Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24731 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24731 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a COGNOME il 22/02/1961
avverso l’ordinanza del 26/11/2024 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26 novembre 2024 la Corte di Appello di Catania ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alla sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta che il 21 giugno 2000, con irrevocabilità dal 24 ottobre 2001, lo condannava alla pena di anni ventiquattro di reclusione per i reati di omicidio volontario di NOME COGNOME e di porto abusivo di armi.
La Corte di appello ricapitolava la versione degli eventi come ricostruiti da COGNOME, nonché lo sviluppo del giudizio, rispetto al quale l’istante aveva articolato l’istanza di revisione, deducendo che la sentenza di condanna della Corte di assise di appello si sarebbe fondata su un falso in giudizio ex art. 630, lett. d), cod. proc. pen.
In particolare, COGNOME lamentava di essere stato condannato per i menzionati delitti, con erronea esclusione della legittima difesa, in ragione della circostanza che la pistola che aveva utilizzato per l’omicidio era stata ritenuta quella nella sua legittima disponibilità per la valorizzazione – pur a seguito di accertamenti tecnici contrastanti – della perizia espletata dagli esperti COGNOME e COGNOME nominati dalla Corte di assise di appello. Per costoro l’arma, legittimamente detenuta da COGNOME
era stata però manipolata. Da ciò la Corte di assise di appello traeva la conseguenza che la manipolazione era intervenuta per nasconderne l’utilizzo in occasione dell’omicidio.
L’istanza di revisione di COGNOME si fondava, quindi, sulla sentenza emessa dal Tribunale di Caltanissetta, che lo aveva mandato assolto dal delitto di calunnia, per aver accusato ingiustamente i citati periti.
Il Giudice nisseno, infatti, aveva accertato incidentalmente, grazie ad ulteriori e più avanzate tecniche di rilevamento, che l’arma nella disponibilità di Siciliano diversamente da quanto affermato nelle sentenze relative all’omicidio – non era stata manomessa, bensì recava un difetto di fabbricazione originaria.
Ciò avrebbe escluso una delle ragioni spese dalla Corte di secondo grado per escludere la legittima difesa: l’imputato aveva utilizzato la propria arma per l’omicidio e si era recato già armato al confronto con la vittima, quindi con intenzioni incompatibili con la scriminante.
3. La Corte territoriale ha ritenuto l’istanza di revisione inammissibile.
L’ordinanza impugnata rileva come la sentenza del Tribunale nisseno non abbia accertato il falso in perizia. Difatti, l’assoluzione di COGNOME dal delitt calunnia interveniva non per insussistenza del fatto, bensì per difetto dell’elemento psicologico. Inoltre, la Corte territoriale rilevava come non fosse decisiva la sentenza nissena e l’accertamento incidentalmente operato, in quanto sia la Corte di primo grado – che pure non aveva certezza che l’arma utilizzata fosse quella del COGNOME – che quella di secondo grado – che invece aveva fondato sulla ritenuta manipolazione dell’arma l’utilizzo della stessa – comunque escludevano anche per ulteriori ragioni la sussistenza della legittima difesa.
Inoltre, la Corte di appello rileva come l’istanza in esame fosse reieterativa di precedenti richieste di revisione, dichiarate anche inammissibili, fondate sulla medesima ‘prova nuova’, e pertanto meritevole della sanzione della inammissibilità anche sotto tale ulteriore profilo.
Avverso la già menzionata ordinanza propone ricorso NOME COGNOME lamentando vizi di motivazione ma nella sostanza anche violazioni di legge, rappresentando come l’istanza di revisione in esame sia stata formulata ai sensi dell’art. 630, lett. d), cod. proc. pen., il che escluderebbe la ritenuta reiterazione
Inoltre, la revisione ex art. 630, lett. d), cod. proc. pen. non richiederebbe una sentenza passata in giudicato che accerti il delitto di falso, ma che la falsità sia comprovata, come è per la sentenza del Tribunale nisseno che ha accertato la falsità del contributo dei periti, seppur in buona fede.
Secondo il ricorrente la lett. d) dell’art. 630 cod. proc. pen. esclude che la Corte della revisione debba operare, a differenza di quanto previsto dalla lett. c), un giudizio prognostico che, avendo esito negativo per l’istante, consenta di dichiarare l’inammissibilità in assenza di un contraddittorio.
Inoltre, il ricorso lamenta contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe valutato la inammissibilità per reiterazione dell’istanza, salvo poi a rivalutarla in relazione all’art. 606 lett. d), quindi prendendo atto che si versi in caso diverso da quello oggetto delle precedenti istanze.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Occorre premettere che i poteri e le facoltà della Corte territoriale nel giudizio di revisione si confrontano necessariamente con la tipologia della richiesta di revisione e sono condizionati dall’accezione e portata dei casi di revisione: deduzione del contrasto tra giudicati (art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), ovvero la revoca della sentenza civile o amministrativa su questione pregiudiziale (lett. b), la deduzione di prove nuove (lett. c), o ancora, come in questo caso, se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato (lett.d).
Nel caso in esame la Corte di appello valuta l’istanza, in relazione alle lett. c) e d) dell’art. 630 cod. proc. pen., cosicché non si rinviene alcun vizio da contraddizione logica nella ‘doppia motivazione’ offerta e censurata dal ricorrente.
Non di meno, va evidenziato come l’istanza di revisione sia esclusivamente concentrata sul tema della legittima difesa nel delitto di omicidio: in ordine alla scriminante la causa di revisione ex lett. c) o d) viene ad essere individuata nella sentenza del Tribunale di Caltanissetta.
La Corte territoriale chiarisce per un verso che la sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 21 febbraio 2017 riguardava l’assoluzione dal delitto di calunnia attribuita a COGNOME, per aver accusato, sapendoli innocenti, di falsità i periti che nel secondo grado del giudizio di merito, avevano ritenuto manomessa l’arma dell’attuale ricorrente.
A riguardo, corretta risulta la dichiarata inammissibilità dell’istanza in relazione alla richiamata lett. d), in quanto occorre che sia «dimostrato che la
condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato».
Che l’espressione citata sia da riferirsi alla sentenza di condanna proprio e solo per il delitto di falso, o per altro reato condizionante (e non quello di calunnia, come nel caso in esame, che difetta di tale requisito), lo si evince dall’art. 633 cod. proc. pen. che al comma 3 prevede che «nel caso previsto dall’articolo 630 comma 1, lettera d), alla richiesta deve essere unita copia autentica della sentenza irrevocabile di condanna per il reato ivi indicato».
In sostanza, la sentenza che accerta la sussistenza del falso in giudizio deve avere ad oggetto proprio l’accertamento della sussistenza di un delitto condizionante il giudizio in revisione – come, ad esempio, il reato di falsa perizia ex art. 373 cod. pen. – tanto che la sentenza irrevocabile richiesta deve essere quella di condanna per il delitto di falso.
È di tutta evidenza che la sentenza di assoluzione riguardo al delitto di calunnia attribuito al condannato, per difetto del coefficiente soggettivo, non possa surrogare quella richiesta dagli artt. 630, lett. d) e 633 cod. proc. pen. relativamente al reato che dovrebbe condizionare la decisione oggetto di revisione.
Va pertanto affermato il principio per il quale non è ammissibile la richiesta di revisione, che adduca la falsità delle prove o che la condanna è stata pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto come reato, ex art. 630, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. in assenza di un accertamento irrevocabile sulla dedotta falsità o sull’esistenza dei fatti criminosi posti fondamento della condanna, potendo il giudice della revisione procedere ad un accertamento incidentale solo nel caso in cui per i fatti criminosi presupposto della revisione sia intervenuta una causa estintiva che impedisca un accertamento principale nel merito (Sez. 5, n. 40169 del 24/06/2009, Omar, Rv. 245189 – 01; conf: N. 1925 del 1991, N. 8237 del 1993). Il che nel caso in esame non è.
In ordine al rilevato profilo non disarticolante delle doglianze proposte, che consente la decisione di inammissibilità ex art. 634 cod. proc. pen., emerge dalla sentenza della Prima sezione di questa Corte di cassazione, n. 4456 del 24 ottobre 2001 (dal fol. 12) – che definiva il giudizio di cognizione nei confronti di COGNOME – che la sentenza di secondo grado escludeva la sussistenza della legittima difesa anche prescindendo dal tema dell’arma utilizzata. E ciò, sia se la pistola utilizzata fosse stata quella detenuta dall’imputato, sia se invece fosse stata quella della vittima. Infatti, la Corte di assise di appello aveva evidenziato come COGNOME era più giovane, più alto e più prestante della vittima, cosicché ben avrebbe potuto sottrarsi alla aggressione asseritamente subita; inoltre, la sbarra di ferro con la
quale COGNOME sarebbe stato colpito, nella sua ricostruzione, non era mai stata rinvenuta e comunque l’imputato stesso aveva narrato di essere riuscito a
strapparla dalle mani della vittima, cosicché non sussisteva alcuna necessità di far uso dell’arma, difettando un serio e attuale pericolo per la persona e ben potendo
Siciliano difendersi a mani nude. Infine, quanto all’eccesso colposo nella legittima difesa, la Corte di cassazione dava atto di come le sentenze di merito ne avevano
esclusa la configurabilità per la sproporzione dei mezzi in campo.
Si tratta di argomenti che la Corte territoriale ha in questo procedimento valutato e valorizzato in modo corretto e non manifestamente illogico, richiamando
le sentenze di primo e secondo grado e facendo anche riferimento – in tal senso correttamente rappresentando la natura reiterativa dell’attuale istanza, in assenza
di nova –
al difetto di decisività della sentenza di assoluzione dal delitto di calunnia da parte del Tribunale di Caltanissetta.
Tale ultima sentenza era stata oggetto, infatti, di altre due istanze di revisione e la Corte di appello aveva ritenuto la pronuncia nissena non decisiva a più riprese
evidenziando, ulteriormente, come anche il numero di colpi esplosi – ben otto in danno di persona disarmata e a distanza ravvicinata – escludeva la legittima difesa (così la Corte di appello di Catania con ordinanza del 15 maggio 2019, nonché del 5 settembre 2022).
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/05/2025