Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21325 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21325 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 11/09/1982 in Albania avverso la sentenza del 09/10/2024 dalla Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiede di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Milano dichiarava inammissibile l’istanza di revisione presentata da NOME COGNOME avverso la condanna in appello a cinque anni di reclusione per rapina pluriaggravata, sequestro di persona e lesioni personali, commessa in data 18/11/2009 (i rapinati erano stati legati con del nastro adesivo).
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L’imputato ha presentato ricorso avverso la sentenza, per il tramite dell’avvocato NOME COGNOME anteponendo all’unico motivo presentato un’ampia premessa in cui ricostruisce la vicenda nei suoi profili fattuali e processuali, per poi dedurre violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata revisione della condanna.
Il ricorrente precisa che la revisione è ammessa sia in caso di sopravvenienza, sia in caso di scoperta di nuove prove e che la parola “prova” che compare nell’art. 630, lett. c) cod. proc. pen. equivale alla locuzione “elementi di prova”, con la conseguenza che la “prova nuova” può consistere sia in una prova in senso stretto, sia in un indizio.
Reputa, quindi, errata la valutazione della Corte d’appello, dal momento che la tesi della difesa – e cioè che il nastro era stato contaminato da Manabej nel corso della rapina commessa a Chiavari nell’aprile 2006 – non rappresenta una rivisitazione di quanto già esaminato, come ritenuto nella sentenza impugnata, bensì una prova nuova la quale, in uno con quanto già esaminato, porterebbe alla conclusione che l’imputato doveva essere assolto, insinuando un dubbio sulla sufficienza o non contraddittorietà della prova, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso sembra dedurre che la prova nuova spesa ai fini della richiesta revisione del processo, dichiarata inammissibile nel provvedimento impugnato, discenda dall’aver l’imputato, dopo la condanna definitiva, rappresentato che il nastro era stato sì da lui contaminato: ma tre anni prima della rapina oggetto del presente procedimento, e cioè nel corso di una diversa rapina, commessa a Chiavari nell’aprile del 2006 e per la quale, pure, avrebbe riportato condanna.
Le censure difensive, oltretutto formulate in termini alquanto confusi, confermano, tuttavia, quanto osservato dai Giudici della Corte d’appello, e cioè che il ricorrente si è limitato a prospettare una versione fattuale alternativa a quella passata al vaglio dei giudici di merito e poi di quello di legittimità (secondo cui la saliva trovata sul nastro adesivo con cui le vittime erano legate apparteneva, oltre che alle stesse vittime, a Manabej: il che, in uno con altri elementi, seppur in sé non dotati di forza dimostrativa, aveva portato ad individuare nel ricorrente l’autore del reato. V. Sez. 2, n. 21117 del 04/04/2024).
A tale considerazione va aggiunto che, per poter dar luogo a revisione, la “prova” deve aver consistenza tale da consentire, da sola o unitamente a quelle
già acquisite, di ribaltare il giudizio di colpevolezza dell’imputato (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028): ciò che, nel caso di specie, non
risulta affatto.
Infine, il ricorrente non spiega le ragioni per cui la prova evocata sarebbe
“nuova” (se non sopravvenuta, quantomeno successivamente scoperta), limitandosi a richiamare in modo del tutto generico la commissione, a Chiavari, di
una precedente rapina, peraltro, risalente a quasi dieci anni prima, per la quale sarebbe intervenuta condanna, senza nemmeno citare gli estremi dei
provvedimenti giudiziari rilevanti.
3. Il ricorso è, quindi, inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate
nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 07 maggio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente