazione della conversazione intercorsa il 3 ottobre 2014 tra ricorrente e familiari in carcere, nella parte in cui aveva confortato le deposizioni dei due predetti testi di polizia giudiziaria.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
In una prima memoria, il difensore dell’COGNOME insiste nell’approfondire il tema della “inconciliabilità dei giudicati” che, a suo avviso, non potrebbe essere esclusa sulla base della diversità delle valutazioni giuridiche operate nei due procedimenti in contrasto, poiché la formula assolutoria, nel procedimento concernente i correi di COGNOME, è stata quella di insussistenza del fatto.
Ripropone il tema, già svolto in ricorso, dell’esatta individuazione del fatto storico, partendo dal capo d’imputazione, che vede il ruolo di RAGIONE_SOCIALE s ettamente
connesso a quello di NOMECOGNOME (e di COGNOME, ma soprattutto del primo), assolto/i perché il fatto non sussiste.
Poi, passa in rassegna la sentenza della Sez. 6, n. 9189/2022, da cui è originato il giudizio di rinvio nei confronti di COGNOME e COGNOME sostenendo che dalla stessa decisione rescindente (in cui si valutavano le dichiarazioni di COGNOME) erano emersi profili del tutto inconciliabili con il fatto storico-naturalistico che aveva portato condanna di COGNOME.
Infine, analoghe considerazioni vengono svolte, in termini di inconciliabilità dei fatti, attraverso l’esame della sentenza con la quale la Corte di appello di Reggio Calabria ha assolto COGNOME e COGNOME escludendo la ravvisabilità di un contesto associativo.
5.1. In una seconda memoria (questa di replica alla requisitoria del Procuratore generale), il difensore richiama Sez. 6, n. 695 del 3 dicembre 2013, concernente, a suo dire, un caso sovrapponibile a quello in esame.
Contesta che, stando alla requisitoria, la “diversità di valutazione giuridica” rilevabile dalle due sentenze contrapposte sarebbe dipendente dal diverso rilievo attribuito alle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME che, come emerso dalla sentenza assolutoria della Corte di Reggio Calabria, non sarebbero mai mutate nel senso della dimostrazione del contesto associativo in cui operava NOMECOGNOME (e, quindi, COGNOME).
Errerebbe, poi, il Procuratore generale nel sostenere che l’esito assolutorio non coinvolgerebbe l’aspetto della componente numerica dell’associazione, una volta escluso, con la sentenza assolutoria, nei confronti di tutti gli imputati del reato di cu all’art. 74 d.P.R. n. 309/90, l’aspetto presupposto dell’affectio societatis.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
Va ricordato che, secondo principi consolidati (siccome ribaditi da Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220441 – 01), la delibazione preliminare circa l’ammissibilità della domanda di revisione deve, per quel che concerne la valutazione della sussistenza di ciascuna delle ipotesi di cui all’art. 630 cod. proc. pen., arrestarsi all’obiettivo riscontro della presenza, nell’allegazione difensiva, di specifiche situazioni riconducibili a quelle ritenute dalla legge sintomatiche della probabilità di errore giudiziario e della ingiustizia della sentenza irrevocabile, cui si chiede la revisione.
Ai GLYPH fini GLYPH dell’inammissibilità, GLYPH l’attributo GLYPH “manifesta” GLYPH che GLYPH contrassegna l’infondatezza della domanda di revisione va, dunque, ricollegato alla assolutamente evidente “incapacità delle ragioni poste a base della richiesta a consentire una verifica circa l’esito del giudizio”: con la precisazione che tale capacità deve ritenersi requisito
“tutto intrinseco alla domanda”, o meglio alla forza persuasiva della richiesta da sola considerata, essendo riservata, invece, alla fase del merito ogni valutazione sulla effettiva idoneità di tali allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato (Sez. 2, n. 19648 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281422 – 01; Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, COGNOME e altro, Rv. 248463 – 01).
2.1. A proposito della procedura da seguire per giungere alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di revisione, il Collegio ritiene meritevole di condivisione l’orientamento, per così dire, intermedio rispetto:
a quello secondo cui la declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione, prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., in assenza di espresso richiamo alla disciplina di cui all’art. 127 stesso codice, può essere adottata de plano (Sez. 1, n. 47016 del 11/12/2007, Combierati, Rv. 238318 – 01; Sez. 1, n. 5673 del 20/01/2006, Nuzzo, Rv. 233849; Sez. 1, n. 15030 del 25/01/2005, D.P., Rv. 231432);
ed a quello, opposto, per cui ai fini della valutazione preliminare di ammissibilità prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., la Corte di appello è tenuta a procedere nel contraddittorio tra le parti, mediante il procedimento in camera di consiglio disciplinato dall’art. 127 cod. proc. pen., poiché esso è previsto in via generale per i procedimenti in camera di consiglio e dovrebbe trovare applicazione, anche se l’art. 634 cit. non vi fa espresso riferimento (tanto che sarebbe affetta da nullità l’ordinanza di inammissibilità eventualmente deliberata de plano: cfr. Sez. 1, n. 5673 del 20/01/2006, COGNOME, Rv. 233849 – 01; Sez. 3, n. 11040 del 22/01/2003, COGNOME, Rv. 227198 – 01).
2.2. Invero, la locuzione normativa impiegata dall’art. 634, comma 1, cod. proc. pen. – a mente del quale, nei casi da esso previsti («quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli articoli 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata»), «la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità» della richiesta di revisione – rimette «alla discrezionalità della Cort di appello l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento», fermo restando che la disposizione in discorso consente, altresì «che le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta di revisione siano compiute anche de plano» (Sez. 5, n. 26480 del 04/05/2015, COGNOME, Rv. 264848 – 01; cfr. pure Sez. 3, n. 34945 del 09/07/2015, S., Rv. 264740 – 01; Sez. 3, n. 37474 del 07/05/2014, B., Rv. 260182 01; e già, tra le altre, Sez. 1, n. 26967 del 30/03/2005, COGNOME, Rv. 232150 – 01).
Secondo l’appena esposta prospettiva ermeneutica, che si condivide, tale conclusione deve considerarsi «maggiormente aderente alla disciplina del procedimento di revisione delle condanne» (Sez. 5, n. 26480/2015, cit., che rimanda a Sez. 3, n. 37474 del 2014, cit.), atteso che:
«quando è previsto, come nel caso del procedimento di revisione, che il giudice proceda, “anche d’ufficio”, ed escluso che l’intervento officioso possa
prescindere dal principio della domanda che costituisce la precondizione affinché si instauri il procedimento di revisione, ciò vuol dire che il procedimento è a duplice schema, nel senso che vi possono essere casi in cui il giudice decide ex officio e casi in cui il giudizio deve essere emesso all’esito di una procedura partecipata, garantendosi il contraddittorio tra le parti» (Sez. 5, n. 26480 del 2015, cit., che su punto argomenta anche alla luce di Sez. U., n. 26156 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224612 – 01);
«alcuni dei casi di inammissibilità descritti dall’art. 634 cod. proc. pen. comma 1, sono di evidente e immediato accertamento, ossia rilevabili ictu ocu/i, sicché l’adozione del rito camerale in quest’ambito si risolverebbe in uno spreco di attività giurisdizionale»;
«altre volte, invece, la valutazione di ammissibilità richiede un esame, anche solo superficiale e sommario, degli atti ed allora è necessario il rispetto del principio del contraddittorio»;
ragion per cui «spetta alla Corte di appello valutare, di volta in volt quale sia la forma procedimentale più adeguata, contemperando l’esigenza di garanzia della partecipazione delle parti con quella di non disperdere inutilmente energie processuali» (Sez. 5, n. 26480 del 2015, cit., richiamata dalla più recente Sez. 5, n. 16218 del 14/01/2022, COGNOME, Rv. 283396 – 01).
Nel caso di specie, con riferimento alle prove “nuove” – dichiarative e documentali – allegate dalla difesa del ricorrente, ritiene il Collegio che la Corte territoriale non si sia arrestata al richiesto giudizio di astratta idoneità delle stesse determinare l’esito assolutorio dell’imputato, ma, al contrario, si sia diffusa – con verifica sulla concreta portata probatoria di ciascun dato indicato dalla difesa del condannato – in una valutazione nel merito dell’incidenza di quelle prove, in evidente contrasto con le caratteristiche che devono essere riscontrate per procedere, in assenza di contraddittorio, alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza.
D’altro canto, anche il tema, contestualmente dedotto, della inconciliabilità del giudicato di condanna di COGNOME con quello assolutorio, formatosi, in esito a separato processo, nei confronti dei concorrenti nel reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 NOME COGNOME e NOME COGNOME avrebbe meritato, sotto il profilo oggettivo, un approfondimento in contraddittorio, tenuto conto della formula assolutoria piena dell’insussistenza del fatto (associativo) utilizzata dal giudice della cognizione, suscettibile, obiettivamente, di ridondare sulla posizione del ricorrente.
Per quanto appena esposto, in accoglimento del ricorso, il giudizio di revisione va rinviato alla Corte di appello di Salerno, individuata, come previsto dall’art. 634, comma 2, ultima parte, cod. proc. pen., secondo i criteri di cui all’art. 11 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 24146 del 08/03/2011, COGNOME, Rv. 250340 – 01
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d appello di Salerno.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente