Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 15705 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 15705 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 09/04/1977
avverso la sentenza del 02/10/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore presente, Avvocato NOME COGNOME del foro di PADOVA, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2 ottobre 2024, la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza con la quale NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile di più violazioni degli artt. 110 cod. pen., 73, comma 6, e 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 commesse in concorso con più di tre persone tra le quali il fratello NOME COGNOME La sentenza di condanna è stata emessa il 30 giugno 2010, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano ed è stata confermata dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 21 aprile 2011, divenuta irrevocabile il 2 novembre 2011.
Secondo i giudici della cognizione, NOME COGNOME, che si trovava in Spagna e manteneva contatti telefonici col fratello NOME (operante in Italia), spedì al fratello, tramite un corriere, 120 kg di hashish (fatto accertato in Roncopascolo in data 8 marzo 2008 – capo H). Con le stesse modalità, in più occasioni, mantenendo contatti anche con altro concorrente (identificato in NOME COGNOME), NOME COGNOME spedì in Italia più partite di hashish: kg. 120, sequestrati a Fidenza il 2 luglio 2008; una quantità imprecisata, importata il 14 luglio 2008; kg. 151, sequestrati a Fidenza il 17 luglio 2008 (capo Y).
A sostegno della domanda di revisione l’istante ha dedotto la sopravvenienza di prove nuove o parzialmente nuove, in tesi difensiva idonee a determinare il suo proscioglimento come previsto dall’art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
Si deve premettere che, nel giudizio di cognizione, NOME COGNOME è stato ritenuto unico utilizzatore dell’utenza 320/5534974 e, comparando la voce dell’utilizzatore di questa utenza con quella dell’autore di alcune telefonate intercettate su altre utenze coinvolte nel traffico di stupefacenti, ad NOME COGNOME sono state attribuite conversazioni rilevanti ai fini dell’affermazione della penale responsabilità.
Nell’istanza di revisione, NOME COGNOME contesta tale attribuzione adducendo a sostegno una consulenza fonica avente ad oggetto l’identificazione vocale dell’utilizzatore dell’utenza telefonica n. 320/5534974, secondo la quale questa utenza sarebbe stata utilizzata da «almeno due persone diverse». Secondo il difensore del condannato ciò mette in discussione la consulenza tecnica eseguita, nel corso delle indagini, dal consulente del Pubblico Ministero (utilizzata nel giudizio, svoltosi nelle forme del rito abbreviato) che ha attribuit ad NOME COGNOME conversazioni rilevanti, intercettate su utenze diverse da quella sopra indicata, comparando la voce dell’autore di quelle telefonate con la
voce del ritenuto unico utilizzatore dell’utenza 320/5534974. La difesa osserva che, se questa ultima utenza è stata utilizzata da più persone, l’identificazione della voce dell’autore delle conversazioni non può ritenersi certa né per quanto riguarda le conversazioni intercettate su questa utenza né per quanto riguarda le conversazioni intercettate sulle altre (il cui autore è stato individuato sulla base della comparazione della voce con quella attribuita ad NOME COGNOME quale esclusivo utilizzatore dell’utenza 320/5534974). In tesi difensiva, ciò rende necessaria una perizia fonica, tanto più alla luce dell’evoluzione tecnologica. La consulenza utilizzata nel giudizio di cognizione, infatti, è stata svolta utilizzand un metodo (Speaker Recognition System) che già all’epoca era valutato poco attendibile ed è oggi superato.
La Corte di appello di Brescia ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revisione dopo aver fissato udienza e aver garantito così il diritto delle parti ad interloquire sul punto. Ha osservato a tal fine: da un lato, che il consulente della difesa, pur avendo sostenuto «l’esistenza di nuovi software e migliori periferiche audio», non ha specificato «quali sarebbero le metodologie aggiornate che andrebbero oggi utilizzate»; dall’altro, che il coinvolgimento di NOME COGNOME nella vicenda non emerge soltanto dalle intercettazioni telefoniche e, quindi, dal contenuto delle censurate indagini tecniche, ma anche da «un cospicuo dato storico-dichiarativo, asseverato in sede di cognizione , innestato dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME» che ha chiamato in correità il fratello NOME affermando che era lui a spedire l’hashish in Italia.
Contro la decisione della Corte di appello ha proposto ricorso il difensore e procuratore speciale di NOME COGNOME Il ricorso si articola in due motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall’art. 173, comma 1, d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
3.1. Col primo motivo, la difesa deduce erronea applicazione degli artt. 630, 631 e 634 cod. proc. pen. e vizi di motivazione.
Secondo il difensore, la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione, ma per farlo non si è limitata a valutare in astratto l’idoneità del nuovo elemento dedotto (quello della attribuibilità a più persone delle voci intercettate sull’utenza 320/5534974) a rendere dubbia la reale identità dell’interlocutore (o degli interlocutori) delle telefonate ritenu rilevanti. Ha compiuto, dunque, una valutazione della concreta idoneità della nuova prova dedotta a determinare il proscioglimento del condannato seguendo una procedura irrituale perché, invece di dichiarare con ordinanza l’inammissibilità della richiesta di revisione (come previsto dall’art. 634 cod. proc. pen.), lo ha fatto con sentenza: un provvedimento che – osserva la
difesa – ai sensi dell’art. 637 cod. proc. pen., può essere adottato solo per accogliere o rigettare questa richiesta.
Al di là di tale profilo procedurale, la difesa rileva che la motivazione del provvedimento impugnato è manifestamente illogica perché l’approfondimento peritale che dovesse svolgersi nell’auspicata fase rescissoria potrebbe escludere che NOME COGNOME sia «tra i parlatori delle telefonate rilevanti».
3.2. Col secondo motivo, il difensore deduce violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizi di motivazione per essere stata esclusa l’idoneità della nuova prova a ribaltare il giudizio di colpevolezza opponendo ad essa la chiamata in correità compiuta da NOME COGNOME senza spiegare se questa chiamata in correità sia stata valutata attendibile sulla base di elementi di riscontro diversi dall’attribuzione a NOME COGNOME delle conversazioni telefoniche di cui si è detto.
All’odierna udienza, disposta la trattazione orale su richiesta del difensore del ricorrente, le parti hanno concluso come indicato in epigrafe. Il PG ha richiamato le conclusioni scritte depositate il 25 marzo 2025 e ha chiesto il rigetto del ricorso. La difesa ha insistito per l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si deve premettere che, nel caso di specie, l’inammissibilità della richiesta di revisione non è stata dichiarata con procedura “de plano” e la Corte di appello ha deciso dopo aver instaurato il contraddittorio tra le parti. Tale contraddittorio è stato instaurato con fissazione di una pubblica udienza all’esito della quale la Corte ha dichiarato con sentenza l’inammissibilità dell’istanza. Il ricorrente si duole della irritualità della procedura prescelta senza spiegare per quali ragioni la discussione in pubblica udienza, invece che in una udienza ex art. 127 cod. proc. pen., e la pronuncia di una sentenza, in luogo di una ordinanza, gli avrebbero recato pregiudizio. Per questa parte, dunque, il ricorso non è ammissibile.
Va ricordato in proposito che – secondo un orientamento giurisprudenziale che si sta consolidando – l’inammissibilità di una istanza di revisione può essere dichiarata “de plano” dalla Corte di appello, se è «evidente e di immediato accertamento», ma è necessario procedere nel contraddittorio se, per compiere questa valutazione, si deve entrare nel merito, perché in questo caso operano le regole previste dall’art. 127 cod. proc. pen. e deve essere garantito il diritto delle parti ad interloquire sull’ammissibilità dell’istanza (Sez. 1, n. 26967 del 30/03/2005, COGNOME, Rv. 232150; Sez. 2, n. 5609 del 27/01/2009, COGNOME, Rv. 243286; Sez. 5, n. 21296 del 08/04/2010, COGNOME, Rv. 247297).
2. Non hanno maggior pregio le doglianze attinenti al merito della decisione. Com’è noto, l’istituto della revisione non si configura quale strumento di impugnazione tardivo che consente di dedurre in ogni tempo quanto non sia stato rilevato o dedotto nel processo definitivamente concluso. Costituisce, invece, un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in ipotesi tassativamente enunciate, di rimuovere gli effetti del giudicato, dando priorità all’esigenza di giustizia sostanziale rispetto ad istanze di certezza dei rapporti giuridici. Ne consegue che l’efficacia risolutiva della sentenza irrevocabile non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile, entrambi coperti dal giudicato, bensì l’emergenza di elementi nuovi, estranei e diversi da quelli acquisiti e valutati nel processo definito con sentenza irrevocabile. In questa prospettiva, sono prove nuove, rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen., non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazion dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220443). La revisione, infatti, è diretta a far sì che alla pronuncia passata in giudicato se ne sostituisca una nuova e ciò deve avvenire all’esito di un nuovo e diverso giudizio; ma in tanto il giudizio può essere “nuovo” in quanto si fondi su elementi di indagine diversi da quelli già valutati nel processo conclusosi con la pronuncia definitiva (Sez. 6, n.28267 del 10/05/2017, COGNOME, Rv. 270414; Sez. U, n. 6019 del 11/05/1993, COGNOME Rv. 193421). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le prove “nuove”, inoltre, devono essere idonee, da sole o unitamente a quelle già acquisite, a ribaltare il giudizio di colpevolezza (Sez. 2, n.18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028). A questo proposito è stato opportunamente precisato che «la comparazione fra le prove nuove e quelle sulle quali si fonda la condanna irrevocabile non richiede solo il confronto di ogni singola prova nuova, isolatamente considerata, con quelle già esaminate, occorrendo, altresì, una valutazione unitaria e globale della loro attitudine dimostrativa, da sole o congiunte a quelle del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento; ne consegue che il rapporto tra prove pregresse e prove introdotte in sede di revisione deve essere espresso in termini di “riconsiderazione”, valorizzando la funzione dinamica del complessivo giudizio
probatorio conseguente all’introduzione del “novum”» (Sez. 5, n. 7217 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275619).
L’esame dei motivi di ricorso deve essere compiuto muovendosi all’interno di queste coordinate ermeneutiche, ma, nel caso di specie, si deve tenere conto anche di altre circostanze e in particolare: del fatto che la richiesta di revisione ha ad oggetto una prova scientifica; del fatto che l’odierno ricorrente aveva già proposto una richiesta di revisione avente contenuto analogo e, in parte, coincidente.
Come risulta dalla lettura del provvedimento impugnato, COGNOME ha proposto una prima istanza di revisione in data 5 aprile 2019. Questa istanza è stata dichiarata inammissibile dalla Corte di appello di Brescia con ordinanza del 13 maggio 2019, contro la quale è stato proposto ricorso per Cassazione e tale ricorso è stato dichiarato inammissibile con sentenza del 9 ottobre 2019.
Anche la precedente istanza di revisione era fondata sulla necessità di una perizia fonica volta valutare se NOME COGNOME fosse l’autore delle conversazioni telefoniche che gli sono state attribuite nel giudizio di cognizione. Nel dichiararla inammissibile si era sottolineato che il tema della riferibilità della voce ad NOME COGNOME era stato fatto oggetto di specifico motivo di appello nel corso del giudizio di cognizione e che, a sostegno della istanza di revisione, era stata prodotta una consulenza tecnica di parte che si limitava a sottolineare la criticità del metodo utilizzato dal consulente tecnico del Pubblico Ministero (al cui elaborato i giudici della cognizione avevano potuto fare riferimento perché il giudizio si era svolto con rito abbreviato) senza indicarne uno alternativo e senza prefigurare l’acquisizione di nuovi dati di immediata decisiva valutazione. In questo contesto si era sottolineato che l’affinamento metodologico e tecnologico prospettato nella richiesta di revisione non comportava, da se solo, che una nuova perizia avrebbe confutato l’esito della consulenza tecnica eseguita, sicché la richiesta aveva carattere meramente esplorativo. Ed invero, come questa Corte di legittimità ha avuto modo di sottolineare, ai fini della ammissibilità della richiesta di revisione avente ad oggetto una prova scientifica «possono costituire “prove nuove” ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili» (Sez. 5, n. 10523 del 20/02/2018, COGNOME, Rv. 272592; Sez. 4, n. 28724 del 14/07/2021, COGNOME, Rv. 281740).
4. Tanto premesso, si deve osservare che, ai sensi dell’art. 641 cod. proc. pen., l’ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta di revisione (o la sentenza che la rigetta) «non pregiudica il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi diversi» da quelli già valutati e dichiarati inammissibili con ordinanza ex art. 634 o con sentenza ex art. 637 cod. proc. pen. e che nel caso di specie – come risulta dalla lettura del provvedimento impugnato – la consulenza fonica allegata all’istanza di revisione contiene un elemento di novità rappresentato dall’analisi delle conversazioni intercettate sull’utenza n. 320/5534974.
La sentenza impugnata riferisce, infatti, che gli accertamenti svolti dal consulente del PM non davano conto della compresenza di più utilizzatori di questa utenza e invece, secondo la consulenza tecnica allegata dalla difesa all’istanza di revisione, l’utenza n. 320/5534974 sarebbe stata utilizzata, da «due distinte persone di lingua araba aventi caratteristiche fonetiche e provenienza territoriale del tutto diverse».
La Corte di appello ha ritenuto che questo dato consentisse di valutare nuova (e dunque non coperta da giudicato) la richiesta di revisione proposta e ha fissato udienza per consentire alle parti di interloquire sull’ammissibilità dell’istanza. All’esito, ha ritenuto che il dato rappresentato dalla utilizzazione del telefono cellulare n. 320/5534974 da parte di almeno due soggetti di sesso maschile non fosse idoneo a giustificare l’apertura del processo di revisione.
Secondo la sentenza impugnata, la circostanza che l’utenza n. 320/5534974 sia stata utilizzata anche da un secondo soggetto non esclude né rende dubbio che uno degli utilizzatori fosse proprio NOME COGNOME e che la sua voce coincida con quella dell’utilizzatore delle utenze impiegate per la consumazione dei reati. La Corte di appello ha sottolineato, inoltre, che l’affermazione della responsabilità di NOME COGNOME non trova fondamento soltanto nell’esito delle intercettazioni telefoniche, ma anche nelle dichiarazioni di NOME COGNOME il quale, oltre ad avere ammesso la propria responsabilità per i reati di cui ai capi H) e Y), ha chiamato in correità il fratello NOME, affermando che era lui a spedire l’hashish in Italia e indicando in kg 120 il quantitativo di hashish che NOME aveva inviato nella seconda delle spedizioni di cui al capo Y).
L’argomentazione è congrua non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità ed è conforme ai principi di diritto che regolano la materia.
Si osserva in proposito che, nel corso del giudizio di cognizione, l’identificazione di NOME COGNOME quale utilizzatore dell’utenza n. 320/5534974 non risulta essere stata contestata e non possono essere dedotti ai fini della revisione errori di interpretazione o travisamenti del contenuto di prove che avrebbero dovuto essere dedotti nell’ambito del giudizio principale con gli
ordinari mezzi di impugnazione. La richiesta di revisione, infatti, aspira ad ottenere che una nuova pronuncia sostituisca quella passata in giudicato; ma questo può avvenire solo all’esito di un giudizio “nuovo” e non è tale un giudizio che si fonda su elementi di indagine già valutati nel processo concluso con la pronuncia definitiva.
A ben guardare, peraltro, l’istanza di revisione non contesta che NOME COGNOME abbia utilizzato l’utenza n. 320/5534974, ma si limita a sostenere che quella utenza fu utilizzata da due persone di sesso maschile (dunque anche da una persona diversa dall’odierno ricorrente), senza specificare quale incidenza questo dato potrebbe avere sull’affermazione della responsabilità. Ed invero, a fronte di operazioni di intercettazione protrattesi nel tempo e di un gran numero di conversazioni rilevanti, il ricorrente non indica quali tra queste conversazioni dovrebbero essere sottratte al compendio probatorio perché riferibili per comparazione alla voce del diverso utilizzatore dell’utenza indicata. Non spiega, dunque, perché l’intervento di un altro dialogante renderebbe decisiva una nuova perizia fonica né, tanto meno, perché questo dato priverebbe di significato la chiamata in correità eseguita da NOME COGNOME che ha individuato nel fratello l’interlocutore di alcune telefonate e la persona che si occupava della spedizione della sostanza stupefacente dalla Spagna all’Italia.
Non ha maggior pregio l’argomento sviluppato nel secondo motivo di ricorso col quale la difesa sostiene che la Corte di appello avrebbe ignorato la regola di giudizio di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. Il difensore non spiega, infatti, per quale motivo la circostanza che l’utenza n. 320/5534974 sia stata utilizzata anche da un’altra persona, priverebbe di ogni riscontro le dichiarazioni eteroaccusatorie di NOME COGNOME, tanto più che la assenza di indicazioni sulle conversazioni riferibili, per comparazione, alla voce del diverso utilizzatore non consente di valutare se tali conversazioni sarebbero rilevanti ai fini della chiamata in correità. Peraltro, né dal contenuto dell’istanza né dall’atto di ricorso emerge che NOME COGNOME abbia indicato il fratello NOME quale unico utilizzatore dell’utenza in parola.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa
delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del
ammende.
Così deciso il 2 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente