Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28180 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28180 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a SAN MARCELLINO il 09/04/1968
avverso l’ordinanza del 17/10/2024 della CORTE D’APPELLO DI ROMA
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17 ottobre 2024 la Corte di Appello di Roma ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione avanzata da COGNOME COGNOME in relazione alla sentenza n. 1759/2021 emessa dalla Corte d’Appello di Napoli nell’ambito del procedimento penale n. 1093/2016, divenuta irrevocabile a seguito della pronuncia di questa Corte n. 38396/2022.
Tale giudizio aveva condotto all’affermazione della penale responsabilità di COGNOME per il reato di cui all’art.416 bis cod. pen. (capo A) e per plurimi reati fine.
Con riferimento alla condotta associativa, la pronuncia irrevocabile ha ritenuto provato che COGNOME abbia rappresentato l’anello di congiunzione tra il clan dei Casalesi (famiglie COGNOME e COGNOME) ed i referenti di alcuni mercati ortofrutticoli siciliani, nonché abbia organizzato e gestito una fitta rete di autotrasportatori, tramite la società RAGIONE_SOCIALE – nel ruolo di amministratore delegato -, al fine di assicurare alla suddetta organizzazione camorristica il monopolio del trasporto su gomma nei mercati ortofrutticoli di alcune località campane.
Con richiesta presentata in data 11 giugno 2024, il Pagano invocava ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. la revisione di suddetta condanna, allegando prove da considerarsi nuove a suo favore, consistenti in atti relativi a procedimenti penali paralleli a quelli di condanna, file video e una consulenza di parte depositati ma non valutati dai giudici della cognizione, fatture e dati contabili sullo stato economico della società. La richiesta era, come evidenziato in precedenza, dichiarata inammissibile dalla Corte di appello di Roma.
Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l’imputato, attraverso il difensore di fiducia, articolando i due motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 631 e 634 cod. proc. pen.
Secondo la difesa, la Corte d’appello avrebbe operato un’erronea sovrapposizione tra le fasi rescindente e rescissoria del giudizio di revisione.
Invero, omettendo di operare la valutazione di idoneità dei nuovi elementi di prova dedotti a sostegno dell’impugnazione, avrebbe commesso un’impropria confusione tra il preliminare vaglio di ammissibilità ed il successivo ed eventuale esame nel merito.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 125 cod. proc. pen., 111 Cost., 6 CEDU.
2.2.1. In sede di revisione la difesa ha depositato numerosi allegati volti a dimostrare la insussistenza del monopolio della società RAGIONE_SOCIALE nel mercato ortofrutticolo, chiedendo l’assoluzione dall’imputazione di cui all’art. 416 bis cod. pen.
L’ordinanza impugnata è sul punto illogica e contraddittoria dal momento che ha ritenuto che, anche se si dovesse escludere il monopolio attraverso la società RAGIONE_SOCIALE, siffatta circostanza non avrebbe alcuna influenza sul giudizio di condanna contenuto nella sentenza.
2.2.2. Inoltre, l’ordinanza impugnata si presenta illogica in relazione al capo G1) relativo al possesso di tre armi da sparo e ai capi B1), D1), F1), H1) relativi al traffico di armi.
La difesa aveva depositato – quanto al capo G1) – certificazione comprovante il regolare porto di armi; in relazione agli altri capi richiamati depositava consulenza e video comprovanti l’errore percettivo della sentenza di merito dal momento che il kalashnikov era uno zaino travisato; la cassa d’armi era una scatola di cartone con delle alette; la bomba a mano era un portachiavi travisato; non risultava alcuna traccia di revolver e pistola a tamburo invece contestate.
La risposta della Corte territoriale è secondo la difesa illogica, dal momento che ha ritenuto l’inesistenza del porto d’armi e argomentato che la sua eventuale sussistenza non potrebbe giustificare ‘l’arsenale’ di armi.
In realtà anche in relazione all’arsenale è stata prodotta la consulenza ‘COGNOME‘, che ha dimostrato il travisamento operato in sentenza quanto al contestato traffico di armi.
Siffatta consulenza non è stata considerata prova nuova dal momento che la Corte di appello di Napoli nel corso del giudizio di merito ne aveva dichiarato la inammissibilità.
Tuttavia, in tema di revisione, per prove nuove devono intendersi non solo quelle scoperte successivamente alla sentenza di condanna, ma anche quelle acquisite e non valutate neanche implicitamente.
2.2.3. Infine, la Corte territoriale non ha correttamente valutato l’ulteriore prova nuova prodotta e rappresentata dai dati contabili e finanziari della società La Paganese, dai quali era possibile evincere un fatturato medio basso, incompatibile con l’esercizio di un’attività di impresa in regime di monopolio.
Anche in tal caso la risposta fornita dalla Corte territoriale si presenta illogica e contraddittoria laddove considera del tutto privo di rilevanza il dato in quanto l’assenza di un regolare fatturato non esclude la fondatezza della ipotesi accusatoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. Le questioni sollevate richiedono un preliminare inquadramento sistematico dell’istituto della revisione.
Come affermato dalla Corte costituzionale, ‘l’istituto della revisione si pone nel sistema delle impugnazioni penali quale mezzo straordinario di difesa del condannato ed è preordinato alla riparazione degli errori giudiziari, mediante l’annullamento di sentenze di condanna che siano riconosciute ingiuste posteriormente alla formazione del giudicato. Esso risponde all’esigenza, di
altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell’innocente, nell’ambito della più generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalità ‘ (Corte cost. sent. n. 28 del 1969).
La Consulta ha, inoltre, precisato che: ‘La revisione è necessariamente subordinata a condizioni, limitazioni e cautele, nell’intento di contemperarne le finalità con l’interesse, fondamentale in ogni ordinamento, alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche ed alla intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna, che siano passate in giudicato’ (sent. n. 28 del 1969, cit.).
Nell’ambito del diritto convenzionale, la Corte EDU ha affermato che il principio della certezza del diritto è implicito in tutti gli articoli della Convenzione (cfr. tra le altre Corte EDU, Grande Camera, 20 ottobre 2011, NOME COGNOME e NOME COGNOME c. Turchia § 56) e che esso si atteggia in diverse forme e contesti, tra i quali si annovera l’esigenza di non mettere più in discussione una sentenza definitiva (Corte EDU, Grande Camera, 28/10/1999, COGNOME c. Romania, § 61).
Ciò presuppone, in generale, il rispetto del principio della res iudicata , che serve a garantire la stabilità del sistema giudiziario e contribuisce alla fiducia dei cittadini nella giustizia (Corte EDU, Grande Camera, COGNOME c. Islanda, 01/12/2020, § 238; Corte Edu, 23/11/2023 Wafqsa c. Polonia, § 222 e ss.).
Nello specifico, il divieto di ripetizione del procedimento penale è una delle garanzie specifiche derivanti dal principio generale di equità del processo in materia penale di cui all’articolo 6 della CEDU (Corte Edu, 9 marzo 2006, COGNOME c. Russia), derogabile in ragione dalla necessità di correggere difetti fondamentali della decisione o un errore giudiziario.
Nel medesimo senso si colloca anche la giurisprudenza di questa Corte laddove evidenzia che la disciplina della revisione mira a comporre il conflitto tra esigenze di giustizia formale ed esigenze di giustizia sostanziale, che accompagna l’intero corso del processo e ne segna i passaggi salienti (cfr. per tutte Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, COGNOME).
I casi di revisione, previsti dall’art. 630 cod. proc. pen., rappresentano, dunque, la tipizzazione legale di precise situazioni alle quali l’ordinamento riconnette la probabilità di una condanna ingiusta vietando, al contempo, di dissolvere – in mancanza di nuovi elementi rimasti estranei ai precedenti giudizil’efficacia formale e sostanziale del giudicato sulla base di una diversa valutazione delle stesse prove esaminate nella sentenza divenuta irrevocabile.
1.2. Quanto alla disciplina di diritto positivo, il codice di rito stabilisce la tipologia di condanne soggette a revisione (art. 629), i casi in cui il rimedio
straordinario può essere attivato (art. 630), i limiti (art. 631), i soggetti legittimati alla richiesta (art. 632), la forma della richiesta e il giudice competente (art. 633), il modello procedimentale composto da una delibazione di ammissibilità (art. 634) e dall’eventuale successivo giudizio dibattimentale (art. 636) che si svolgono, entrambi, dinanzi allo stesso organo: la Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 cod. proc. pen.
1.2.1. Superando la precedente impostazione formalistica che soleva distinguere nel procedimento di revisione una fase rescindente ed una rescissoria, le Sezioni Unite ‘Pisano’ hanno escluso la validità di tale ricostruzione per due ordini di ragione: anzitutto, il giudizio positivo circa l’ammissibilità della richiesta non comporta l’intervento di alcun tipo sulla decisione denunciata ed, inoltre, la seriazione procedimentale descritta dall’art. 629 e seguenti segnala l’esistenza di una progressione che – sia pure attestata ai “casi” tassativamente previsti dall’art. 630 – implica, ove il giudizio di ammissibilità abbia esito positivo, una continuità tra i due momenti, tale da incentrare nel giudizio di revisione stricto sensu inteso, il segmento cruciale della procedura (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, in motivazione, paragrafo 9.1.; nel medesimo senso Sez. 1, n. 29660 del 17/06/2003, COGNOME, Rv. 226140 – 01).
1.2.2. Pertanto, ‘proprio la natura di impugnazione straordinaria giustifica l’adozione di un modello procedimentale che richiede un preventivo vaglio di ammissibilità finalizzato a scongiurare impugnazioni pretestuose o palesemente infondate o, comunque, a evitare la celebrazione di un nuovo processo, che appaia ex ante superfluo in base alle regole valutative dettate dal legislatore. Quale necessario antecedente logico-giuridico dell’apertura del giudizio di revisione, l’indagine preliminare costituisce un momento interno al procedimento che, risultando finalizzato al vaglio di ammissibilità della richiesta, si sviluppa nei seguenti passaggi, enucleabili sulla scorta dell’art. 634 cod. proc. pen.: verifica dell’osservanza dell’oggetto dell’istanza, delle forme prescritte e della legittimazione del richiedente; riconducibilità delle ragioni per le quali è chiesta la revisione a una delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 630 cod. proc. pen.; idoneità dei nuovi elementi a provare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto anche con formula dubitativa; non manifesta infondatezza della richiesta’ (cfr. Sez. 5, n. 18064 del 25/03/2025, in motivazione).
1.3 Deve essere, di conseguenza, rigettata la doglianza difensiva anche laddove si lamenta la violazione del diritto al contraddittorio, in quanto la Corte di appello può rivalutare la richiesta di revisione e dichiararne l’inammissibilità anche nella fase degli atti preliminari allorquando risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste manchino del requisito della novità o della idoneità a provocare l’assoluzione del condannato, non residuando in tal caso alcun ulteriore
accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva (cfr. Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014, G., Rv. 260989 01; Sez. 2, n. 34773 del 17/05/2018, COGNOME, Rv. 273452 – 01).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
2.1. L’ art 630, lett. c), cod. proc. pen. stabilisce che la revisione può essere richiesta ‘se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’articolo 631’.
Il concetto di “prova nuova” va ricostruito avendo riguardo all’oggetto che essa deve introdurre nel processo di revisione e che si sostanzia comunque nella rappresentazione di un fatto (fondato “eventualmente” sugli elementi potenzialmente idonei a dimostrarlo) in grado di vincere, nel contesto tipico della procedura di ammissibilità, la resistenza del giudicato.
Dunque, per prove nuove -rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen. ai fini dell’ammissibilità della istanza di revisione – devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220443 – 01).
L’approdo della giurisprudenza interna si trova in piena armonia con l’interpretazione che la Corte Edu offre in merito all’art. 4, comma 2, protocollo addizionale 7 CEDU, avendo la Grande camera stabilito che detta previsione non distingue tra noviter reperta aut producta , sicché, nel processo di revisione, è consentito dare accesso anche a prove già presenti agli atti e mai valutate dal giudice della cognizione sebbene rilevanti ai fini del sindacato sulla colpevolezza (Corte Edu, Grande camera, 08/07/2019, RAGIONE_SOCIALE c. Romania).
2.2 Segnatamente, con riferimento alla documentazione allegata nel caso in esame, la difesa ha depositato numerosi allegati volti a dimostrare l’insussistenza del monopolio della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘, riconducibile all’odierno ricorrente, da cui sarebbe dovuta derivare una conseguente pronuncia assolutoria rispetto all’imputazione per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., stante la posizione apicale da costui rivestita nell’azienda.
La Corte, con motivazione esente dai denunciati vizi, valorizzando la disorganicità di tali produzioni, ne ha dedotto l’assenza del carattere di novità
richiesto dal codice di rito, essendo state richiamate nelle motivazioni delle sentenze emesse nell’ambito del processo che aveva portato alla condanna del COGNOME, nonché la non idoneità delle stesse a sovvertire il giudicato.
Invero, dalla documentazione prodotta non appare possibile dedurre l’estraneità del ricorrente all’associazione mafiosa ovvero la sua innocenza quanto ai singoli reati fine a lui contestati: il giudicato intervenuto nel procedimento de quo ha definitivamente ricostruito la vicenda fattuale in base alla quale plurime organizzazioni criminali interessate nel commercio ortofrutticolo si sono poste in violento contrasto tra loro e all’interno delle quali si inserisce anche la organizzazione camorristica di cui COGNOME è partecipe. Pur volendosi ammettere l’assenza del monopolio in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, l’assunto accusatorio non sarebbe venuto meno.
2.3. Quanto alle ulteriori prove dedotte – quali la certificazione comprovante il regolare porto d’armi in possesso del ricorrente, in relazione agli episodi di detenzione illecita e traffico d’armi- la censura non si confronta con la pronunzia impugnata: gli atti depositati, secondo la Corte di merito, non risultano essere decisivi a ribaltare il giudicato di condanna, essendo lo stesso fondato non soltanto sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ma altresì su numerose intercettazioni, videoriprese, testimonianze, provvedimenti giudiziali e sequestri di armi.
In tema di revisione, difatti, la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base dell’asserita esistenza di una prova nuova deve avere ad oggetto, oltre che l’affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione e deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione, tra la prova nuova e quelle esaminate, ancorata alla realtà processuale svolta (Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, Conti, Rv. 253437 – 01).
La pronunzia impugnata ha altresì chiarito che in ogni caso l’eventuale possesso di un’autorizzazione al porto d’armi, peraltro parzialmente illeggibile, nulla avrebbe aggiunto alla ricostruzione emergente dalla sentenza definitiva a fronte dei numerosi elementi probatori che dimostravano l’esistenza di un arsenale di armi circolante presso i locali della ditta, contente armi da sparo con matricola abrasa, la cui detenzione o porto era conseguentemente vietata.
2.4 Con riferimento alla consulenza di parte a firma del dott. NOME COGNOME dalla quale sarebbe emerso il macroscopico errore percettivo in cui erano incorsi i Giudici di merito, i quali avrebbero confuso oggetti di quotidiano utilizzo con armi – la ordinanza impugnata ha correttamente evidenziato che tale documentazione era già stata acquisita e dichiarata inammissibile dalla Corte d’appello di Napoli.
Invero, secondo costante indirizzo di questa Corte, in tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen., ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario. (Sez. 5, n. 12763 del 09/01/2020, Eleuteri, Rv. 279068).
2.5 Infine, quanto all’asserito fatturato medio-basso della società, riscontrato dai dati contabili e finanziari depositati, la Corte, in alcun punto ipotizzando la palese commissione di reati fiscali, ne ha logicamente statuito l’irrilevanza e non pertinenza ai fini del giudizio di revisione, in quanto l’assenza del regolare fatturato non dimostrava in alcun modo che la Paganese non fosse lo strumento attraverso cui venivano commessi i reati contestati.
Ne discende che il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 17 giugno 2025