Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18369 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18369 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato a Chiari il 25/01/1975
avverso la sentenza del 15/05/2024 della Corte di Appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME COGNOME per il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 15 maggio 2024, ha rigettato l’istanza di revisione proposta da NOME COGNOME avverso la sentenza di applicazione di pena n. 1287, pronunciata dal Tribunale di Brescia il 29 marzo 2018, irrevocabile il 19 maggio 2018 in relazione ai reati di cui agli artt. 110, 112, n. 2, 48, 56, 348, 416, 479, 476, ult. co ., 12, comma 3, lett d), art. 12, comma 3 ter, lettere a) e b), art. 12, comma 5 d.lgs n. 286 del 1998.
L’interessato, all’esito delle indagini, nel corso delle quali ha reso dichiarazioni confessorie, è stato processato con sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. in relazione ai reati fine e per avere fatto parte di un’associazione finalizzata a commettere reati di falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il reato associativo è contestato come commesso con NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME imputati anche di molti dei reati fine, così come i numerosi cittadini extracomunitari che hanno beneficiato della documentazione falsa formata al fine di eludere le norme in materia di immigrazione.
Gli altri imputati sono stati processati con rito ordinario e, all’esito del giudizio, sono stati assolti con le formula perché il fatto non sussiste da molte delle contestazioni relative ai reati fine e, COGNOME e COGNOME con la formula per non avere commesso il fatto dal reato di cui all’art. 416 cod. pen.
NOME COGNOME ha quindi presentato richiesta di revisione evidenziando che la condanna a suo carico risultava incompatibile con le assoluzioni sopravvenute, sia con quelle pronunciate con la formula “perché il fatto non sussiste” ovvero “perché il fatto non costituisce reato”, che per il reto associativo in quanto, in tal caso, all’assoluzione di due di due dei quattro degli associati conseguiva necessariamente l’inconfigurabilità del delitto di cui all’art. 416 cod. pen.
La Corte d’appello, ritenuto che fosse necessario acquisire le sentenze indicate e procedere a un’analisi delle stesse, ha fissato l’udienza e ha proceduto alla verifica della fondatezza o meno della richiesta.
La Corte, all’esito dell’udienza, celebrata in contraddittorio tra le parti e con l’interessato presente, ha pronunciato la sentenza ora impugnata.
La Corte ha respinto la richiesta evidenziando, in prima battuta, che l’istituto della revisione non sarebbe applicabile alle sentenze di applicazione di pena pronunciate ex art. 444 cod. proc. pen. in quanto queste non si fondano su di una valutazione delle prove per cui non è possibile procedere a una effettiva e concreta verifica circa la fondatezza o meno della richiesta, ciò anche perché il ricorso a due diversi parametri di valutazione delle prove rende impossibile confrontare una pronuncia emessa all’esito di un giudizio ordinario e una di patteggiamento.
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Nel merito, comunque, la Corte ha rilevato che l’istanza era infondata in quanto non si comprenderebbe quali sarebbero gli errori di fatto nei quali sarebbe incorso il giudice e quali gli elementi tali da escludere la responsabilità di NOME COGNOME anche con riferimento al reato associativo per il quale i due soggetti sono stati assolti con la formula per non aver commesso il fatto all’esito di un processo nel quale, evidentemente, non erano utilizzabili e non sono stati utilizzati, gli interrogatori resi proprio da NOME COGNOME che invece ha ammesso le proprie responsabilità anche sul punto.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso l’interessato personalmente, con atto depositato il 19 settembre 2024, e il difensore a tal fine nominato, con atto depositato il 24 ottobre 2024.
10.1. L’interessato e il difensore hanno dedotto i seguenti e nella sostanza sovrapponibili motivi.
Violazione di legge in relazione agli artt. 629, 630, comma 1 lett. a), 125, comma 3, e 546, 637 e 631 cod. proc. pen. quanto all’affermazione che la sentenza di applicazione di pena non può essere soggetta a revisione.
Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta compatibilità tra le due pronunce e tra i giudizi in queste formulati.
In data 14 gennaio 2025 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta con la quale il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME COGNOME chiede che il ricorso sia rigettato.
In data 21 gennaio 2025 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali l’avv. NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Nella prima parte dell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 629 e 630 cod. proc. pen. quanto all’affermazione per cui la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. non può essere soggetta a revisione ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen.
La conclusione della Corte territoriale, fondata su di una sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte ormai risalente e sulla considerazione che il criterio decisorio della sentenza c.d. di patteggiamento è diverso da quello ordinario, non
è condivisibile e la doglianza è fondata.
Come anche di recente evidenziato, infatti, a fronte della modifica apportata con il riferimento alla sentenza di c.d. patteggiamento (e al decreto penale di condanna) introdotto nel corpo dell’art. 630 cod. proc. pen. dall’art. 3 della legge 12 giugno 2003, n. 134, si deve ritenere che la norma non preveda alcuna limitazione correlata ai casi di revisione e, pertanto, l’interpretazione cui erano addivenute le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza COGNOME citata nel provvedimento impugnato sia ormai superata (nello stesso senso cfr. Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, Diop Rv. 233518 – 01; per una compiuta analisi sul punto si rinvia a Sez. 6, n. 26627 del 17/04/2024, COGNOME, Rv. 286842 – 01; Sez. 6, n. 26627 del 17/04/2024, COGNOME, Rv. 286842 – 01; Sez. 6, n. 22283 del 07/02/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 15088 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281188 02; Sez. 1, n. 43516 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260702 – 01; Sez. 1, n. 4241 del 19/10/2007, COGNOME, Rv. 237970 – 01).
Sotto tale profilo, pertanto, si deve ribadire che è ammissibile la richiesta di revisione di una sentenza di patteggiamento per inconciliabilità con l’accertamento compiuto in giudizio nei confronti di altro imputato per il quale si sia proceduto separatamente e l’inconciliabilità, ferma restando l’irrilevanza delle valutazioni di merito e giuridiche, si può riferire sia ai fatti storici stabil fondamento della sentenza di condanna (così Sez. 5, n. 43631 del 05/10/2023, Riva, Rv. 285320 – 01; Sez. 4, n. 31548 del 05/07/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284958 01; Sez. 1, n. 15088 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281188 – 02), che agli elementi normativi della fattispecie richiamati nel precetto penale (Sez. 6, n. 22283 del 07/02/2024, COGNOME, Rv. 286615 – 01; Sez. 1, n. 43516 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260702 – 01).
3. Nella seconda parte del medesimo motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta compatibilità tra i giudizi formulati nelle due pronunce e, pertanto, in ordine conclusione nel senso dell’insussistenza del presupposto della inconciliabilità tra i fatti posti a fondamento delle due sentenze.
La doglianza è fondata.
La motivazione del provvedimento impugnato, peraltro resa in sostanza solo in ordine al reato associativo di cui al capo 25) di imputazione, fa riferimento esclusivamente alla circostanza che un altro coimputato è stato condannato per il medesimo reato e che l’assoluzione di COGNOME e COGNOME è intervenuta con la formula “per non aver commesso il fatto” e che ciò, quindi, non escluderebbe la sussistenza del reato contestato e ritenuto nella sentenza di applicazione di pena.
L’argomento posto a fondamento del ragionamento non è decisivo e la
conclusione non è coerente al dettato normativo.
La sopravvenuta assoluzione di COGNOME e COGNOME diversamente da quanto indicato dalla Corte territoriale e a prescindere nel caso in esame dalla formula assolutoria utilizzata, infatti, è in astratto incompatibile (inconciliabile per usare termine contenuto nell’art. 630, comma 1, lett. a) con la sussistenza del reato associativo contestato e ritenuto nella sentenza pronunciata nei confronti del ricorrente.
A fronte della sopravvenuta assoluzione di due dei quattro presunti associati, invero, la questione non afferiva al criterio decisorio utilizzato nelle due pronunce e alla differente valutazione in queste contenuta quanto, piuttosto, si riferiva alla possibilità in concreto di ritenere la sussistenza del reato associativo. Ciò in quanto, in assenza di altri associati, anche in ipotesi non identificati, la pronuncia emessa nei confronti di COGNOME e COGNOME determina, allo stato solo in astratto, il venir meno di uno degli elementi costitutivi, essere autori del reato “tre o più persone”, per ritenere la sussistenza del delitto di cui all’art. 416 cod. pen., la cui struttura è necessariamente plurisoggettiva (specifiche sul punto Sez. 2, n. 24324 del 26/04/2022, De, Rv. 283536 – 01; Sez. 1, n. 43516 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260702 – 01; Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, COGNOME, Rv. 248464 – 01).
Ragione questa per la quale la sentenza impugnata, in assenza di una verifica effettiva circa la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cu all’art. 416 cod. pen., deve essere annullata con rinvio affinché la Corte territoriale si esprima in concreto sul punto.
L’annullamento, considerato il preliminare errore in cui è incorsa la Corte territoriale, deve essere esteso anche alla conclusione resa in ordine alle ulteriori ipotesi di reato.
Il giudice di merito, infatti, non si è nella sostanza espresso in relazione agli altri reati ai quali si riferisce la sentenza di applicazione di pena, e ciò, soprattutto in ordine a quelli per cui i coimputati sono stati assolti con la formula “perché il fatto non sussiste”, per i quali è opportuno ribadire che la valutazione deve essere effettuata applicando il principio per cui «il fatto-reato fondante la sentenza di condanna o di applicazione della pena di un imputato non può conciliarsi con altra sentenza penale irrevocabile che assolva, “perché il fatto non sussiste”, il coimputato o i coimputati del fatto-reato medesimo» (Sez. 1, n. 43516 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260702 – 01; Sez. 5, n. 7205 del 18/1/2006, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 233635 -01).
Le ragioni esposte impongono l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata affinché la Corte di appello di Venezia, libera nell’esito e conformandosi ai principi indicati, proceda a un nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia.
Così deciso il 6 febbraio 2025
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