Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20053 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20053 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 25/02/2025
R.G.N. 41696/2024
CARMINE RUSSO
SENTENZA
vista la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CERDA il 04/03/1961 avverso l’ordinanza del 14/10/2024 del TRIBUNALE di Palermo vista la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME del ricorso;
in procedura a trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 14 ottobre 2024 il Tribunale di Palermo, costituito ai sensi dell’art. 310 cod.proc.pen., ha confermato la decisione con cui Ł stata respinta l’istanza difensiva volta ad ottenere la scarcerazione di COGNOME NOME NOME o, in subordine, la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con altra meno afflittiva, per decorrenza del termine massimo di fase di cui all’art. 303, co. 1, lett. a), n. 3) c.p.p., sul presupposto dell’applicabilità dell’istituto della retrodatazione della decorrenza dei termini di cui all’art. 297, co. 3, c.p.p.
Piø precisamente, con una prima ordinanza del 23 febbraio 2023 all’indagato era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416 bis.1. Con una seconda ordinanza, datata 26 febbraio 2024, invece, l’odierno ricorrente Ł stato sottoposto alla medesima misura, ma in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod.pen.
La difesa, sia dinnanzi al G.I.P., che in sede di appello, ha evidenziato come i fatti oggetto della seconda ordinanza fossero stati commessi anteriormente alla data di emissione del primo provvedimento, e come le tentate estorsioni oggetto della prima ordinanza fossero avvinte da un rapporto di connessione qualificata al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., di cui alla seconda ordinanza – circostanza, questa, confermata sia dal P.M., quando ha espresso parere contrario all’accoglimento dell’istanza difensiva, sia dai giudici del riesame -. Dunque, ad opinione della difesa, al momento del rinvio a giudizio dell’indagato per i fatti oggetto della prima ordinanza, sarebbero stati già desumibili dagli atti gli elementi posti a fondamento della seconda.
Sia il G.I.P., in prima valutazione, che il Tribunale del riesame, hanno negato che il fatto oggetto della seconda ordinanza sia stato commesso anteriormente all’emissione della prima, data la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con formula ‘aperta’, la quale indicherebbe la permanenza del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare. E ciò varrebbe nonostante gli elementi posti a sostegno della perdurante appartenenza del COGNOME al sodalizio mafioso risalgano, al piø tardi, al mese di giungo 2022, e siano quindi precedenti all’emissione della prima ordinanza. Sostanzialmente, secondo i giudici del gravame, la difesa non avrebbe allegato alcun concreto elemento idoneo a superare la presunzione relativa di non interruzione della condotta criminosa, in tal modo non offrendo una diversa ricostruzione del tempus commissi delicti fondata su elementi specifici, per come richiesta dalla giurisprudenza di legittimità.
Da tutto ciò consegue, secondo il Tribunale, la non ricorrenza delle ipotesi di retrodatazione di cui all’art. 297, comma 3 cod.proc.pen. .
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – COGNOME NOMECOGNOME
Il ricorso si articola in un motivo unico, con il quale si lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione.
La difesa sostiene che le contestazioni contenute nei due titoli cautelari riguardino reati connessi, per come previsto dall’art. 297, co. 3 cod.proc.pen., e che gli elementi a sostegno della seconda ordinanza fossero già desumibili prima della data di rinvio a giudizio del reato connesso contestato nel primo provvedimento (il fatto di estorsione), nel quale si Ł fatto riferimento in piø parti al presunto ruolo associativo del Piraino.
Si censura l’ordinanza gravata nella parte in cui verrebbe sviata la causa ed il tema dell’impugnazione, e si ricorda che l’art. 297, co. 3 cod.proc.pen., presuppone che i fatti siano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione.
Considerato che la richiesta e la relativa ammissione al rito abbreviato nel primo procedimento, era avvenuta all’udienza del 4 dicembre 2023 e considerato altresì che la richiesta di emissione della seconda ordinanza Ł del 6 giugno 2023 allora alla data del 4 dicembre 2023 già erano desumibili i fatti posti a fondamento della seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Inoltre, in relazione alla incompletezza dell’allegazione difensiva ritenuta dal Tribunale, nel ricorso si sostiene anzitutto l’irrilevanza della stessa ai fini dell’applicabilità della norma citata, e si rappresenta, inoltre, che un simile onere sarebbe particolarmente gravoso in considerazione della provvisorietà della contestazione in essere e, pertanto, lesivo degli artt. 24, 27 e 111 della Costituzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per genericità .
La difesa del ricorrente non si confronta in modo adeguato con la ratio decidendi, rappresentata dal fatto che il reato contestato con la seconda ordinanza Ł stato ritenuto commesso ‘anche dopo’ l’esecuzione del primo titolo (trattandosi di reato associativo con condotta aperta).
Ora, il tema ricade sulla applicabilità del principio di retrodatazione, escludendone la possibile applicazione in ragione del fatto che il reato oggetto del secondo titolo deve essere stato commesso ‘anteriormente alla emissione della prima ordinanza’.
In riferimento alle condotte di partecipazione a un sodalizio mafioso, come Ł nel caso in esame, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare disposta per il reato di associazione mafiosa, il provvedimento coercitivo che limita la libertà personale dell’indagato per il primo fatto di reato determina – secondo la giurisprudenza di questa Corte – una mera presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa, la protrazione della quale, in presenza di concrete allegazioni difensive, deve tuttavia essere desunta da concreti elementi dimostrativi (così Sez.VI n.13568 del 29.11.2019, dep.2020, rv 278840).
Il citato orientamento realizza una sintesi efficace delle diverse posizioni che si sono confrontate nel tempo in punto di ‘protrazione’ o meno della condotta partecipativa (ad una associazione di stampo mafioso) in epoca posteriore all’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale di tipo custodiale.
In particolare si Ł ritenuto, in modo condivisibile, che si coglie l’esigenza di una ulteriore riflessione al fine di evitare che i principi indicati trovino attuazione attraverso accertamenti semplificati, tendenti a svuotare, come si dirà, la ratio sottesa all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. Un’esigenza già avvertita in qualche occasione dalla giurisprudenza della Corte di cassazione; ci si riferisce a Sez.1, n. 48211 del 13/11/2013, Allegro, Rv. 257817, secondo cui, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata con formula “aperta”, il provvedimento coercitivo che limita la libertà personale dell’indagato determina una presunzione di interruzione della condotta criminosa, la cui eventuale protrazione deve, pertanto, essere desunta da concreti elementi dimostrativi in fattispecie in cui in tema di contestazione a catena; si tratta di una decisione con cui la Corte ha annullato il provvedimento che aveva escluso il presupposto dell’anteriorità del reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa, oggetto della seconda ordinanza coercitiva, sulla base esclusivamente del dato formale della contestazione del “tempus commissi delicti” con formula aperta. Non Ł in discussione il principio secondo cui la sopravvenuta detenzione non assume di per sØ decisivo rilievo rispetto alla permanenza dell’affectio societatis, ben potendo il fatto associativo essere contestato a soggetti già ristretti in carcere, anche con riferimento a periodi successivi all’emissione del primo titolo. L’intervenuta carcerazione del soggetto a seguito dell’applicazione di un’ordinanza cautelare non costituisce un elemento automaticamente idoneo ad integrare una presunzione assoluta di interruzione della permanenza, ma realizza una presunzione relativa di non interruzione che può imporre, ai fini della individuazione dei presupposti per l’applicazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., di valutare la situazione concreta, senza fermarsi al mero dato formale dell’assenza di forme espresse di dissociazione .
Nel caso in esame, tuttavia, la ‘presunzione di non interruzione’ della condotta criminosa non ha trovato, in sede di merito, elementi contrari ed idonei a smentirla, essendosi il COGNOME limitato a prospettare l’esigenza di retrodatazione ai sensi dell’art.297 co.3 cod.proc.pen., senza tener conto della necessità di addurre elementi specifici in grado di dimostrare che con il primo arresto si era interrotta la propria condotta partecipativa.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 25/02/2025
Il Consigliere estensore COGNOME