Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12447 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12447 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 30/08/1991
avverso l’ordinanza del 21/10/2024 della Corte di appello di Salerno lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Nell’interesse di NOME COGNOME il difensore, munito di procura speciale, ricorre per l’annullamento dell’ordinanza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Salerno ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione parziale proposta, ai sensi dell’art. 630 lett. a) , cod. proc. pen., avverso la sentenza del 25 maggio 2020 della Corte di iappello di Catanzaro, che confermava quella con la quale in data 12 ottobre 2018 il GUP presso il Tribunale di Catanzaro lo aveva condannato per il reato di cui agli artt. 110-628, aggravato dall’art. 7 dl. I.
156/91, conv. in legge n. 203/91-corrispondente all’attuale 416-bis.1 cod. pen.-, ritenendo non proponibile l’istanza di revisione diretta, come nel caso di specie, ad escludere un’aggravante e ad ottenere un ridimensionamento della pena anziché il proscioglimento dell’imputato.
Due sono i motivi di ricorso.
1.1. Con il primo si denuncia la violazione dell’art. 631 cod. proc. pen. in relazione all’art. 546 lett. e) t cod. proc. pen. con particolare riferimento alla ammissibilità della revisione parziale, essendo ammessa la possibilità di revisione solo di una parte della sentenza, come si ricava dalle pronunce di questa Corte riportate nel ricorso.
1.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 631 cod. proc. pen. in relazione all’art. 5461 lett. e) i cod. proc. pen. con riferimento alla corretta valutazione della inconciliabilità dei giudicati.
Passate in rassegna numerose sentenze di questa Corte / nelle quali si precisa il concetto di inconciliabilità tra giudicati da intendersi come oggettiva incompatibilità tra fatti storici su cui si fondano le sentenze e non come contraddittorietà logica tra le diverse valutazioni effettuate nelle distinte sentenze, nel caso di specie sussiste un contrasto perché la diversa valutazione delle circostanze aggravanti attiene a fatti storici e non ad una diversa valutazione giuridica della circostanza ritenuta.
L’ordinanza non affronta il profilo determinante delle valutazioni complessive delle dichiarazion – iìcóllaboratori, in quanto detta valutazione, che ha portato ad escludere l’aggravante per il Paone, dimostra la presenza di materiale probatorio non valutato nella sentenza emessa per il Cerra per il quale l’aggravante è stata ritenuta. Si sostiene che la valutazione della responsabilità del COGNOME si fondava su un substrato probatorio estremamente generico, totalmente ribaltato nella sentenza emessa per il COGNOME, in cui si afferma che “è emerso che i proventi della rapina sono stati divisi esclusivamente tra i partecipanti e che nemmeno una minima parte dell’ingiusto profitto sia confluita nelle casse dei clan e che anche in fase di progettazione del delitto vi sia stata la volontà di agevolare l’associazione sia in via diretta sia in via indiretta”.
Dunque, il fatto storico diverso è da individuare nella circostanza che le dichiarazioni dei collaboratori non facevano riferimento ad un profitto che entrava nelle casse del clan, ma solo nella disponibilità degli autori della rapina, con conseguente venir meno dell’aggravante. A tal fine nel ricorso si era fatto riferimento alle dichiarazioni del COGNOME e di NOME COGNOME dalle quali risulta che il profitto della rapina non confluiva nella bacinella del clan; si tratta pertanto, di affermazioni che in modo chiaro escludono la finalità agevolativa, tenuto anche conto dell’estraneità al sodalizio del Paone – ma ciò vale anche per il Cerra-, e di un dato storico che esclude ogni collegamento con l’associazione.
Con memoria di replica alle conclusioni del PG il difensore sviluppa e approfondisce i motivi di ricorso, sostenendo l’ammissibilità della revisione parziale in contrasto con le argomentazioni del PG; segnala il contrasto tra le pronunce relative al tema in oggetto e sollecita questa Corte a proporre questione di legittimità costituzionale dell’art. 631 cod. proc. pen.. Ribadita, inoltre, la chiarezza delle dichiarazioni dei collaboratori sulla destinazione del provento della rapina ai soli autori della stessa, insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non deducibili nonché manifestamente infondati.
1.1. Manifestamente infondato è il primo motivo /con il quale si censura l’ordinanza impugnata perché avrebbe erroneamente escluso l’ammissibilità della richiesta di revisione parziale, invece, consentita secondo le pronunce riportate nel ricorso. In realtà, si tratta di riferimenti inconferenti, riguardando la sentenza n. 50728 del 26/11/2019 e quella richiamata un ricorso straordinario per errore di fatto relativo alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis cod. pen. e non, come nella specie, una richiesta di revisione per contrasto tra giudicati relativamente alla sussistenza dell’aggravante nella sua declinazione soggettiva, esclusa, in sede di giudizio di rinvio, per il Paone, ma ritenuta sussistente per il Cerra.
A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, che, sin da epoca risalente, ha ritenuto inammissibile l’istanza di revisione diretta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante con conseguente riduzione della pena piuttosto che il proscioglimento del condannato perché inconciliabile con la ratio dell’istituto, essendo la revisione funzionale a rimuovere il giudicato e ad eliminare l’errore giudiziario, non configurabile per elementi circostanziali o accessori del fattoreato. Se, quindi, la finalità del rimedio straordinario in esame è quella di privilegiare il diritto dell’innocente, a fronte del quale cede l’intangibilità d giudicato, è evidente che a detto orizzonte è estraneo qualsiasi effetto diverso dall’esito assolutorio, come quello invocato nel caso di specie, atteso che l’eliminazione della circostanza aggravante lascerebbe inalterato il giudizio di colpevolezza già espresso.
In applicazione di tali principi, sin da epoca risalente questa Corte ha ritenuto inammissibile l’istanza di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma al riconoscimento di un trattamento sanzionatorio meno afflittivo ovvero a una
dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato. (Fattispecie relativa ad un’istanza di revisione volta ad escludere la ricorrenza di una circostanza aggravante con la conseguente riduzione della pena inflitta Sez. 6, n. 12307 del 03/03/2008, Racco, Rv. 239328; Sez. 1, n. 20470 del 10/02/2015, Pelle, Rv. 263592).
Per le stesse ragioni è stato ripetutamente escluso ogni profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 631 cod. proc. pen. nella parte in cui esclude l’ammissibilità della domanda di revisione in funzione del riconoscimento di un trattamento sanzionatorio meno afflittivo, ritenendosi ragionevole la previsione secondo cui il superamento del giudicato è consentito solo in presenza di elementi che conducano al proscioglimento e ritenuto giustificato che sia il solo legislatore ad individuare i limiti di ammissibilità dell’impugnazione straordinaria (Sez. 6, n. 25591 del 27/05/2020, Casale, Rv. 279608; Sez. 3, n. 18016 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276080-02).
Nella stessa linea questa Corte aveva già ritenuto manifestamente infondata la questione, in quanto i limiti oggettivi posti alla ammissibilità del mezzo straordinario di impugnazione in esame costituiscono il ragionevole momento di sintesi e bilanciamento fra le contrapposte, ma pari ordinate, esigenze del favor innocentiae e di quelle riconducibili ai valori di certezza e stabilità dei provvedimenti giurisdizionali sottese al principio di intangibilità del giudicato (Sezione 6, n. 1751 del 16 gennaio 2018).
Si è, in fatti, ritenuto che il carattere straordinario della impugnazione in esame e la sua attitudine a superare il giudicato giustificano i suoi limiti di ammissibilità; l’istituto è infatti finalizzato a realizzare un equilibrat bilanciamento tra opposti interessi mediante soluzioni normative dalle quali traspare che “la revisione è necessariamente subordinata a condizioni, limitazioni e cautele, nell’intento di contemperarne le finalità con l’interesse fondamentale in ogni ordinamento alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche ed all’intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna, che siano passate in giudicato” (Corte cost. n. 28 del 1969; Corte cost., n. 129 del 2008).
Ne deriva che l’ampliamento della revisione richiesto dal ricorrente non trova spazio nel chiaro tenore letterale della norma, non superabile con operazione ermeneutica, ma solo con una modifica normativa, che introduca nuovi limiti e casi di ammissibilità della revisione, inevitabilmente rimessi al legislatore. Da ciò discende l’inammissibilità della richiesta e della questione di legittimità proposta.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, in quanto il contrasto tra giudicati non concerne il contrasto oggettivo tra i fatti accertati in diverse sentenze irrevocabili, ma la diversa valutazione del medesimo episodio
da parte di giudici diversi in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
I ricorsi ebbero esiti diversi in ragione della diversa articolazione e specificità dei motivi sul punto né pare di secondario rilievo la considerazione della natura soggettiva della circostanza in oggetto, che può risultare ravvisabile per un partecipe e non per un altro in ragione degli elementi di prova circa la consapevolezza della finalità perseguita dal compartecipe (nel reato concorsuale l’aggravante si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità, Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep, 2020, COGNOME, Rv. 278734).
Come correttamente evidenziato nell’ordinanza impugnata / la sentenza passata in giudicato ha effetto preclusivo solo nei confronti dell’imputato e in relazione al medesimo fatto e non vi sono rimedi nel caso di contrasto tra giudicati formatisi per lo stesso fatto in procedimenti diversi e per imputati diversi. Nel caso di specie, all’esito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso del COGNOME, che pur aveva contestato la sussistenza dell’aggravante, e di annullamento con rinvio per il Paone, con sentenza del 14 settembre 2022 la Corte di appello di Catanzaro ha escluso la sussistenza dell’aggravante in forza di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, lasciando inalterato il fatto storico e la sua ricostruzione oggettiva, sicché non si è in presenza di un contrasto tra giudicati.
In proposito va ribadito che non sussiste contrasto tra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti, specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove, dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano. (Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317).
All’inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 13 marzo 2025