Revisione critica delitto: non basta se è solo interiore
L’ottenimento di misure alternative alla detenzione, come la semilibertà, è strettamente legato alla prova di un effettivo percorso di rieducazione del condannato. Un elemento centrale di tale percorso è la revisione critica del delitto commesso. Con l’ordinanza n. 4145/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: questa revisione non può essere un processo puramente interiore e non manifestato, ma deve emergere da elementi concreti e valutabili dal giudice.
I fatti del caso giudiziario
Il caso trae origine dal ricorso di un detenuto contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Palermo, che gli aveva negato la misura della semilibertà. Il ricorrente sosteneva che la motivazione del provvedimento fosse illogica, in quanto non avrebbe adeguatamente considerato il suo percorso di riflessione sul grave reato commesso (un omicidio). In particolare, la difesa introduceva un argomento peculiare: il processo di revisione critica del reato, pur essendo in corso, era rimasto “interiorizzato” e non esplicitato a causa di presunte difficoltà emotive del condannato. In sostanza, si chiedeva ai giudici di credere all’esistenza di un pentimento non manifestato.
La decisione della Corte sulla revisione critica del delitto
La Corte di Cassazione ha respinto con fermezza questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno chiarito che l’argomentazione di una revisione critica del delitto puramente interiore è da considerarsi un’ipotesi “puramente congetturale”. Un’ipotesi, per sua natura, non può costituire un valido motivo per contestare la logicità della decisione del Tribunale di Sorveglianza. La giustizia, infatti, si basa su fatti e prove, non su supposizioni relative allo stato d’animo inespresso di un individuo.
Le motivazioni della Cassazione
La Corte ha basato la sua decisione su un solido impianto logico-giuridico, richiamando anche la propria giurisprudenza consolidata. Le motivazioni principali possono essere così sintetizzate:
1.  Centralità della valutazione: Il giudizio sull’esistenza o meno di un processo di revisione critica del reato non è un elemento accessorio, ma, al contrario, fa parte integrante del percorso logico che il giudice di sorveglianza deve compiere per concedere o negare una misura alternativa. Valutare se il condannato ha compreso il disvalore delle sue azioni è essenziale per stabilire se è pronto per un graduale reinserimento nella società.
2.  Irrilevanza degli argomenti congetturali: L’idea che il ravvedimento possa esistere ma rimanere celato per “difficoltà emotive” è stata qualificata come un argomento puramente congetturale. In ambito processuale, un’affermazione non supportata da elementi oggettivi e riscontrabili non ha la forza di inficiare una decisione basata sull’analisi dei fatti disponibili. Il giudice non può basare la sua valutazione su ciò che si ipotizza possa esistere nella psiche del condannato, ma deve attenersi a ciò che emerge dai suoi comportamenti, dalle sue dichiarazioni e dalle relazioni degli esperti.
3.  Conferma della giurisprudenza: La decisione si allinea a un orientamento costante della Cassazione, secondo cui la prova del percorso rieducativo deve essere concreta. Non si può pretendere che il giudice presuma un cambiamento positivo che non si è tradotto in alcuna manifestazione esterna.
Conclusioni e implicazioni pratiche
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: per chi affronta un percorso di esecuzione penale, è cruciale che ogni progresso nel processo di rieducazione e di revisione critica del delitto sia tangibile e dimostrabile. Affidarsi a un presunto pentimento “interiore” non è una strategia processuale valida. Il percorso di reinserimento sociale richiede una partecipazione attiva e manifesta, che possa essere oggettivamente valutata dalle autorità competenti. La decisione sottolinea che, sebbene il percorso interiore sia il motore del cambiamento, esso acquista rilevanza giuridica solo quando si traduce in comportamenti e atteggiamenti concreti.
 
È sufficiente una revisione del proprio reato puramente interiore per ottenere la semilibertà?
No, secondo la Cassazione, l’argomentazione che il processo di revisione critica sia solo “interiorizzato” e non esplicitato è puramente congetturale e, come tale, inidonea a viziare la decisione del giudice che nega la misura.
La valutazione sulla revisione critica del delitto è un elemento importante per la concessione della semilibertà?
Sì, la Corte conferma che il giudizio sull’esistenza di un processo di revisione critica del delitto commesso fa parte integrante del percorso logico che il giudice deve seguire per concedere o meno la misura alternativa della semilibertà.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4145 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4145  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAMPOBELLO DI MAZARA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME AVV_NOTAIO ricorre per cassazione c:ontro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso siano manifestamenl:e infondati, in quanto rilevanti una asserita illogicità della motivazione che non emerge dal testo del provvedimento impugnato, atteso che il giudizio sulla esistenza o meno di un processo di revisione critica del delitto commesso fa parte, al contrario di quanto sostenuto in ricorso, del percorso logico che deve portare alla concessione o meno della misura alternativa della semilibertà (Sez. 1, Sentenza n. 20005 del 09/04/2014, COGNOME, Rv. 259622; Sez. 1, Sentenza n. 30339 del 16/05/2003, COGNOME, Rv. 225137; Sez. 1, Sentenza n. 7375 del 10/01/2002, COGNOME, Rv. 220897 Sez. 1, Sentenza n. 5773 del 20/11/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212446), e che la deduzione che il processo di revisione critica per l’omicidio commesso possa, in realtà, sussistere, ma sia soltanto interiorizzato, e non esplicitato, per difficoltà emotive d condannato, introduce un argomento puramente congetturale, in quanto tale inidoneo a viziare la decisione (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché ai versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via eouitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 11 gennaio 2024.