Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34475 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 34475 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Perugia il 13/09/2023
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Perugia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione, presentata da NOME COGNOME, della sentenza con cui il 17.6.2011 il Tribunale di Roma ha applicato nei suoi confronti la pena di quattro anni di reclusione per i reati associazione per delinquere, ricettazione, falsi ideologici e false denunce di incident stradali.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge con riferimento all’art. 630, comma 1, lett. a) e c), cod. proc. pen.
Si sostiene che i fatti oggetto dei reati contestati ai capi n. 24 (simulazione di un fu di un’autovettura Ferrari) e 25 (tentativo di truffa aggravata in danno della assicurazion per l’autovettura in questione) sarebbero stati oggetto – in contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE – di un procedimento civile della Corte di appello civile di Roma, all’esito del quale sarebbe stata accertata la effettività del furto della autovettu indicata.
Nella causa civile in questione, la Corte di cassazione avrebbe confermato l’accertamento e rinviato alla Corte di appello di Roma solo per la quantificazione del danno, con riferimento al valore della autovettura al momento del furto.
Dunque, i fatti contestati ai capi n. 24) -25) sarebbero stati smentiti con un giudicat incompatibile con quello, pur sommario, oggetto di accertamento penale con la sentenza di applicazione di pena.
Sulla base di tale presupposto, si argomenta, sarebbe stata chiesta la revisione della sentenza di applicazione di pena ma la Corte di appello si sarebbe limitata a fare riferimento all’art 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. e ad affermare erroneamente che l’accertamento in sede civile non avrebbe valenza.
Sarebbe stato in realtà ignorato l’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. sotto un ulteriore profilo.
Con la richiesta di revisione si era evidenziato come, con riguardo al fatti di truffa cui ai capi GLYPH 4 – 12 – 14 – 16 – 18 – 20 – 25 – 29 – 31 – 32 – 34 – 36 – 38 – 42 – 4345 – 46 – 47 – NUMERO_CARTA – NUMERO_CARTA – NUMERO_CARTA – NUMERO_CARTA e 96, il d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150 abbia introdotto il regime di procedibili querela che, nella specie, non sarebbe sussistente.
La Corte sul punto avrebbe, da una parte, ignorato che l’assenza della condizione di procedibilità è considerata dalla giurisprudenza di legittimità una causa di revisione dell sentenza di condanna, e, dall’altra, errato nel ritenere che la mancanza di querela possa, nella specie, essere surrogata con la costituzione di parte civile delle compagnie assicurative; aggiunge peraltro il ricorrente che, comunque, le compagnie assicurative che non avevano presentato querela sarebbero diverse da quelle costituitesi parti civili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
In tema di revisione, è consolidato il principio secondo cui per prove nuove rilevanti, a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen., ai fini dell’ammissibilit relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non
acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate, neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superfl dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’er giudiziario (Sez. U., n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443).
Dunque, una prova sopravvenuta ovvero una prova preesistente e non “deducibile” – nel senso che la parte non aveva potuto a suo tempo portarla alla cognizione del giudice per causa di forza maggiore o per fatto del terzo o perché materialmente “scoperta” successivamente, ovvero, ancora, una prova dedotta ma nemmeno implicitamente valutata.
La prova, oltre ad essere “nuova” deve tuttavia possedere il necessario requisito della “dimostratività” ai fini dell’accertamento dell’errore di giudizio da rescindere.
Il “novum” posto a base di tale giudizio deve cioè presentarsi, nel quadro di un ponderato scrutinio che tenga conto anche delle prove a suo tempo acquisite, come un fattore che determini una decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base si pervenuti al giudicato oggetto di revisione, dal momento che, ove così non fosse, qualsiasi elemento in ipotesi favorevole potrebbe essere evocato a fondamento di un istituto che, da rimedio straordinario, si trasformerebbe ineluttabilmente in una non consentita impugnazione tardiva.
Alla luce di tale quadro di riferimento, il primo motivo di ricorso rivela la strutturale inammissibilità.
Il motivo è inammissibile se riferito all’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. p perché si invoca l’accertamento contenuto non in un’altra sentenza “penale” irrevocabile, come richiesto dalla norma, ma in una decisione civile.
Quanto invece all’art. 630, comma 1, lett. c), cod, proc. pen., le prove “nuove”, sarebbero costituite dalle due sentenze emesse rispettivamente dalla Corte di appello di Roma il 2.4.2014 e dalla Corte di cassazione il 15.7.2015 nel giudizio civile e che, secondo il ricorrente, comproverebbero come l’autovettura oggetto del capo di imputazione sub 24) sarebbe stata davvero oggetto di furto .
E tuttavia, pur volendo ragionare con il ricorrente, il motivo è nondimeno generico perché, al di là di quanto deciso dai Giudici civili, nulla è stato spiegato sulla decisi della prova nuova e, in particolare, sulla persuasività e sulla congruenza di detto accertamento rispetto agli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero e posti fondamento della sentenza di applicazione della pena e, in particolare, sulla comparazione tra la dedotta “prova nuova” e le evidenze ancorate alla realtà processuale svolta e che ha condotto alla sentenza di cui si chiede la revisione.
Non è stato spiegato neppure se le “prove” poste a fondamento dell’accertamento civile siano cioè diverse rispetto a quelle esistenti nel procedimento penale al momento del patteggiamento.
È inammissibile, perché manifestamente infondato, anche il secondo motivo di ricorso.
4.1. La questione attiene ad una sentenza di applicazione della pena relativa ad un reato procedibile d’ufficio, che solo successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, per effetto di una norma sopravvenuta, è divenuto procedibile a querela di parte.
Sul tema è utile segnalare come la Corte di cassazione abbia già chiarito, quanto alla condizione di procedibilità in esame, che la prova rilevante a norma dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. deve avere ad oggetto un fatto dimostrativo della procedibili a querela (non presentata) del reato per il quale è intervenuta condanna, mentre non rientra in detta nozione la mera rilevazione della mancanza della condizione di procedibilità richiesta dal reato per il quale è stata pronunciata la sentenza di condanna irrevocabile (Sez. 5, n. 8997 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282824; Sez. 3, n. 9207 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 286022).
La revisione della sentenza è cioè consentita quando sia dedotta una prova nuova che abbia ad oggetto un fatto dimostrativo del diverso regime di procedibilità, e cioè che “quel” reato – oggetto del processo conclusosi con la sentenza di cui si chiede la revisione- era non già procedibile d’ufficio ma a querela di parte; non è consentita la revisione quando, successivamente alla irrevocabilità della sentenza, si deduca la inesistenza della condizione di procedibilità.
È possibile quindi che la richiesta di revisione sia finalizzata a un proscioglimento pe improcedibilità del reato, ma ciò non può condurre a qualificare come “prova nuova” la mera diversa – anche corretta – valutazione della fattispecie come procedibile a querela, in realtà non proposta, ossia, la semplice rilevazione della sola mancanza della condizione di procedibilità richiesta dal reato per il quale è intervenuta condanna.
A titolo esemplificativo, “prova nuova” valida ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c cod. proc. pen. potrebbe, ad esempio, essere rappresentata dall’accertamento dell’età della vittima, che dimostri come, all’epoca del fatto di violenza sessuale, la stessa aveva un’età tale da rendere il reato procedibile a querela, non presentata.
4.2. Rispetto a tale quadro di riferimento, non può qualificarsi “prova nuova” quella costituita dalla mancanza della condizione di procedibilità per un reato che, solo per effetto di un intervento normativo successivo alla irrevocabilità della sentenza d condanna, diventi a procedibilità condizionata.
In ragione della natura mista, sostanziale e processuale, della querela, la Corte di cassazione, proprio occupandosi di un caso di contestazione del reato di appropriazione
indebita aggravata ex art. 61 n. 11 cod. pen., ha ritenuto che di tale modifica normativa favorevole per l’imputato debba tenersi conto ma ciò solo nei procedimenti “ancora pendenti” e pur sempre nell’ottica dell’art. 2 cod. pen. (cfr. Sez. 2, n. 217′ 17/04/2019, Sibio, Rv. 276651).
E’ stato nella occasione ribadito il principio secondo cui il tema dell’applicabil dell’art. 2 cod. pen., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, deve essere risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce condizione di procedibilità e di punibilità.
In senso confermativo sul punto si colloca Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552, che ha precisato come «la giurisprudenza, piuttosto, non dissimilmente, in questo, dalla dottrina, ha accreditato la querela come istituto da assimilare a quelli ch entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.».
Dunque, rispetto ad un reato procedibile d’ufficio al momento della sua consumazione e a quello della pronuncia della sentenza, la norma sopravvenuta che muta il regime di procedibilità non scalfisce il “giudicato”.
Per completezza è utile peraltro evidenziare che, pur volendo ragionare con il ricorrente, nel caso di specie, da una parte, la Corte di appello ha correttamente richiamato il principio per cui la costituzione di parte civile non revocata equiva a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d’ufficio, div perseguibili a querela a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 15 (cd. riforma “Cartabia”), posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, e, dall’altra, che il motivo di ricorso obiettivamente silente nello spiegare perché le compagnie assicurative costituitesi parti civili sarebbero diverse da quelle che avrebbero potuto presentare querela.
5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro tremila .
o GLYPH
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2024.