Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11122 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11122 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CALTANISSETTA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a PARTINICO il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di quest’ultimo COGNOME NOME
avverso la sentenza del 14/06/2022 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del PG ASSUNTA COGNOME, che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per la parte civile NOME COGNOME, che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili, depositando comparsa conclusionale e nota spese;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per le parti civili COGNOME NOME e NOME COGNOME, che si è riportato alle conclusioni scritte depositate
unitamente alla nota spese;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso, chiedendo l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Caltanissetta ha rigettato l’istanza di revisione proposta da NOME COGNOME e dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo avverso la sentenza della Corte di assise di Palermo n. 2/2008, emessa in data 27 marzo 2008 nei confronti del suddetto COGNOME per il reato di concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dalla morte della persona offesa.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e il Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti.
Il ricorso del Procuratore generale si articola in un unico motivo di impugnazione, con cui si deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, 630, lett. c), e 631 cod. proc. pen., nonché l’illogicità della motivazione, in ordine alla ritenuta inettitudine della prova nuova a superare il giudicato e alla ritenuta attendibilità di NOME COGNOME. Mancherebbe, nel provvedimento impugnato, una valutazione unitaria del consistente complesso di elementi probatori raccolti nell’ambito della rinnovazione istruttoria, viceversa travisati sottoposti a uno scrutinio eccessivamente frazionato e non sorretto da adeguata motivazione.
In particolare, la sentenza impugnata ha confermato l’attendibilità del còrreo COGNOME, le cui propalazioni eteroaccusatorie rappresentano la base principale dell’affermazione di condanna di COGNOME. Tuttavia, in primo luogo, secondo il ricorrente, è stata trascurata, ingiustamente e con motivazioni superficiali, la ritrattazione contenuta in due lettere indirizzate a quest’ultimo e riscontrata dalle intercettazioni audiovisive realizzate durante un colloquio in carcere con i familiari (nell’ambito del quale COGNOME confermava di avere subito fortissime pressioni da parte degli investigatori). La stessa analisi del traffico telefonico muoverebbe da presupposti inesatti, come dimostrato dalla consulenza informatica, ipotizzando un numero di contatti tra i due imputati superiore a quello effettivo (giustificato dalle prestazioni lavorative effettuate da COGNOME in favore di COGNOME, come bracciante agricolo) e collocando erroneamente COGNOME sulla scena del crimine
(il pozzetto dove fu segregata la persona offesa) quando invece il suo cellulare agganciava una cella telefonica molto distante. Ulteriori discrasie tra la narrazione di COGNOME (che ha raccontato di avere dissaldato la copertura metallica del pozzetto) e gli accertamenti in loco degli inquirenti (che avevano riscontrato uno strato di ruggine incompatibile con interventi recenti) farebbero infine dubitare persino della stessa materiale partecipazione del dichiarante all’esecuzione di questo segmento della condotta, lasciando ipotizzare un suo apporto soltanto successivo, come carceriere, all’attività di altri concorrenti, rimasti sinora ignoti
Sarebbero stati, inoltre, ipervalorizzati i moventi economici di COGNOME, che, pure dovendo onorare le rate di un mutuo di qualche consistenza, non aveva sino ad allora riscontrato difficoltà insuperabili, di modo che apparirebbe implausibile che, solo a fronte di una transeunte illiquidità, un lavoratore sino ad allora onesto si sarebbe deciso a commettere un delitto efferato, in vista di un vantaggio economico certo consistente, ma non tale da giustificare una simile condotta criminosa.
4.1. Con il primo motivo di impugnazione, il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME deduce la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e la carenza di motivazione, in ordine alla ritenuta inattitudine della prova nuova a «falsificare» il giudicato.
La ritrattazione scritta di COGNOME costituirebbe prova nuova idonea a fondare il giudizio di revisione, in quanto confermata da plurimi convergenti elementi di riscontro. In primo luogo, la Corte di appello non avrebbe posto in correlazione la lettera del co-imputato, già uscito dal carcere una volta scontata la pena (assai più lieve, giusta il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione, dell’ergastolo inflitto a COGNOME), con il racconto fatto dal medesimo COGNOME ai genitori nel parlatorio del carcere (allorquando riferisce di avere ricevuto uno schiaffo dagli operanti e di essere stato incappucciato) e con il diverso stato dei luoghi verificato nel secondo e più accurato sopralluogo (da cui emergeva la presenza di ruggine sui pozzetti, incompatibile con un taglio recente). A fronte di queste circostanze, sintomatiche di un concreto condizionamento del dichiarante, appariva oltremodo necessaria la sua audizione, viceversa denegata dalla Corte territoriale.
4.2. Il secondo motivo reitera le considerazioni in tema di violazione di legge e di manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene al giudizio di attendibilità di COGNOME. La Corte di appello svaluterebbe la novità delle prove, reputando l’attendibilità del chiamante in correità materia già ampiamente trattata nel giudizio precedente, nonostante sia evidente che una valutazione ai sensi dell’art. 631 cod. proc. pen. postuli fisiologicamente una complementarietà tra le prove già scrutinate e le prove nuove.
4.3. Con il terzo motivo si contesta la violazione degli artt. 191, 526, 630, lett. c), e 634 cod. proc. pen., nonché la manifesta illogicità della motivazione in ordine al ritenuto difetto di novità dell’attività tecnica relativa al traffico telefo
Uno dei riscontri chiave alla chiamata in correità di COGNOME era costituito da una telefonata tra lui e COGNOME, che avrebbe collocato quest’ultimo, alle ore 20.06 del 13 luglio 2007, in località Borgetto, nei pressi del luogo di custodia del sequestrato (questa ricostruzione è fatta propria dalla Corte di appello, onde giustificare un dialogo telefonico incompatibile con l’originaria ipotesi di una compresenza dei due coimputati, entrambi impegnati nel calare la vittima nel pozzetto). Nondimeno, la consulenza tecnica espletata dall’ingegner COGNOME e dal professor COGNOME che, dall’analisi dei tabulati telefonici, per tale conversazione il telefono di COGNOME COGNOME connette a un ripetitore della zona tra Castellammare e Alcamo e comunque non in uno dei luoghi coerenti con l’ipotesi accusatoria (Borgetto, Cipirello, San NOME iato). L’ipotesi di un «sovraccarico di cella» sarebbe erroneamente desunta da dichiarazioni atecniche di un ufficiale di polizia giudiziaria e da un nota della compagnia RAGIONE_SOCIALE, che, letta correttamente, specificherebbe invece l’assenza di segnale nei termini ritenuti in sentenza. Queste argomentate riflessioni sono state del tutto obliterate, secondo il ricorrente, accettando acriticamente le apodittiche contrarie conclusioni dei tecnici della parte civile che opinano un impossibile «cambio di cella» (handover). Resterebbe dunque privo di un’adeguata motivazione l’intero percorso illustrativo della Corte di appello sul punto, che si accontenterebbe di generiche considerazioni sulla maggiore estensione delle celle nelle zone rurali, nella illogica necessità di accertamenti sul campo e in un irragionevole calcolo dei tempi di percorrenza tra le zone di copertura delle due celle. 4.4. Con il quarto motivo, la difesa si duole della motivazione meramente apparente in ordine alla ritenuta mancanza di novità e comunque inidoneità a fini di revisione della consulenza tecnica dell’ing. COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La sentenza impugnata tralascerebbe ogni valutazione in merito alla incidenza delle circostanze emergenti dal suddetto elaborato tecnico rispetto al dedotto mendacio di COGNOME. In maniera asseritamente contraddittoria, si registra in motivazione il ridimensionamento del numero dei contatti telefonici originariamente supposti tra i due coimputati, ma poi si continua a dare atto di un «picco di telefonate» (che il ricorrente ritiene inesistente, anche avuto riguardo all’erronea lettura delle peculiari modalità di registrazione di RAGIONE_SOCIALE, confermate poi almeno parzialmente da una nota ad hoc della medesima società).
4.5. Il ricorrente, con il quinto e ultimo motivo, si duole della mancanza di motivazione per quel che concerne la valutazione unitaria dei nova sopra illustrati e delle prove già a suo tempo acquisite, secondo un canone imprescindibile nel
giudizio rescissorio, per espressa lettera della legge. In quest’ottica, perderebbe completamente di significato anche il giudizio sulla causale economica, a maggior ragione se si considera che l’effettivo inadempimento del ricorrente nei confronti della banca finanziatrice aveva per oggetto solo una rata di neppure euro 5.000, senza che emerga alcuna solida prova in ordine a un’esposizione maggiore o ad altre circostanze di qualche rilievo per la sua complessiva situazione economica.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
In primo luogo, è opportuno osservare, preliminarmente, come siano prove nuove rilevanti a norma dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen. non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443, secondo cui non incide su tale conclusione neppureWomessa conoscenza da parte dell’Autorità giudiziaria sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziari
Non costituisce, in particolare, prova nuova la mera diversa valutazione tecnico-scientifica di dati già valutati, che si tradurrebbe in apprezzamento critico di emergenze oggettive già conosciute e delibate nel procedimento (Sez. 5, n. 10523 del 20/02/2018, COGNOME, Rv. 272592; Sez. 6, n. 13930 del 14/02/2017, COGNOME, Rv. 269460; Sez. 2, n. 12751 del 29/03/2011, COGNOME, Rv. 250049, che ammettono la novità della prova scientifica solo quando, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, gli accertamenti siano fondati su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, tali da fornire risultati raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili).
In ogni caso, le nuove emergenze istruttorie devono essere idonee, da sole o unitamente a quelle già acquisite, a ribaltare il giudizio di colpevolezza (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028; Sez. 6, n. 20022 del 30/1/2014, COGNOME, Rv. 259778; Sez. 6, n. 1155 del 1/4/1999, COGNOME, Rv. 216024).
Il giudice della fase rescissoria ha quindi l’obbligo di fornire adeguata giustificazione logica dell’esame delle risultanze processuali e, in caso di rigetto, deve indicare i motivi per i quali le prove nuove dedotte nel giudizio sono inidonee ad incrinare il quadro probatorio posto alla base della sentenza di condanna (Sez.
5, n. 43565 del 21/06/2019, COGNOME, Rv. 277538). La comparazione fra le prove nuove e quelle sulle quali si fonda la condanna irrevocabile non richiede solo il confronto di ogni singola prova nuova, isolatamente considerata, con quelle già esaminate, occorrendo, altresì, una valutazione unitaria e globale della loro attitudine dimostrativa, da sole o congiunte a quelle del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento; ne consegue che il rapporto tra prove pregresse e prove introdotte in sede di revisione deve essere espresso in termini di “riconsiderazione”, valorizzando la funzione dinamica del complessivo giudizio probatorio conseguente all’introduzione del novum (Sez. 5, n. 7217 del 11/12/2018 dep. 2019, Dessolis, Rv. 275619).
Si deve pertanto pervenire a un esito positivo del giudizio di revisione, solo quando la prova nuova conduca all’accertamento – in termini di ragionevole sicurezza – di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, COGNOME, Rv. 281772; Sez. 5, n. 24070 del 27/04/2016, NOME, Rv. 267067; Sez. 5, n. 24682 del 15/05/2014, Ghiro, Rv. 260005). Da ciò consegue, in capo al giudice della revisione, l’obbligo motivazionale di fornire adeguata giustificazione logica con cui dimostri di avere esaminato le risultanze sottoposte alla sua decisione e, in caso di rigetto, di necessaria indicazione dei motivi per i quali le prove nuove dedotte, alla luce di quelle già valutate nel giudizio di cognizione, non sono inidonee ad incrinare il quadro probatorio su cui si è basata la sentenza di condanna (Sez. 5, n.38276 del 19/02/2016, COGNOME, Rv. 267786; Sez. 6, n. 14591 del 21/02/2007, COGNOME, Rv. 236153; Sez. 4, n. 24291 del 07/04/2005, COGNOME, Rv. 231734).
2. Il percorso argomentativo della Corte di appello di Caltanissetta, in ossequio al principio della necessità di un’accurata ponderazione delle emergenze probatorie già agli atti e di quelle formatesi nella nuova istruzione, muove correttamente da un ampio compendio della precedente vicenda processuale, a partire dalla scomparsa di NOME COGNOME, il 13 gennaio 2007, mentre stava occupandosi della sua masseria nel Comune di Monreale, INDIRIZZO, per poi richiamare le telefonate ricevute dai familiari con cui era avanzata la richiesta di riscatto (il 14 gennaio successivo, dall’utenza del sequestrato, da parte di un soggetto di sesso maschile; il 15 e il 21 gennaio, da un’utenza pubblica, da parte di altra voce maschile); l’individuazione del “telefonista” (identificato in NOME COGNOME, residente poco distante) e l’avvio di una consistente attività captativa, anche mediante pedinamento satellitare; l’accertamento di plurimi e sospetti contatti telefonici, durante i giorni del sequestro, tra COGNOME e un agricoltore della zona, NOME COGNOME; il fermo di NOME COGNOME e la sua immediata
confessione, con chiamata in correità del suddetto COGNOME, indicato quale ideatore del piano e co-esecutore materiale; il ritrovamento del corpo di COGNOME, a seguito delle precise indicazioni di COGNOME, in un pozzetto in cemento interrato, a servizio dell’acquedotto di Alcamo; l’accertamento delle cause della morte di COGNOME, avvenuta verosimilmente intorno al 25 gennaio, per asfissia e comunque per ragioni legate alle durissime condizioni di prigionia (legato e incatenato, senza possibilità di movimento, senza riscaldamento, con difficoltà di digestione e di respirazione); la perquisizione della masseria di COGNOME, dove venivano rinvenute bottiglie in plastica della stessa marca di quello presenti nel pozzetto accanto al cadavere di Lipari.
Ha riferito COGNOME, in sede di incidente probatorio, che lui e COGNOME, dopo lunga osservazione per verificarne le abitudini, avevano aggredito COGNOME presso la sua masseria, lo avevano immobilizzato e rinchiuso nel portabagagli della sua macchina, per poi trasportarlo, dopo il calare del sole, fino al pozzetto sopra descritto. La copertura metallica del vano interrato era stata aperta da loro mediante taglio del metallo. Il sequestrato fu costretto a rivelare ai rapinatori codice PIN del suo cellulare. Alla sua richiesta di avere da bere, gli furono portate delle bottiglie di plastica riempite d’acqua, prelevate dalla casa di campagna di COGNOME, poco distante. Legato e incatenato il prigioniero, tornarono al fondo di COGNOME. Lo COGNOME rimase lì e COGNOME si recò nella sua abitazione in paese per farsi una doccia, poi tornò a prendere il complice e si recarono insieme a Palermo per tentare una prima chiamata estorsiva ai familiari, senza avere risposta. Il giorno seguente, COGNOME fece personalmente la prima telefonata effettivamente ricevuta dai familiari. Poi distrussero il cellulare della vittima. NOME fu l’autore delle due successive telefonate. Tutte le sere, intorno alle 18:00, i còrrei si recavano insieme presso un panificio a San Cipirello per acquistare alimentari con cui nutrire la vittima. Quando si accorsero che l’ostaggio aveva difficoltà di respirazione, decisero di liberarlo, ma agirono troppo tardi per evitar il decesso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte di assise di Palermo, all’esito di un’articolata istruttoria, ha affermato la responsabilità di COGNOME in ordine al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato, a lui ascritto in concorso. COGNOME, nel frattempo era stato giudicato e condannato, con rito abbreviato. I giudici di primo grado hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni di quest’ultimo, riscontrate da plurimi elementi sproporzionato traffico telefonico tra COGNOME e COGNOME, con maggiore frequenza nei giorni del sequestro; una chiamata col cellulare di COGNOME al numero verde per conoscere il credito residuo, immediatamente precedente al primo tentativo di contatto coi familiari, agganciata in una cella nei pressi dello stadi Barbera di Palermo, zona già indicata da COGNOME nella sua ricostruzione; una
seconda chiamata, la prima ad ottenere risposta, con il cellulare di COGNOME, appoggiandosi sul ripetitore che copriva l’area della masseria di COGNOME; identità tra le bottiglie di plastica rinvenute nel luogo di prigionia e nella casa campagna di COGNOME; sequestro presso il medesimo immobile di guanti in lattice, analoghi a quelli asseritamente usati per il rapimento; invio di un Sms da COGNOME a COGNOME, dopo avere effettuato la seconda telefonata estorsiva; rinvenimento nel luogo indicato come punto di appostamento per l’aggressione a COGNOME di mozziconi di sigaretta, recanti tracce genetiche sia di COGNOME sia di COGNOME; mancanza di alibi di COGNOME, che avrebbe, a suo dire, trascorso la giornata del 13 gennaio girovagando per i dintorni da solo, in quanto nervoso per una crisi sentimentale; parziali discrasie e mancanze di precise conferme tra la versione offerta da COGNOME e quelle, tutt’altro che ostili, di alcuni suoi prossimi congiunti; intercettazione ambientale in cui i due còrrei fanno riferimento all’acquisto di una catena; dichiarazioni del titolare del panificio, di conferma all circostanza dei quotidiani acquisti da parte dei due coimputati; accertata situazione debitoria di COGNOME; repertazione di tracce ematiche di COGNOME e di suoi accessori in luoghi compatibili con il racconto di COGNOME.
La sentenza di condanna è stata poi confermata nei successivi gradi di giudizio.
Le richieste di revisione presentate dal Procuratore generale e dal condannato si basavano su una complessa serie di elementi presentati come nuovi, dei quali in questa sede conta dare conto solo di quelli per i quali non si è interrotta la catena devolutiva, successivamente alla pronuncia della Corte territoriale.
Limitandoci dunque a quanto qui rilevante, i giudici di appello, all’esito del giudizio rescissorio, hanno ritenuto inidonei ad inficiare l’impianto logico della decisione di condanna,
la ritrattazione per iscritto da parte di COGNOME delle accuse mosse a COGNOME (tenuto conto anche del riscontro offerto dall’intercettazione ambientale avente ad oggetto l’incontro di COGNOME con i genitori nella sala colloqui della Casa circondariale);
la nuova lettura dei tabulati telefonici, per quanto attiene sia alla frequenza dei contatti tra i due coimputati, sia le geolocalizzazione del ricorrente durante la conversazione del 13 gennaio 2007, ore 20:06;
gli esiti degli ulteriori sopralluoghi presso il pozzetto che fungeva da luogo di prigionia per il sequestrato;
la effettiva situazione finanziaria di COGNOME.
3.1. I ricorrenti contestano l’applicabilità al caso di specie del principio diritto per il quale la sola ritrattazione del testimone d’accusa non integra, di pe sé solo, prova nuova, essendo necessari specifici elementi ulteriori che avvalorino
la falsità della deposizione. Questi ulteriori elementi dovrebbero viceversa individuarsi, nell’integrale contenuto della richiamata intercettazione ambientale.
A ben vedere, tuttavia, il giudice della revisione, nel complesso dell’apparato argomentativo (cfr. p. 34-35: «la Corte non ignora che tale circostanza è stata comunque dedotta per prospettare una situazione di complessivo condizionamento del COGNOME, che ne avrebbe minato l’attendibilità L.] nemmeno le lettere del COGNOME possono considerarsi rilevanti ai fini della revisione, mentre si rende necessario semmai approfondire proprio quegli altri elementi che, secondo gli istanti, avvalorerebbero il mendacio del COGNOME»), non trascura nessuna delle emergenze istruttorie da prendere in considerazione. La sua riflessione prende le mosse dal dato inequivoco che non può in ogni caso revocarsi in dubbio la responsabilità di NOME COGNOME: il cadavere di NOME COGNOME è stato ritrovato soltanto grazie alle sue indicazioni e molteplici riscontri oggettivi individualizzanti confermano le sue dichiarazioni auto- ed eteroaccusatorie. La possibilità di pressioni degli investigatori su COGNOME – evidentemente illegittime e per questo, a detta dei ricorrenti, in qualche modo occultate rispetto al contenuto palese degli atti del procedimento – per convincerlo a fare il nome anche di COGNOME è stata vagliata, con attenzione e serenità, dal giudice della revisione, anche prendendo in considerazione ulteriori circostanze non dedotte in questa sede. Nello specifico, è stata disposta la trascrizione integrale, mediante perizia, dell’intercettazione ambientale in questione e l’elaborato peritale è stato poi ponderato nella sua globalità e in alcuni specifici passaggi più rilevanti. Peraltro, occorre avere presente come costituisca questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezz della motivazione con cui esse sono recepite (cfr., Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte di appello ricava, dalla disamina dell’intercettazione, la «complessiva lettura di un drammatico dialogo familiare dai toni cangianti e fortemente condizionati dalle preoccupazioni del momento, gravido di incerte prospettive per la vita del NOME». I ruoli dei singoli dialoganti sono molto diversi e in qualche modo nettamente caratterizzati: la madre, davanti alla tremenda accusa che grava sul figlio, opera una sorta di rimozione, cercando continue conferme alle sue speranze di un ruolo marginale (oltre ad interessarsi di aspetti del tutto marginali, come l’ebbrezza di un viaggio in elicottero, quasi inconsapevole della drammaticità di quel volo); il padre, sicuramente più “navigato”, mette avanti un codice d’onore di dubbia eticità, consigliando di non comportarsi da “infame” («non fare “il
pentito”, per non uscire “Buscetta”»); il detenuto, di giovane età, di scarsa cultura e di scarsa esperienza, ribadisce solo il suo pieno coinvolgimento e non accenna mai a circostanze che lascino escludere la partecipazione di COGNOME o dichiarazioni calunniose ai danni di quest’ultimo, sempre con «altalenante comportamento» («ora ironizza, ora si infastidisce, ora fantastica fatti quest che più che far sorgere dubbi sull’attendibilità di quanto da lui raccontato agli investigatori e poi specificamente riscontrato, può far dubitare della veridicità di ciò che racconta ai familiari»).
Alla luce di queste premesse ermeneutiche, le supposte intimidazioni (un ceffone, l’esibizione di COGNOME ammanettato al termosifone, la «testa coperta» di incerto significato e l’ancora meno chiaro percorso sulle scale in ginocchio) restano tutt’altro che compiutamente provate e comunque non si presentano come idonee a supportare la credibilità della – invero generica – “lettera di scuse”.
La missiva – che, dopo il “fine pena”, potrebbe essere stata scritta per mille motivi (a partire dalla già sottolineata antipatia familiare per i “delatori”) collima peraltro neppure con il racconto di COGNOME ai genitori: per iscritto, s richiamano «tutti quei carabinieri che picchiavano a destra e a sinistra»; nell’incontro familiare, che si suppone più sincero, si parla di un unico schiaffo («solo un timpulune m’arrivaro a dare», secondo quanto allegato nel ricorso del condannato. Il padre, con un malinteso senso della virilità, schernisce addirittura il figlio per la sua scarsa resistenza: «(ride).., oh ci dette un timpulune e cant tutte cose… (ride)»).
3.2. Gli accertamenti svolti dal professor NOME COGNOME e dall’ingegner NOME COGNOME («la “controprova-regina” addotta dalla difesa») sono stati oggetto di attento scrutinio da parte dei giudici nisseni.
Questi ultimi, da una parte, concordano, con una chiara presa d’atto, sulla ridondanza dei contatti telefonici ricostruiti dalla polizia giudiziaria. Nondimeno, sottolineano come la differenza, anche al netto dell’eliminazione dei record di troppo, sia solo quantitativa e non qualitativa: il picco di contatti rispe all’ordinario flusso di comunicazioni tra i due permane, con ogni evidenza.
Più complessa è stata la valutazione della questione sulla effettiva posizione di COGNOME durante la telefonata con COGNOME alle 20:06 del 13 gennaio 2007, il giorno del rapimento. Secondo il dichiarante, dopo avere lasciato l’ostaggio in fondo al pozzetto, COGNOME tornò a casa sua in paese (cioè a Borgetto), per farsi una doccia, e successivamente lo tornò a prendere e insieme si recarono a Palermo. Prima di rientrare dal complice, COGNOME lo chiamò (ed è questa la telefonata oggetto di specifiche riflessioni tecniche). Peraltro, la versione offerta da COGNOME vedeva quest’ultimo di ritorno presso il suo fondo agricolo tra le
18:45 e le 19:15 e una permanenza nell’abitazione familiare tra le 21:00 e le 21:20 (cfr. sentenza, p. 12).
L’utenza di COGNOME, all’inizio della chiamata è servita da un ripetitore sito in Castellammare del Golfo, per transitare poi, nel corso della conversazione, su un’altra cella, sita in Alcamo. L’utenza di COGNOME aggancia nel frattempo una cella di Caporeale. Secondo i suddetti consulenti, anche considerata l’area di irradiazione dei ripetitori e non la loro singola posizione, sarebbe dunque impossibile – o, meglio, altamente improbabile – che i due imputati, e COGNOME in particolare, si trovassero nelle località presupposte dal racconto di COGNOME. La copertura dei due suddetti ripetitori di Alcamo e di Castellammare non arriva infatti fino a Borgetto e l’avvicendamento di due celle diverse indicherebbe che l’utenza era in movimento e comunque che il segnale era debole.
La Corte territoriale nota, sul punto, come nel giudizio originario si era semplicemente affermato che l’aggancio alle suddette celle non era di per sé un dato incompatibile con il racconto di COGNOME. Il dato, invero, andrebbe letto prendendo in considerazione i numerosi altri contatti tra i due còrrei di quella giornata, tutti pienamente coerenti con il racconto del dichiarante. In particolare, si sottolinea come alle 19:49, diciassette minuti prima della telefonata de qua, un Sms inviato da COGNOME a NOME COGNOME agganciasse una cella in San NOME iato, che copre per l’appunto l’area del sequestro. D’altronde, lo stesso ingegner COGNOME conferma l’assenza in zona di un unico segnale elettromagnetico, di modo che l’utenza è servita dal ripetitore più efficiente in quel momento, a prescindere dalla vicinanza.
Il consulente della parte civile ha evidenziato come la distribuzione dei ripetitori sul territorio fosse allora incentrata, in particolare in ambito rurale più ampie zone di copertura. Da questa situazione, con un minor numero di stazione di base sul territorio, a potenza molto elevata, e quindi con celle di grandi dimensioni, si era passati col tempo a un sistema che prevede impianti più numerosi ma di minor potenza. Le stesse indicazioni delle compagnie telefoniche sarebbero solitamente assai prudenti, dichiarando livelli minimi di potenza inferiori a quelli in astratto potenzialmente raggiungibili (circostanza riscontrata anche con verifiche sul campo, nelle aree di interesse). In ogni caso, le sovrapposizioni durante una chiamata sono tutt’altro che infrequenti, in particolare nel caso in cui le frange delle celle siano molto estese. Su tali premesse, e contestualizzata cronologicamente la ripartizione delle celle sul territorio, i tabulati telefon restano compatibili con una telefonata, peraltro brevissima, effettuata lungo la strada INDIRIZZO che collega INDIRIZZO Guastella (zona del sequestro) e Borgetto (casa di COGNOME).
I consulenti della difesa pervengono dunque a un’ipotesi ricostruttiva alternativa, dotata di indiscutibile dignità scientifica, che però non ha una forza logica tale da sostituire o comunque ridimensionare grandemente le precedenti conclusioni in ordine alla posizione di COGNOME. L’intero ragionamento difensivo, d’altronde, muove dalla pianificazione di rete del 2015 e non da quella (differente per tabulas, e nel senso di ridurne l’efficienza dimostrativa) del 2007. Potrebbe aggiungersi che COGNOME, quanto agli spostamenti di COGNOME (che era inequivocabilmente in zona poco più di un quarto d’ora prima), riporta semplicemente quanto riferitogli dal complice.
Anche in questo caso, si conclude dunque per l’insussistenza di un incontrovertibile elemento nuovo tale da rendere claudicante la ricostruzione dei fatti posta a fondamento della condanna.
3.3. Come accennato, la Corte territoriale valorizza primariamente il fatto che il pozzetto dove era custodito il rapito è stato individuato unicamente a seguito della confessione di COGNOME.
Il nuovo sopralluogo ha permesso di accertare la presenza di altri pozzetti a breve distanza (tutti con le botole non saldate), di cui non c’è traccia nei precedenti atti di indagine. Il fatto che, seguendo la narrazione del dichiarante, i due rapitor abbiano scelto proprio un pozzetto che, al contrario degli altri, richiedeva la previa effrazione per l’accesso non prova alcunché, sia per la genericità del dato, sia perché l’intero comportamento degli imputati denota un’incredibile – e micidiale incapacità di organizzazione razionale del delitto.
Tenuto poi conto della sicura conoscenza del luogo di prigionia da parte di NOME COGNOME (a cui può aggiungersi l’orario serale o notturno, con conseguente scarsa visibilità), l’utilizzo o meno di una smerigliatrice angolare (flex) per aprire uno dei pozzetti privi di saldatura e la presenza di tracce di ruggine incompatibili con un taglio recente (senza peraltro ulteriori precisazioni cronologiche) sono state giustificate circostanze marginali, inidonee a mettere in dubbio l’attendibilità di chi certamente ha concorso nel sequestro.
3.4. Il movente, ricondotto nel primo processo (anche) a consistenti difficoltà finanziarie, è stato approfonditamente considerato dal giudice della revisione. Anche tenuto conto della consulenza contabile esperita, la documentazione bancaria ha fatto emergere non solo una permanente morosità all’epoca del sequestro per una cifra non particolarmente ingente (l’ultima rata, scaduta a marzo 2006, pari ad euro 4.751,15), ma soprattutto un costante affanno nel rispettare l’agenda dei versamenti.
Il debito a monte derivava, infatti, da un’operazione di sconto cambiario, posta in essere il 7 ottobre 2003, con accredito sul conto di euro 45.582,00, a fronte di un capitale finanziato di euro 52.161,00, con l’emissione di dieci cambiali,
per il rientro con cadenza semestrale dal marzo 2004 al settembre 2008. Le prime cinque rate erano tutte state onorate in forte ritardo (nove mesi la prima, tre mesi la seconda, sette mesi la terza, un anno – con acconto e saldo successivo – la quarta, la quinta – quella di marzo 2006 – era stata versata solo in parte e residuava la cifra suindicata). La sesta rata era stata pagata quasi tempestivamente. Le rate successive, nonché la suddetta tranche della quinta, erano rimaste impagate.
Quando fu commesso il delitto, il debito residuo ammontava a complessivi euro 26.878,00 (metà circa del capitale finanziato), con una rata di cui l’istituto d credito chiedeva con urgenza il saldo.
Le precisazioni sul punto, consentite dalla rinnovata istruzione nel giudizio rescissorio, non fanno dunque registrare alcuna smentita radicale di quanto ritenuto nella sentenza di condanna, in relazione peraltro a un elemento di contorno rispetto al fuoco dell’apparato motivazionale. Potrebbe ulteriormente osservarsi come sussistesse anche un rapporto negoziale diretto tra COGNOME e COGNOME, poiché, come riferito dalla moglie della vittima, il primo aveva affittato al secondo una parte dei novanta ettari di terreni agricoli di pertinenza della sua masseria (sentenza impugnata, p. 4).
3.5. Singolarmente e complessivamente considerate, dunque, le nuove prove (ivi comprese anche quelle poi non oggetto di ricorso), la Corte di appello ha concluso per l’insussistenza di incontrovertibili elementi sopravvenuti in grado di destrutturare il quadro probatorio coperto dal giudicato.
Spetta al giudice di legittimità unicamente di valutare l’esistenza dei vizi di motivazione, ipotizzati dal ricorrente.
4.1. Non è possibile, preliminarmente, censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili deducendo la violazione degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. I limiti all’ammissibilità delle doglian connesse alla motivazione sono fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e non possono essere superati eccependo l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027; Sez. 3, n. 17395 del 21/01/2023, COGNOME, Rv. 284556; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518).
Non sono dunque consentiti, in primo luogo, i profili di censura sul punto evidenziati nel ricorso della parte pubblica e nel primo e terzo motivo di impugnazione del condannato.
4.2. Alla luce dei criteri costantemente indicati da questa Corte regolatrice, come brevemente richiamati al precedente paragrafo 2, non può riconoscersi carattere di novità alle prove in tema di ritrattazione delle accuse di COGNOME e
di effettivo posizionamento di COGNOME durante la telefonata delle 20:06 del 13 gennaio 2007.
Non integra prova nuova alfine della revisione la ritrattazione del dichiarante priva di necessari specifici elementi di prova che avvalorino la falsità della deposizione non denunciabile come reato di calunnia (Sez. 4, n. 29952 del 29/10/2020, G., Rv. 279714; Sez. 3, n. 5026 del 13/01/2010, C., Rv. 245913; Sez. 3, n. 4960 del 31/01/2008, Galli, Rv. 239089). Nel caso di specie, non solo la ritrattazione stragiudiziale risulta del tutto generica e inidonea a superare un rigoroso vaglio di attendibilità, ma il contesto di intimidazione ai danni de dichiarante durante le indagini, che dovrebbe fungere da definitivo riscontro, appare come un dato del tutto congetturale.
Analogamente, come già anticipato, è priva del carattere di novità una diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti, qualora non fondata su più recenti metodologie, maggiormente raffinate ed evolute, in grado di cogliere dati obiettivi ulteriori. Le consulenze informatiche della difesa – lungi da falsificare, in senso popperiano, la tesi accusatoria, come auspicato dai ricorrenti – non sono fondate su particolari metodiche innovative, strumento di cognizione di dati nuovi mediante applicazione di principi scientifici accreditati dalla comunità scientifica e ignorati al tempo del processo ordinario; esse si limitano a riesaminare, sia pure con lucidità e attenzione, quanto già sottoposto alla ponderazione dei primi giudici.
In entrambi i casi, ad abundantiam, la Corte territoriale ribadisce l’assoluta inidoneità demolitoria di tali specifici elementi rispetto alla solida ricostruzio cristallizzata dal giudicato di condanna.
4.3. Le censure inerenti il movente economico evitano di confrontarsi con l’articolata argomentazione della Corte di Caltanissetta, come sinteticamente riassunta sub 3.4, concentrandosi unicamente sulla non eccessiva rilevanza dell’ultima rata scaduta, e risultano pertanto del tutto aspecifiche. La genericità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo rispetto alla su indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 11008 del 11/02/2020, Bocciero, Rv. 278716; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 277710; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
4.4. Le residue questioni basate sull’erronea lettura del traffico telefonico (raddoppiato, per un computo delle ricorrenze non adeguato alle modalità redazionali della compagnia telefonica) e sulla diversa situazione dei luoghi (e in particolare, del tombino di accesso al pozzetto), emersa all’esito di un successivo, ulteriore sopralluogo, sono state adeguatamente considerate dalla Corte di
Caltanissetta, che ne ha rilevato il carattere di novità, ma le ha ritenute prive della necessaria efficienza dimostrativa, a confronto con la tranquillizzante solidità della piattaforma istruttoria.
La Corte siciliana ha dunque ritenuto non suscettibile di revisione la decisione oggetto di impugnazione straordinaria, escludendo che, anche nell’ulteriore segmento istruttorio, fosse stata raggiunta la prova certa di circostanze che, qualora pienamente dimostrate, avrebbero potuto implicare, nell’ambito di una valutazione complessiva con tutti gli altri elementi, un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato. In questa prospettiva, nella motivazione della sentenza impugnata, che ha messo in evidenza i dati essenziali che impedivano di riconoscere l’idoneità della prova nel contrastare e superare l’accertamento contenuto nella condanna definitiva, non si riscontra dunque nessun approccio atomistico e selettivo al compendio probatorio.
I giudici nisseni, con motivazione ampia e accurata, scevra di vizi logicogiuridici e coerente con il variegato compendio ante e post giudizio rescissorio, hanno dato congruamente conto di avere saggiato l’incidenza dei nova, costantemente comparandoli con le – non poche e non marginali – ulteriori risultanze già agli atti, che non possono restare sic et simpliciter azzerate o travolte dagli esiti della successiva attività istruttoria.
Da una parte, invero, le richieste di revisione sorvolano completamente su alcuni elementi tali da fondare di per sé soli un’affermazione di responsabilità (in primis, l’accertata presenza sul luogo del sequestro di COGNOME, attestata dagli accertamenti genetici, la cui validità è stata ribadita dalla Corte di Caltanissetta con argomentazioni non toccate dai successivi ricorsi).
Dall’altra, su circostanze talora centrali, talaltra più marginali, le pa ricorrenti invocano una rilettura della piattaforma probatoria, sollecitandone un’alternativa valutazione pro reo, preclusa nel giudizio di cassazione, a fronte di un ordito motivazionale che non presenta contraddittorietà o illogicità e resta dunque impermeabile allo scrutinio di legittimità.
Risulta, in conclusione, corretta la valutazione finale in ordine alla inefficacia degli elementi fraintesi o ignorati a disarticolare l’intero ragionamento probatorio per la loro essenziale forza dimostrativa.
Entrambi i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Il ricorrente NOME COGNOME va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
Consegue altresì la condanna del medesimo ricorrente, risultato soccombente nei confronti delle parti civili costituite, alla rifusione delle spese di assistenz rappresentanza sostenute da queste ultime nel presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo in relazione all’attività svolta.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi.
Condanna COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 4791,00, con riguardo a NOME e COGNOME NOME ed euro 3686,00 con riguardo a COGNOME NOME, oltre accessori di legge.
Così deciso il 18 gennaio 2024
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La Presidente