Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26459 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TREBISACCE il 22/02/1953
avverso l’ordinanza del 23/10/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Brescia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione presentata da NOME Marcello COGNOME con riguardo alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano il 2 ottobre 2015, divenuta irrevocabile il 4 novembre 2016, con la quale COGNOME è stato ritenuto responsabile di plurimi delitti di bancarotta fraudolenta (capi A, B, D), e condannato alla pena di sei anni di reclusione.
Ricorre NOME COGNOME a mezzo dei difensori avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che articola quattro motivi di impugnazione, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo denuncia, ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen., violazione dell’alt 407, comma 3 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 191, 630 comma 1 lett. c), 129 cod. proc. pen..
Il Giudice a quo ha ingiustamente escluso che l’inutilizzabilità degli esiti delle consulenze tecniche disposte dal pubblico ministero, depositate dopo la scadenza del termine di proroga delle indagini preliminari, costituisse una ragione di revisione, ancorché da ciò derivasse la palese ingiustizia della condanna revocanda, in ragione della correlazione a fatti da intendersi come non esistenti nella realtà processuale. La Corte di merito ha inoltre omesso di rimettere alla Corte Costituzionale la questione sulla legittimità dell’art. 630 ,comma 1 1 lett. c) cod. proc. pen., se inteso come insuscettibile di lettura costituzionalmente orientata e se necessariamente ritenuto da interpretarsi nel senso dell’esclusione dall’ambito della revisione di vizi di inutilizzabilità determinatisi nel giudizio presupposto, e tali per cui la condanna revocanda costituisce il risultato di una valutazione basata su elementi non suscettibili di essere considerati ai fini del giudizio.
Con il primo motivo di revisione proposto alla Corte bresciana, il condannato aveva evidenziato di aver eccepito, nell’ambito del processo presupposto, in sede di udienza preliminare e , di atti preliminari al dibattimento, l’inutilizzabilità ex art. 407 cod. proc. pen., delle consulenze del pubblico ministero (a firma COGNOME e COGNOME), in quanto espletate in epoca successiva alla scadenza del termine di proroga delle indagini preliminari. L’eccezione era stata respinta nel giudizio di primo grado; in appello, COGNOME aveva rinunciato ai motivi di impugnazione, compreso quello di cui in argomento. Cionondinneno, osserva il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare d’ufficio l’inutilizzabilità delle prove assunte in violazione di legge, ai sensi degli artt. 407 e 191 cod. proc. pen.
A fronte di tali argomentazioni, è errata la decisione della Corte d’appello di Brescia che, disattendendo il primo motivo di revisione, ha ritenuto che le questioni relative alle nullità processuali e all’inutilizzabilità delle prove non fossero deducibili in sede di revisione, e che comunque la rinuncia ai motivi di appello sulla formazione del compendio probatorio impedisse la rilevabilità d’ufficio dell’inutilizzabilità delle consulenze tecniche.
Invero, ai sensi degli artt. 407 e 191 cod. proc. pen., deve essere attribuita rilevanza alla inutilizzabilità delle prove anche in sede di revisione, quando la condanna sia derivata quale effetto delle risultanze di prove inutilizzabili; e ciò anche qualora vi sia stata rinuncia all’impugnazione: la parziale rinuncia al gravame non escludeva che il giudice d’appello dovesse ravvisare l’insussistenza della responsabilità penale dell’imputato in ragione dell’inutilizzabilità, da rilevarsi d’ufficio, delle prove su cui, in modo esclusivo, si basava l’affermazione di quella responsabilità. Ancora, osserva il ricorrente come la rinuncia ai motivi non abbia impedito la declaratoria officiosa di non doversi procedere per prescrizione in ordine al reato associativo, a dimostrazione della intangibilità del criterio di cui ‘all’ad 129 cod. proc. pen., volto a tutelare l’innocenza dell’imputato, secondo principi fondamentali anche di diritto internazionale.
Infine, qualora si ritenesse che la disciplina codicistica della revisione non consenta l’applicazione nel senso invocato e costituzionalmente orientato, dovrà essere rimessa alla Corte Costituzionale la questione afferente al dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 630 comma 1 lett c) cod. proc. pen,. nella parte in cui non prevede che sia soggetta a revisione la condanna pronunciata sulla base di elementi di prova della cui inutilizzabilità non abbia tenuto conto, per non averne fatto rilievo, il giudice del processo presupposto, a prescindere dell’intervenuta rinuncia del relativo motivo di gravame.
2.2. GLYPH Con il secondo motivo denuncia, ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen., violazione dell’art. 630,comma 1 1 lett. c) cod. proc. pen., atteso che il giudice a quo ha ingiustamente negato lo svolgimento del giudizio di merito sulla revisione, erroneamente ed arbitrariamente escludendo che le risultanze, emerse nel giudizio civile e fatte proprie dalla Corte d’appello di Milano con sentenza n. 4225 del 21 ottobre 2019, non siano suscettibili di essere qualificate come prove nuove ai fini della revisione e, per di più, procedendo, senza instaurare il contraddittorio, alla pur superficiale comparazione dei nova con l’impianto posto a base della condanna presupposta.
La citata sentenza della Corte d’appello civile ha accertato fatti incompatibili con il giudicato penale (ovvero che le criticità del Gruppo RAGIONE_SOCIALE fossero emerse solo con l’approvazione del bilancio di chiusura al 31/12/2003, e quindi a partire dal maggio 2004, in tal modo escludendo l’assunto su cui si fondava la condanna del Greco,
secondo cui il patrimonio di CIT era palesemente inconsistente a far data dal 1999). L’accertamento probatorio effettuato nel giudizio civile, non meramente valutativo, escludeva quindi il depauperamento societario così come invece ricostruito nel giudizio penale.
Le motivazioni poste a fondamento del rigetto di tale motivo da parte della Corte bresciana sono erronee, in quanto il novum dedotto a fini revisori non si sostanziava in una diversa valutazione tecnica ma negli accertamenti storici compiuti in sede di disamina tecnica degli atti societari gestorib contabili e poi fatti propri dal giudice civile; quanto alla valutazione del merito dei due diversi accertamenti, si duole il ricorrente che la Corte non abbia deciso nel contraddittorio delle parti.
2.3. Con il terzo motivo denuncia, ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen., violazione dell’art. 630 comma 1 lett. a) cod. proc. pen., atteso che la Corte d’appello ha erroneamente escluso la rilevanza, a fini rescissori, del contrasto tra la presupposta condanna penale e gli accertamenti compiuti in modo irreversibile con effetto di giudicato nel giudizio civile.
Come dedotto con motivo di revisione, l’accertamento irrevocabife effettuato nel giudizio civile si pone in insanabile contrasto col giudicato penale, dal momento che è stato escluso il depauperamento societario prima della fine dell’anno 2003, ed essendosi accertata la fuoriuscita antecedente del Greco da ogni ruolo di amministrazione nell’ambito della compagine, ed anzi la posizione di controinteresse e conflitto tra le società ancora amministrate dal Greco ed il gruppo RAGIONE_SOCIALE, a partire dal 2003.
È errata la decisione della Corte bresciana, che ha disatteso il motivo sul presupposto che la sentenza civile si fondasse su una differente valutazione, e che a fini rescissori non rilevi l’inconciliabilità con il giudicato civile.
Sotto il primo profilo, come argomentato nel precedente motivo di ricorso, il novum contenuto nella sentenza irrevocabile civile non è di tipo valutativo, essendo stati accertati dati di fatto storici, oggettivi e documentali, sia pure percepiti in sede peritale. Quanto al secondo profilo, l’estensione quantomeno in via analogica della disposizione sul contrasto di giudicati alla sentenza civile si impone nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme ai principi, di rilevanza anche sovranazionale nel sistema delle garanzie dei diritti fondamentali, di pienezza ed effettività della tutela e della difesa e di unità della giurisdizione.
In subordine, il ricorrente reitera la sollecitazione circa la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità violazione dell’art. 630 comma 1 lett. a) cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost.
2.4. COGNOME Con il quarto motivo denuncia, ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen., violazione dell’art. 630 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., atteso che il giudice a quo, pur dichiarando di dar luogo alla valutazione sull’ammissibilità della richiesta di
revisione ha in realtà posto in disamina le prove nuove addotte, comparandole con le ragioni della presupposta condanna, senza instaurare il contraddittorio; ha inoltre proceduto a detta comparazione in modo puramente apodittico ed assertivo, limitandosi ad affermare la prevalenza e preferibilità dell’impianto accusatorio sotteso alla condanna presupposta, senza indicare la ragione della recessività delle circostanze nuove; la Corte territoriale ha ritenuto che la revisione fosse preclusa per il fatto che le questioni involte dall’emergenza di prove nuove fossero state già affrontate e risolte nel giudizio presupposto, mentre non ha in alcun modo , considerato l’incidenza dei singoli e specifici elementi di fatto, à/dotti nella richiesta di revisione, rispetto all’impianto ricostruttivo sotteso alla condanna rescindenda.
La Corte d’appello, assumendo erroneamente di procedere al vaglio sull’ammissibilità del motivo di revisione, ne ha posto in disamina la fondatezza, omettendo tuttavia di instaurare il doveroso contraddittorio orale tra le parti.
A margine di tale assorbente censura va, tuttavia, osservato come il vaglio comparativo effettuato dalla Corte è stato condotto in modo distonico rispetto al dato normativo, dal momento che la Corte d’appello si è limitata a richiamare frammenti della sentenza di condanna presupposta, predicandone la completezza e condivisibilità, ma senza effettivamente saggiarne e spiegarne la resistenza e compatibilità rispetto agli specifici elementi di fatto addotti quali nova.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che presenta tratti di inammissibilità, è complessivamente infondato.
Merita di essere prioritariamente analizzata la questione processuale, evocata dal ricorrente in seno ai motivi di ricorso secondo e quarto, con la quale ci si duole della mancata attivazione, da parte della Corte d’appello, del contraddittorio.
2.1. Le censure sono da respingere.
2.2. Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, l’inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen. è legittima quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all’evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, talché rimane del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente la concreta capacità delle allegazioni
difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio. Il vizio di manifesta infondatezza, previsto dall art. 634 cod. proc. pen. quale causa di inammissibilità della relativa richiesta, deve quindi essere collegato alla palese inidoneità delle ragioni poste a sostegno della richiesta ad accedere al giudizio di revisione. Diversamente opinando, ne deriverebbe un’indebita sovrapposizione tra momenti procedimentali che il legislatore ha inteso tenere del tutto differenziati: il primo, quale filtro necessario per evitare la proposizione di istanze pretestuose e palesemente infondate, così da evitare un inutile dispendio di attività giurisdizionale, il secondo, volto a garantire al ricorrente l’acquisizione, nel contraddittorio delle parti, delle prove ritenute, sul piano astratto, in grado di sovvertire l’esito del giudizio già concluso (Sez. 2 n. 19648 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281422; Sez. 1, n. 40815 del 14/10/ 2010, COGNOME, Rv. 248463). Tuttavia, anche nella fase rescindente, è richiesta una delibazione non superficiale, sia pure sommaria, degli elementi addotti per capovolgere la precedente statuizione di colpevolezza, e tale sindacato ricomprende necessariamente il controllo preliminare sulla presenza di eventuali evidenti profili di inaffidabilità, non persuasività e di incongruenza, rilevabili in astratto, oltre che di non decisività riscontrabili ictu oculi delle allegazioni poste a fondamento dell’impugnazione straordinaria; la valutazione preliminare circa la ammissibilità e la non manifesta infondatezza della richiesta fondata su prove nuove implica anche la necessità di una comparazione, sia pure superficiale, tra le stesse e quelle già acquisite nel processo di cognizione e quindi la idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare -ove eventualmente accertati- che il condannato, all’esito del riesame di tutte le prove già esistenti, unitamente a quelle nuove introdotte con l’istanza di revisione, potrebbe essere prosciolto nella futura fase rescissoria (Sez. 5 n. 1969 del 20/11/2020, F., Rv. 280405; Sez. 5, n. 26579 del 21/02/2018, G., Rv. 273228; Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, Conti Mica, Rv. 253437). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. I principi richiamati sono stati rispettati nel caso di specie dalla Corte di appello di Brescia, che ha legittimamente valutato l’immediata inconferenza, rispetto all’impianto probatorio già esistente, delle prove dedotte come “nuove”, verificandone anche l’incapacità a disarticolare o comunque a scalfire il ragionamento del giudice della cognizione e le sue ragioni.
GLYPH Il primo motivo, con il quale il ricorrente reitera l’eccezione di inutilizzabilità delle consulenze tecniche disposte in indagini preliminari dal pubblico ministero, e depositate successivamente alla scadenza del termine di proroga delle indagini, è inammissibile.
3.1. GLYPH Del tutto condivisibilmente la Corte di merito ha evidenziato come detta eccezione risulti del tutto estranea al giudizio di revisione, che permette di rimuovere
il giudicato nei soli casi disciplinati dall’art. 630 cod. proc. pen.: non è quindi ammissibile, nel giudizio di revisione, avanzare questione attinenti alla nullità o inutilizzabilità di prove assunte nel corso del giudizio di cognizione.
L’istituto della revisione di cui all’art. 630 cod. proc. pen., quale mezzo di impugnazione straordinaria, non può essere utilizzato per dedurre nullità verificatesi nel processo definito con sentenza irrevocabile: le nullità verificatesi nel processo di cognizione, pur se assolute ed insanabili, trovano il loro limite preclusivo nel perfezionarsi del giudicato (Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, NOME, Rv. 263598, richiamata, in motivazione, da Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric).
Le doglianze mosse dal ricorrente nel primo motivo di ricorso appaiono dirette a far valere una sanzione processuale, quella della inutilizzabilità della prova, che andava eccepita o rilevata nel giudizio di cognizione, e che – al pari di quanto accade per le nullità assolute – resta definitivamente sanata dal passaggio in giudicato della sentenza.
3.2. GLYPH A tale, già di per sé dirimente, considerazione, la Corte bresciana ha ulteriormente rilevato che l’eccezione di inutilizzabilità delle consùlenze tecniche del pubblico ministero era stata sollevata dal Greco sia nel corso dell’udienza preliminare che nel giudizio di primo grado; il Tribunale aveva respinto l’eccezione, ed il Greco aveva formulato specifico motivo di appello sul punto; detto motivo era tuttavia stato oggetto di espressa rinuncia da parte del prevenuto, il quale, nel giudizio di secondo grado, aveva rinunciato a tutti i motivi di gravame con la sola eccezione di quelli relativi al trattamento sanzionatorio; peraltro la Corte di appello aveva comunque valutato l’eccezione, in quanto proposta da altri imputati non rinuncianti, respingendola. Infine, il Greco non aveva riproposto la questione nel giudizio di Cassazione.
Ebbene, alla luce della descritta sequenza procedimentale, appare evidente come lo strumento straordinario della revisione non possa essere invocato per ottenere la reviviscenza, ed una nuova valutazione, di questioni dedotte e decise dal Giudice di merito, o sulle quali la Corte di appello non si è pronunciata per espressa rinuncia da parte dell’appellante, non potendo il giudice della revisione rivalutare la questione relativa alla utilizzabilità o meno di una prova già scrutinata dai giudici della cognizione principale.
3.3. GLYPH Manifestamente infondata è poi la questione afferente al dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 630 comma 1 lett. c) cod. proc. pen,. nella parte in cui non prevede che sia soggetta a revisione la condanna pronunciata sulla base di elementi di prova, della cui inutilizzabilità non abbia tenuto conto, per non averne fatto rilievo, il giudice del processo presupposto, a prescindere dell’intervenuta rinuncia del relativo motivo di gravame.
Correttamente, sul punto, la Corte bresciana ha evidenziato come non sia rinvenibile alcun vulnus al diritto di difesa ed ai principi del giusto processo, anche in considerazione del principio già affermato da Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, PG, Rv. 274996- 03, per cui l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini non è rilevabile d’ufficio, ma soltanto su eccezione di parte immediatamente dopo il compimento dell’atto o nella prima occasione utile, con la conseguenza che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità.
Occorre poi considerare come il carattere straordinario della impugnazione in esame e la sua attitudine a superare il giudicato giustifichino i suoi limiti di ammissibilità; l’istituto è infatti finalizzato a realizzare un equilibrato bilanciamento tra opposti interessi mediante soluzioni normative dalle quali traspare che «la revisione è necessariamente subordinata a condizioni, limitazioni e cautele, nell’intento di contemperarne le finalità con l’interesse fondamentale in ogni ordinamento alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche ed all’intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna, che siano passate in giudicato» (Corte cost. n. 28 del 1969; Corte cost., n. 129 del 2008). In tale quadro di riferimento la prospettata questione di legittimità costituzionale rivela la sua manifesta infondatezza: la stabilità del giudicato impedisce di accedere ad interpretazioni, come quelle prospettate dal ricorrente, sganciate dal dato testuale della norma e che condurrebbero, in assenza di un intervento normativo, a soluzioni strutturalmente incerte
L’eccezione di illegittimità costituzionale sollecitata muove peraltro da un presupposto (l’inutilizzabilità degli atti posti a fondamento del giudizio di responsabilità dai Giudici della cognizione) che nel caso in esame non è rinvenibile, atteso che l’eccezione fu decisa e motivatamente respinta dai Giudici di merito.
GLYPH I motivi secondo e terzo, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta interconnessione, sono infondati.
4.1. GLYPH In sostanza il ricorrente si duole del fatto che gli accertamenti peritali disposti nel giudizio civile di responsabilità azionato nei confronti degli amministratori delle società fallite, e per quel che ci riguarda anche nei confronti del Greco, non siano stati valutati dalla Corte bresciana come “nuove prove” rilevanti ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen. (motivo secondo); e si duole poi che non sia stata riconosciuta, ex art. 630 lett. a) cod. proc. pen., l’inconciliabilità di giudicati tra le due pronunce (motivo terzo).
4.2. GLYPH Va innanzitutto ricordato che ai sensi dell’art. 637, comma 3, cod. proc. pen il giudice della revisione «non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio»: fondamentale è infatti la distinzione tra fatti e giudizi o valutazioni poiché, mentre la differenza di valutazioni è connaturata all’attività
giurisdizionale che trova il suo momento conclusivo in un apprezzamento logicamente motivato ma discrezionale – sul materiale probatorio acquisito al processo, l’ordinamento non può invece consentire che i fatti, il cui accertamento costituisce la premessa del giudizio, siano ritenuti esistenti da un giudice e inesistenti da un altro giudice. In definitiva, la realtà fattuale posta a fondamento delle decisioni giudiziarie deve essere incontrovertibile; la valutazione di questa realtà può invece essere diversa. È quindi inevitabile che, fermi restando i fatti accertati nei diversi processi, giudici diversi possano apprezzarli diversamente.
stato quindi affermato che, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, una diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti può costituire “prova nuova”, ai sensi dell’art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche (Sez. 6, n. 13930 del 14/02/2017, COGNOME, Rv. 269460 – 01); e che, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, possono costituire “prove nuove” ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quelle che, pur incidendo tu un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili (Sez. 4, n. 28724 del 14/07/2021, Del, Rv. 281740 – 01).
Correttamente la Corte bresciana ha quindi evidenziato come, nel caso di specie, «la ctu civilistica non è in alcun modo basata su nuove acquisizioni tecniche o metodologie ricostruttive, generalmente riconosciute, che consentano la revisione dei giudizi già espressi dai consulenti nominati in sede penale».
4.3. GLYPH Quanto al secondo profilo, sviluppato nel terzo motivo di ricorso, è sufficiente a rivelarne la manifesta infondatezza, richiamare l’argomento testuale contenuto nell’art. 630 lett. a) cod. proc. pen.: l’inconciliabilità tra giudicati che legittima il ricorso alla revisione ex art. 630 lett. a) cod. proc. pen è infatti configurabile nei soli casi in cui il contrasto giurisdizionale dedotto nell’interesse del condannato riguardi l’esistenza di una «sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale».
Sulla evocata questione di legittimità costituzionale, non si può che richiamare la giurisprudenza risalente di questa Corte, che, nell’esaminare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 630 cod. proc pen., per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., affermava: «È irrilevante l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede come motivo di revisione una ipotesi analoga a quella prevista come causa di revocazione, dalla art. 395, n. 4, c.p.c., sollevata per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. A parte la manifesta non fondatezza della questione, solo ove si osservi che nel processo civile il giudice
conosce “juxta alligata et probata”, talché può accadere che la sentenza sia frutto della supposizione di un fatto inesistente o si fondi sull’esclusione di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, senza che queste circostanze abbiano formato oggetto di controversia tra le parti e quindi di specifico esame ad opera del giudice e che, al contrario, il giudice penale non può incontrare nella sua cognizione fatti non controversi, ma deve sempre accertare autonomamente l’esistenza o l’inesistenza di ogni elemento della fattispecie significativo per la sua decisione, donde la ragionevolezza della disciplina ove la Corte ne potesse valutare la rilevanza. Un’indagine, che le è però preclusa, supponendo l’esame in fatto dell’esistenza di un errore che sia stato causa efficiente della decisione e, quindi, una positiva valutazione circa l’applicabilità alla specie di una supposta norma che tale vicenda ricomprendesse nell’art. 630 c.p.p.».
Occorre, pertanto, ribadire che non è configurabile un’incompatibilità, rilevante ex art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., tra i giudicati di una sentenza civile e di una sentenza penale, atteso che nel processo civile il giudice conosce dei fatti sulla base delle prove e delle allegazioni delle parti, onde può accadere che la decisione sia il frutto della supposizione di un fatto inesistente o si fondi sull’esclusione di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, senza uno specifico esame del giudice, al contrario di quanto si verifica per il giudice penale, che non può incentrare la sua cognizione su fatti non controversi, ma deve sempre accertare autonomamente l’esistenza o l’inesistenza di ogni elemento della fattispecie indispensabile per la sua decisione.
5. GLYPH Il quarto motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, nel valutare le argomentazioni poste a fondamento della richiesta di revisione da parte del condannato, ha, con motivazione ineccepibile, ritenuto che le “prove” offerte in valutazione non fossero dotate del necessario requisito di novità.
Nel caso di specie, la richiesta di revisione era infatti sostanzialmente fondata sulla richiesta di esercitare il diritto alla prova in maniera diversa e più ampia di quanto non fosse stato fatto nel giudizio di cognizione.
In particolare, secondo l’incontestata sintesi di cui all’impugnato provvedimento, l’istante sosteneva che: quanto al capo A), i Giudici di merito non avevano esaminato la documentazione relativa agli incarichi societari; quanto al capo B), si censurava l’affermazione di responsabilità, fondata su un unico teste a carico, e con pretermissione delle prove a discarico; con riferimento al capo D), si lamentava la mancata valutazione, da parte dei Giudici della cognizione, di elementi rilevanti, specificatamente indicati, come sintetizzati alle pagine da 8 a 10 dell’impugnato provvedimento.
La disamina operata dalla Corte territoriale appare quindi corretta, dal momento che, invero, il prevenuto, più che valorizzare nuovi elementi probatori, idonei
astrattamente a travolgere il giudicato, si è limitato a riproporre al giudice della revisione, in modo all’evidenza inammissibile, una diversa valutazione di documenti,
atti, prove testimoniali, già assunti nel corso dei giudici di merito; le “prove nuove”
a cui il ricorrente fa riferimento, non costituiscono infatti elementi probatori effettivamente nuovi, essendo sostanzialmente la richiesta di revisione finalizzata, in
modo all’evidenza inammissibile, a far rivalutare la capacità dimostrativa delle prove già acquisite.
Per costante giurisprudenza di legittimità, infatti, nella nozione di prove nuove, rilevanti a norma dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non rientrano quelle
esplicitamente valutate dal giudice di merito, anche se erroneamente, potendo in tal caso essere proposti gli ordinari mezzi di impugnazione (Sez. 3, n. 23967 del
23/03/2023, P., Rv. 284688 – 01; Sez. 3, n. 34970 del 3/11/2020, brio, Rv. 280046
– 01).
‘La Corte, comunque, dopo avere argomentato correttamente sulla non novità delle prove offerte, le ha comurt esaminate (pagg. 16-29), rilevando la non capacità delle stesse di disarticolare i discorsi giustificativi posti dai Giudici di merito a fondamento della responsabilità.
Il ricorso si limita a riproporre le medesime questioni già sottoposte al giudice della revisione, e da questi risolte con motivazione congrua e non manifestamente illogica, ponendosi in termini prettamente confutativi e sollecitando questa Corte a sovrapporre una, non consentita, diversa valutazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere disatteso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/04/2025