Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45881 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45881 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato in Albania il 28/8/1974
assistito e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
NOME COGNOME nato in Albania il 21/12/1981
assistito e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso l’ordinanza in data 18/12/2023 della Corte di appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
rilevato che in data 19/11/2024 l’avv. NOME COGNOME difensore dell’imputato NOME COGNOME ha formulato richiesta di trattazione orale del procedimento;
rilevato che con provvedimento in data 26/11/2024 la Presidente titolare della Sezione ha rigettato la richiesta di trattazione orale evidenziando che trattasi di procedimento ex art. 611 cod. proc. pen. “non convertibile”;
sentita la relazione svolta dal presidente NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letto l’atto di replica (con allegati) alla requisitoria scritta del Procuratore Genera a firma dell’avv. NOME COGNOME trasmesso telematicamente alla Cancelleria in data 9/12/2024;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 18 dicembre 2023 la Corte di appello di Venezia ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revisione della sentenza emessa dalla Corte di appello di Brescia in data 25 gennaio 2021 nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME avanzata in data 11 ottobre 2023 nell’interesse dei predetti.
I due odierni ricorrenti con la sopra sentenza della Corte di appello di Brescia risultano essere stati condannati, in concorso tra loro, per quattro violazioni (acquisto, trasporto e cessione) della legge sugli stupefacenti ex artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 6, D.P.R. n. 309/90 (capi 7- 8 – 15 e 21 della rubrica delle imputazioni), nonché per associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico ex art. 74 d.P.R. 309/90 (capo 23) e per violazione della legge sulle armi e ricettazione ex artt. 61 n.2, 110, 112, 648, 697 cod. pen. 2 e 7 I. 895/1967 (capo 24) ed il solo NOME COGNOME in concorso con altri, per altre due vicende sempre di violazione della legge sugli stupefacenti (capi 10 e 14).
Ricorrono per Cassazione avverso il predetto provvedimento, con atti separati, i difensori dei condannati, deducendo:
2.1. Ricorso a firma dell’avv. COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME (il secondo non cassazionista):
2.1.1. Violazione dell’art. 606 cod. proc. pen. per manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 631-634 cod, proc. pen, con riferimento alla manifesta infondatezza dell’istanza di revisione avanzata dalla difesa.
Sulla premessa che successivamente alla sentenza di condanna degli odierni ricorrenti è stato accertato dalla difesa che nel fascicolo delle indagini preliminari del Pubblico Ministero erano stati depositati solo alcuni brogliacci delle intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito del procedimento penale n. 16519/2017 R.g.n.r., al punto che a fronte di 41 obiettivi di intercettazione vi erano solo 38 provvedimenti di autorizzazione mentre per i restanti non erano stati depositati i verbali con i relativi brogliacci, sottolinea la difesa la rilevanza di situazione ai fini dell’affermazione della penale responsabilità degli imputati, ciò in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, se mancano i verbali delle conversazioni, le intercettazioni non sarebbero utilizzabili.
Aggiunge la difesa dei ricorrenti di avere richiesto, in epoca successiva alla pronuncia della sentenza della Corte di appello, di acquisire copia dei brogliacci
relativi alle intercettazioni eseguite al fine di poter individuare ulteri intercettazioni utili a dimostrare l’inesistenza di una associazione per delinquere contestata ai fratelli COGNOME ed altri e di avere constatato nell’occasione che tutti gli involucri contenenti i CD/DVD nei quali erano masterizzati i brogliacci relativi alle intercettazioni erano sigillati, sintomo del fatto che non fossero mai stati aperti ed esaminati. La difesa comunque aveva chiesto l’estrazione di copia dei predetti CD/DVD ma i file ivi contenuti risultavano illeggibili e solo a seguito dell’aiuto d un consulente informatico era stato possibile accertare le carenze indicate.
La Corte di appello avrebbe quindi errato nel momento in cui ha subordinato le esigenze di accertamento della verità rispetto al formalismo e non ha tenuto conto del fatto che la revisione è ammessa anche se l’esito del giudizio possa condurre al proscioglimento degli imputati ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ciò in quanto l’inutilizzabilità delle intercettazioni, unica fonte di prova, dovev portare all’assoluzione degli imputati.
Si duole, inoltre, la difesa dei ricorrenti del fatto che la Corte di appello ne provvedimento impugnato ha evidenziato la mancata allegazione di elementi in grado di superare la c.d. “prova di resistenza” e rileva che non è dato comprendere quale prova avrebbe dovuto essere fornita a fronte della totale assenza dei supporti contenenti le predette conversazioni (prog. 18, 21, 29, 33 e 34 indicate nel ricorso).
2.2. Ricorso a firma dell’avv. COGNOME:
2.2.1. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inammissibilità ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 634 cod. proc. pen.
Si duole la difesa dei ricorrenti del fatto che la Corte di appello nel dichiarare l’inammissibilità della richiesta di revisione non ha fatto buon uso dei principi di diritto relativi all’applicazione dell’art. 634 cod. proc. pen.
In particolare:
il materiale dedotto non sarebbe stato valutato nell’ottica della manifesta infondatezza ma nel merito delle ragioni dedotte a suo supporto;
il giudizio non è stato finalizzato alla verifica delle prove nuove per scardinare l’impianto accusatorio che ha portato alla condanna dei fratelli COGNOME; situazioni quelle descritte che avrebbero determinato un error in procedendo della Corte territoriale in quanto la delibazione sarebbe sconfinata in un giudizio di merito che avrebbe richiesto l’attivazione del contraddittorio tra le parti.
2.2.2. Motivazione manifestamente illogica e contraddittoria ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. peri. con riferimento alle nuove prove.
Rileva parte ricorrente che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe manifestamente illogica in quanto articolata su di una erronea lettura delle
norme processuali nel momento in cui si è sottolineata la genericità dell’istanza difensiva, ciò in quanto era impossibile allegare da parte della difesa qualcosa che non esiste dato che, dall’appurata mancanza di alcuni supporti contenenti l’attività di intercettazione e dall’impossibilità di consultazione della maggior parte dei brogliacci contenuti nei DVD rinvenuti, appare evidente la sussistenza della nuova prova, ovverossia l’assenza di prove derivanti dalle intercettazioni poste a fondamento della pronuncia di condanna in capo ai Sallaku.
La motivazione adottata della Corte di appello sarebbe, inoltre, contraddittoria in quanto, pur riconoscendo che sussistono degli elementi che provenivano dalle intercettazioni e che consentono di rideterminare la posizione dei ricorrenti all’interno dell’associazione, ha ritenuto infondata la richiesta d revisione poiché il requisito di novità di tali prove è stato dedotto in termini de tutto generici e sforniti di supporto probatorio.
2.3. Con atto di replica (con allegati) alla requisitoria scritta del Procuratore Generale a firma dell’avv. NOME COGNOME trasmesso telematicamente alla Cancelleria in data 9 dicembre 2024, la difesa degli imputati ha richiamato il passaggio della requisitoria del Procuratore generale nel quale si è affermato che a diversa conclusione si potrebbe arrivare “se dovesse risultare il carattere volontario della sottrazione al G.u.p.” della documentazione mancante, evidenziando che in data 5 agosto 2019 l’allora indagato NOME COGNOME unitamente ad altri, ebbe a presentare atto di denuncia-querela nei confronti del Pubblico Ministero dr. COGNOME e dei Carabinieri di Breno per l’ipotizzato reato di abuso d’ufficio (artt. 323 e 61 n. 9 cod. pen.). In detta denuncia si segnalava la mancata produzione della documentazione relativa ad un incontro avvenuto in Brescia in data 23 luglio 2018 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (Shehi), incontro che, invece, è stato ritenuto di rilievo dai Giudici di merito.
Rileva, inoltre, la difesa dei ricorrenti che sarebbe stata preclusa ai giudici di merito la possibilità di ascoltare le registrazioni di quell’incontro e di accertar in tal modo che NOME COGNOME non aveva mai pronunciato una frase che gli viene attribuita e che è risultata rilevante ai fini dell’affermazione della penal responsabilità dell’interessato.
Conclude, quindi, la difesa dei ricorrenti che in ciò che è stato evidenziato sarebbe ravvisabile il novum tale da legittimare una richiesta di revisione del processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi in tutte le loro articolazioni si presentano al contempo generici e manifestamente infondati.
Dal punto di vista processuale deve, innanzitutto, evidenziarsi l’infondatezza della deduzione difensiva laddove si afferma testualmente «la delibazione condotta dai Giudici di merito è sconfinata in un giudizio che avrebbe richiesto l’attivazione del contraddittorio tra le parti» (pag. 7 ricorso avv. Crea atteso che risulta a pag. 2 dell’ordinanza impugnata che «le parti sono state sentite all’udienza del 18.12.2023, così da garantire il contraddittorio anche ai fini della preliminare valutazione sull’ammissibilità dell’istanza».
La stessa Corte di appello ha, poi, evidenziato che una istanza di revisione fondata su motivi sostanzialmente analoghi era già stata dichiarata inammissibile da altra sezione della medesima Corte di appello, ordinanza poi impugnata con ricorso per cassazione dichiarato a sua volta inammissibile dalla Corte di cassazione in data 11 gennaio 2024.
E’ appena il caso di ricordare che ai sensi dell’art. 641 cod. proc. pen. l’ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta o la sentenza che la rigetta non pregiudica il diritto a presentare una nuova richiesta fondata su “elementi diversi”.
A dir del vero l’unico elemento “diverso” rispetto alla precedente richiesta di revisione dove si era già evidenziato il mancato deposito dei brogliacci sembrerebbe consistere nell’esito della consulenza di parte che ha consentito di procedere alla quantomeno parziale lettura dei CD/DVD reperiti presso l’Ufficio giudiziario interessato e di appurare l’assenza di alcuni atti che, secondo la difesa dei ricorrenti, determinerebbe l’inutilizzabilità delle intercettazioni sulle quali sarebbe fondata la decisione di condanna.
Nella sentenza da ultimo richiamata questa Corte di legittimità aveva, innanzitutto, rilevato la manifesta infondatezza della questione in questa sede sostanzialmente riproposta nel ricorso a firma dell’avv. COGNOME nella quale si sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato i limiti del giudizio di ammissibilità dell’istanza di revisione, facendo ricorso a strumenti e temi decisori strutturalmente demandati al momento successivo.
Questa Corte dopo avere richiamato i principi che regolano la materia enunciati da sentenze ivi richiamate (Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020, dep. 2021, L., Rv. 280405; Sez. 5, n. 26579 del 21/02/2018, G., Rv. 2732282; Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 260563; Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259779; Sez. 5, n. 15402 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266810, in motivazione; Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, COGNOME, Rv. 253437) e che si intendono confermati anche in questa sede, aveva rilevato che suddetti principi sono stati pienamente rispettati nel caso concreto dalla Corte d’appello di Venezia, che era del tutto legittimata a valutare l’immediata inconferenza della prova
dedotta come “nuova” nell’istanza di revisione proposta dai ricorrenti rispetto all’impianto probatorio già esistente.
Detta valutazione non può che essere ribadita anche in questa sede di legittimità trovandoci in presenza di una nuova ordinanza della Corte di appello adeguatamente e correttamente motivata sul punto anche attraverso il richiamo a più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Quanto, poi, ai profili di ricorso inerenti la rilevanza delle carenze documentali gli stessi risultano a loro volta ed in larga parte già sottoposti all’attenzione di questa Corte di legittimità e da essa valutati con la sentenza emessa in data 11 gennaio 2024 nonché puntualmente richiamati nell’ordinanza della Corte di appello di Venezia oggetto di esame in questa sede, provvedimento che risulta anche sotto tale profilo adeguatamente e logicamente motivato, non caratterizzato da alcuna contraddittorietà e rispondente ai principi di diritto che regolano la materia.
Non può quindi che essere ribadito in questa sede che, in tema di intercettazioni telefoniche, l’omesso deposito del cosiddetto “brogliaccio” (consistente nella sintesi delle conversazioni eseguita dalla polizia giudiziaria che procede alla relativa operazione) non è sanzionato da alcuna nullità o inutilizzabilità delle conversazioni intercettate (Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, COGNOME, Rv. 265630) e che, in tema di intercettazioni di conversazioni, l’omesso deposito dei supporti magnetici ed il conseguente mancato accesso agli stessi da parte dei difensori dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., non più deducibile, in quanto sanata, con la scelta del giudizio abbreviato (Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, dep. 2012, Bianco, Rv. 252850).
A ciò si aggiunge che, secondo la medesima giurisprudenza di legittimità, la sanzione della inutilizzabilità, prevista dall’art. 271 cod. proc. pen. in caso d inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 268 stesso codice, riguarda l’omessa redazione dei verbali e non l’omesso deposito dei cd, brogliacci, che si distinguono dai primi perché contengono solo la sintesi delle conversazioni intercettate e non la sommaria indicazione delle operazioni svolte (Sez. 3, n. 21968 del 24702/2016, COGNOME, Rv. 267075).
Non bisogna altresì dimenticare che – come detto – gli imputati hanno chiesto ed ottenuto di essere giudicati con le forme del rito abbreviato e che, ai sensi del comma 6-bis dell’art. 438 cod. proc. pen., la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio.
Orbene si è già rilevato poc’anzi che l’omesso deposito dei supporti magnetici ed il conseguente mancato accesso agli stessi da parte dei difensori dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., non più deducibile, in quanto sanata, con la scelta del giudizio abbreviato ed a ciò non può che aggiungersi che la sanzione di inutilizzabilità di cui all’art. 271 cod. proc. pen. non rientra tra quelle deriva dalla violazione di un divieto probatorio, da intendersi come “inutilizzabilità patologica” – che afferisce solo alle prove acquisite “contra legem” e che costituisce un’ipotesi estrema e residuale – ravvisabile solo con riguardo a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell’ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell’imputato (Sez. 3, n. 6757 del 24/01/2006, Gatti, Rv. 233106).
A ciò si aggiunge la constatazione – diremmo ovvia – che non è dimostrato che la documentazione inerente alle operazioni di intercettazione e solo recentemente esaminata non fosse a disposizione della difesa degli imputati ancor prima della formulazione della richiesta di giudizio abbreviato, con la conseguenza che la tempestiva effettuazione di doverosi controlli (come quelli poi effettuati nel 2023) certamente rientranti nel mandato difensivo avrebbe consentito di formulare altrettanto tempestive eccezioni processuali in ordine alla composizione del fascicolo processuale ed all’utilizzabilità degli atti ivi contenuti.
In tale ottica si inseriscono anche le argomentazioni contenute nella memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale nelle quali si evidenzia la presentazione di una denunzia nei confronti del Pubblico Ministero procedente e nei confronti dei Carabinieri che avevano condotto le indagini.
Quanto detto rende impossibile affermare che nella situazione descritta si possa parlare della “scoperta” di prove “nuove” rilevanti ex art. 630 cod. proc. pen. allorquando gli elementi indicati erano già di fatto nella potenziale disponibilità delle parti processuali (parte ricorrente non ha fornito la prova che i documenti cartacei e/o elettronici successivamente esaminati non si trovavano già nella cancelleria dove sono stati successivamente acquisiti) che avevano il potere di verificarli tempestivamente attivando la procedura di controllo della composizione del fascicolo processuale (come detto esperita solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza) al fine di verifica del contenuto dello stesso e dell’accertamento della carenza di alcuni atti procedurali che ben poteva essere eccepita prima della formulazione della richiesta di giudizio abbreviato.
Del resto, si legge a pag. 3 del ricorso a firma dell’avv. COGNOME che già dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari avvenuta in data 4 aprile 2019 la difesa aveva acquisito la documentazione afferente le indagini (compresi i faldoni relativi alle intercettazioni telefoniche) e già in quell’occasione
si era avveduta ed aveva evidenziato che a fronte di 41 obiettivi di intercettazione vi erano solo 38 provvedimenti di autorizzazione mentre per i restanti non erano stati depositati i verbali di intercettazione con i relativi brogliacci.
E, valga il vero, non è neppure sufficiente il richiamo ad una mera denuncia presentata dal difensore dell’imputato nella quale si è ipotizzata la configurabilità reato di cui all’art. 323 cod. pen. (peraltro successivamente abrogato) per legittimare la proposizione del ricorso ai sensi della lett. d), dell’art. 630 cod. proc pen.
Basterebbe quanto fin qui detto per rilevare la manifesta inammissibilità dei ricorsi ma, per solo dovere di completezza, debbono aggiungersi ulteriori osservazioni.
4. Come correttamente osservato già da questa Corte di legittimità con la propria richiamata sentenza del giorno 11 gennaio 2024 e ribadito anche dalla Corte di appello nella nuova ordinanza del 18 dicembre 2023, la richiesta di revisione è altresì caratterizzata da assoluta genericità, vizio poi traslato anche nei ricorsi qui in esame.
Infatti, in alcun punto dei ricorsi risulta effettuata la cosiddetta prova di resistenza e, cioè, la dimostrazione dell’incidenza dei supporti illeggibili o la carenza di atti sugli ulteriori elementi probatori acquisiti per l’affermazione di responsabilità degli odierni ricorrenti, il ché preclude in nuce di poter persino affrontare la questione del se rientri o meno nel concetto di prova nuova il ridimensionamento della base cognitiva su cui è stata fondata l’affermazione di responsabilità.
In sostanza, anche in questa sede i ricorrenti neppure chiariscono se le intercettazioni contenute nei supporti ritenuti illeggibili o comunque le intercettazioni asseritamente inutilizzabili siano rilevanti ai fini di una pronuncia assolutoria degli imputati in un doveroso confronto con gli ulteriori corposi atti contenuti nel fascicolo per le indagini preliminari ed utilizzati, su richiesta degli imputati ex art. 438 cod. proc. pen., per la decisione.
In altri termini, i ricorrenti si limitano in questa sede di legittimità a affermare apoditticamente che l’inutilizzabilità delle intercettazioni sulle quali si rivolgono le doglianze comporterebbe il venir meno di quel substrato accusatorio sul quale è stata fondata l’affermazione di responsabilità degli imputati.
Corretta, quanto condivisibile, è quindi l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata con la quale si è osservato che l’istanza difensiva è del tutto generica non fornendo alcun elemento, neppure in termini di mera allegazione che consente di stabilire l’eventuale incidenza delle conversazioni ipoteticamente non considerate dal Giudice di prime cure o, per contro, utilizzate
in violazione dell’art. 271 cod. proc. pen. sugli elementi probatori valorizzati ai fini della decisione.
In sostanza, non è fondata la doglianza difensiva nella quale si lamenta l’impossibilità di fornire la c.d. “prova di resistenza” trattandosi di una prova non disponibile, in quanto ciò che era necessario ai fini di non cadere in vizio di genericità dei ricorsi (e prima ancora della richiesta di revisione) era uno specifico quanto dettagliato confronto tra il materiale probatorio utilizzato per la decisione e quello che avrebbe potuto essere utilizzato qualora fossero state escluse le intercettazioni asseritamente non utilizzabili.
Deve, infine, osservarsi che nella situazione descritta perde ogni rilevanza l’affermazione (anch’essa, comunque, di contenuto generico) contenuta a pag. 5 dell’ordinanza impugnata secondo la quale «le conversazioni depositate non introducono, anche sul piano del contenuto alcun elemento di novità rilevante» in quanto nei ricorsi presentati a questa Corte di legittimità non è indicato alcun elemento idoneo a smentire tale affermazione.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, quanto a ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 dicembre 2024.