Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23611 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23611 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Salerno il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, AVV_NOTAIO COGNOME ed NOME COGNOME, in sost. dell’AVV_NOTAIO, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Attraverso i propri difensori, NOME COGNOME impugna la sentenza (recte: ordinanza) della Corte di appello di Roma del 20 giugno 2023, che ha dichiarato inammissibile la sua istanza di revisione della sentenza di condanna per il delitto di tentata estorsione in danno di NOME, emessa nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli il 4 marzo 2013, confermata dalla Corte di appello della stessa città il 10 dicembre 2013 e divenuta
irrevocabile il 1° luglio 2014, a sèguito di sentenza della Corte di cassazione che ne aveva dichiarato inammissibile il ricorso.
Egli è stato ritenuto colpevole di aver minacciato a COGNOME di rivelare all’autorità giudiziaria fatti che lo riguardavano e di penale rilevanza, o comunque pregiudizievoli per la sua posizione giuridica e la sua immagine pubblica, chiedendogli, quale prezzo del suo silenzio, la somma di cinque milioni di euro, tuttavia mai ottenuta.
L’istanza di revisione muove dalla premessa per cui – secondo la ricostruzione dei fatti compiuta nel giudizio di cognizione – la minaccia era stata formulata attraverso due missive, tuttavia mai pervenute a COGNOME, ed un telefax, con il quale COGNOME, allora latitante in Argentina nell’ambito di un processo che lo vedeva coindagato di COGNOME, aveva trasmesso a quest’ultimo la copia del biglietto aereo con cui, di lì a pochi giorni, sarebbe rientrato in Italia, con l’annotazione a margine di una frase gravemente ed indiscutibilmente minacciosa.
La prova nuova, posta a fondamento dell’istanza, è rappresentata dalle informazioni testimoniali rese da COGNOME al difensore di NOME il 10 febbraio 2023, a norma dell’art. 391-bis, cod. proc. pen., con cui il primo oltre a confermare di aver ricevuto una richiesta di denaro da NOME, tramite una terza persona, tuttavia per ragioni del tutto lecite, ed altresì di non aver mai da lui subìto minacce neppure implicite, ha dichiarato – per quanto di specifico interesse ai fini del presente giudizio – di non aver mai ricevuto l’anzidetto telefax.
La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile tale richiesta, ritenendo le dichiarazioni di COGNOME prive del carattere della decisività ai fini di un giudizio assolutorio del NOME, perché il fatto storico dell’avvenuta minaccia era stato dimostrato da una pluralità di prove e perché – come affermato dalla sentenza definitiva della Corte di cassazione – è irrilevante, ai fini della integrazione di un tentativo di estorsione, che le minacce pervengano al destinatario.
Il ricorso consta di tre motivi.
4.1. Con il primo si deducono violazione di legge e vizi di motivazione in punto di novità e decisività delle dichiarazioni di COGNOME.
Anzitutto – si sostiene – la Corte d’appello sarebbe incorsa in un travisamento della sentenza della Corte di cassazione, la quale non ha affatto ritenuto irrilevante la circostanza dell’effettiva conoscenza o meno del telefax da parte di NOME, ma ha affermato semmai il contrario, osservando che la Corte territoriale aveva ritenuto dimostrata tale conoscenza con motivazione logica e, perciò, non sindacabile dal giudice di legittimità.
L’ordinanza impugnata, inoltre, avrebbe ritenuto le dichiarazioni di COGNOME munite di un carattere di novità soltanto in via astratta, in violazione dei criteri indicati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità.
Ed ancora, si deduce che la motivazione con cui è stata esclusa la decisività delle stesse sarebbe contraddittoria ed illogica, dal momento che esse escludono l’avvenuta ricezione del telefax, che invece è stata ritenuta la prova cardine della colpevolezza di NOME.
4.2. Il secondo motivo d’impugnazione consiste nel difetto di motivazione in ordine alle ricadute delle nuove dichiarazioni di COGNOME sulla prova della circostanza che quel telefax sia stato anche soltanto inviato.
Soltanto il coindagato COGNOME, infatti, collaboratore di COGNOME, ha riferito di aver appreso da quest’ultimo dell’invio di quel documento a COGNOME (nulla sapendo dire, invece, della ricezione o meno di esso); tuttavia, le sue dichiarazioni, in ragione di quella sua veste processuale, necessitavano di riscontri, invece mancanti.
Nel giudizio di cognizione, in realtà, la prova dell’invio del fax è stata dedotta esclusivamente dalla ritenuta dimostrazione della ricezione da parte di COGNOME, anch’essa, tuttavia, accertata solo attraverso un processo logico-deduttivo: ragione per cui, venuta meno la prova di quest’ultima, risulterebbe indimostrato anche l’invio dell’ipotizzata richiesta estorsiva, con conseguente inidoneità degli atti ad offendere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.
4.3. Il terzo motivo denuncia essenzialmente una violazione in rito, sostenendosi che la Corte d’appello si sia spinta oltre i limiti previsti dall’art. 634, comma 1, cod. proc. pen., per la delibazione dell’eventuale inammissibilità della richiesta, così precludendo alla difesa il necessario contraddittorio.
Quei giudici, infatti, avrebbero esaminato il merito dell’istanza, senza fermarsi, come invece richiede la norma, a valutarne l’eventuale infondatezza manifesta, tale, cioè, da essere percepibile in modo palese ed indiscutibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato l’ultimo motivo di ricorso, in tema di limiti della delibazione di ammissibilità della richiesta di revisione, con conseguente assorbimento dei precedenti, che attengono ad una valutazione logicamente successiva, qual è quella della valenza dimostrativa della nuova prova dedotta.
Con riferimento al preliminare giudizio di ammissibilità della richiesta di revisione, l’art. 634, cod. proc. pen. – per quanto d’interesse ai fini del presente ricorso – individua il discrimine nella “manifesta infondatezza” della stessa.
Tale situazione ricorre soltanto allorquando l’istanza o non sia fondata sull’acquisizione di nuovi elementi di fatto, bensì su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio; oppure quando essa adduca prove, pur formalmente nuove, ma che si presentano inidonee ictu °cui/ a determinare un effetto demolitorio del giudicato: quando, cioè, le ragioni poste a suo fondamento risultano, all’evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, rimanendo perciò del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente l’effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio (tra altre, Sez. 2, n. 19648 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281422; Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, COGNOME, Rv. 271071).
Nel compiere tale giudizio, dunque, la Corte di appello ha un potere-dovere di valutazione limitato, anche nel merito, in ordine all’oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente a dar luogo ad una necessaria pronuncia di proscioglimento: per cui, se è legittima una verifica prognostica sul grado di affidabilità e di conferenza dei nova, è necessario, tuttavia, che essa non si traduca in indebite anticipazioni del giudizio di merito (Sez. 5, n. 36718 del 04/05/2017, NOME, Rv. 271306).
Nella fattispecie in esame, la Corte di appello ha correttamente individuato gli appena citati princìpi regolatori della materia, ma non ne ha fatto un’applicazione corretta.
La valutazione sulla manifesta infondatezza o meno della nuova prova, nei termini sopra richiamati, non può prescindere anzitutto dal tipo e dall’oggetto di essa: diverso, infatti, almeno in linea tendenziale, è il “peso” che possono avere una prova dichiarativa ed una scientifica, come pure quella che contraddica uno degli elementi indiziari valorizzati nella sentenza di condanna oppure una prova c.d. “diretta”, quella, cioè, che riguardi specificamente la condotta delittuosa, ovvero, ancora, la dichiarazione che provenga da un testimone generico e quella della vittima del reato.
Nell’ipotesi in rassegna, dunque, indiscussa la novità delle dichiarazioni di COGNOME con riferimento alla mancata ricezione del telefax di NOME ed alla motivazione della richiesta di danaro da quest’ultimo rivoltagli, deve rilevarsi come tale prova nuova, per un verso, provenga direttamente dalla persona offesa dal reato e, per l’altro, riguardi il nucleo centrale dell’accusa, ovvero la causale estorsiva o meno della richiesta, e non soltanto il tema della ricezione o meno di quest’ultima da parte della vittima, che la Corte d’appello ha ritenuto essere stato già trattato e risolto dalla sentenza di condanna.
In presenza, allora, di una fonte informativa diretta e qualificata, come l persona offesa dal reato, nonché di un oggetto immediatamente attinente al fatto integrante il reato, debbono escludersi la palese inaffidabilità e l’obiettiva inconferenza della nuova prova, che ne determinano la “manifesta” infondatezza ai fini della revisione del giudicato, salvo il caso limite di asserzioni obiettivamente irragionevoli od incontrovertibilmente smentite dalle prove già valutate in sentenza, che non può ravvisarsi nell’ipotesi in rassegna.
In ragione di quanto sin qui evidenziato, ed impregiudicata rimanendo com’è ovvio – la diversa ed assai più stringente valutazione, da parte della Corte d’appello, sulla capacità di quelle dichiarazioni di COGNOME di sovvertire il giudicato, si rende necessario annullare l’ordinanza impugnata e dar sèguito al giudizio di revisione, rinviando a tal fine alla Corte di appello di Perugia, giudice competente in base agli artt. 11 e 634, comma 2, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per il giudizio di revisione alla Corte di appello di Perugia, ai sensi dell’art. 11, cod. proc. pen.. Così deciso in Roma, il 3 aprile 2024.