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Retrodatazione termini custodia: quando non si applica

La Corte di Cassazione ha rigettato un ricorso sull’applicazione della retrodatazione termini custodia. La Corte ha chiarito che il principio non si applica quando più misure cautelari sono emesse per reati distinti, commessi in tempi e con complici diversi, poiché manca la necessaria “connessione qualificata” e un unico disegno criminoso. La sentenza conferma la validità della custodia in carcere basata sull’elevato rischio di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Termini Custodia: la Cassazione chiarisce i limiti

Il principio della retrodatazione termini custodia, disciplinato dall’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, rappresenta una garanzia fondamentale per l’imputato, volta a evitare il prolungamento ingiustificato della custodia cautelare attraverso la cosiddetta “contestazione a catena”. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede la sussistenza di presupposti ben precisi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 24970/2025) offre un’importante analisi sui limiti di questo istituto, specificando quando il legame tra reati diversi non è sufficiente a giustificarne l’operatività.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere per una serie di reati di spaccio di sostanze stupefacenti, commessi in un arco temporale compreso tra marzo 2021 e aprile 2022. Successivamente, lo stesso soggetto era stato arrestato in flagranza il 12 dicembre 2023 per un episodio distinto di trasporto di cocaina e posto agli arresti domiciliari con una diversa ordinanza. La difesa ha quindi chiesto che i termini di custodia della seconda misura (quella in carcere) venissero fatti decorrere dalla data di esecuzione della prima (gli arresti domiciliari), sostenendo l’esistenza di una connessione tra i reati.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha impugnato l’ordinanza del Tribunale del Riesame basandosi su due motivi principali:

1. Erronea applicazione della legge processuale: Si contestava la mancata applicazione della retrodatazione termini custodia, sostenendo che tra i reati dei due procedimenti esistesse una connessione qualificata, tale da farli rientrare in un unico disegno criminoso.
2. Vizio di motivazione: Si criticava la decisione del Tribunale di ritenere la custodia in carcere come unica misura adeguata, senza considerare che l’indagato era già agli arresti domiciliari per un fatto più recente, svolgeva attività lavorativa e non aveva commesso ulteriori reati dopo l’arresto del dicembre 2023.

L’analisi della Corte sulla retrodatazione termini custodia

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo, fornendo una chiara disamina dei requisiti per la retrodatazione. I giudici hanno sottolineato che, affinché i termini possano essere retrodatati, non basta una generica somiglianza tra i reati, ma è necessaria una “connessione qualificata” ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b) e c) cod.proc.pen., ovvero la sussistenza di un reato continuato o di un nesso teleologico (un reato commesso per eseguirne un altro).

Nel caso specifico, la Corte ha escluso tale connessione, rilevando che:

* Diversità dei fatti: Il primo procedimento riguardava episodi di spaccio con vari complici, mentre il secondo concerneva un singolo trasporto con un altro concorrente.
* Distanza temporale: I fatti erano collocati in periodi molto distanti tra loro.
* Assenza di un unico disegno criminoso: I reati non apparivano come l’attuazione di un piano unitario, ma piuttosto come il frutto di determinazioni criminose autonome e distinte. La Corte ha ribadito che un’inclinazione generale a delinquere non si identifica con il “medesimo disegno criminoso” richiesto per il reato continuato.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra una generica propensione al crimine e una specifica programmazione unitaria di più illeciti. I giudici hanno precisato che i fatti oggetto della prima ordinanza (quella per cui si chiedeva la retrodatazione) non potevano essere considerati come espressione di un unico progetto criminoso che includesse anche il successivo episodio di trasporto. Si trattava, invece, di una nuova e autonoma determinazione a delinquere. Di conseguenza, mancando il presupposto della connessione qualificata, la richiesta di retrodatazione è stata correttamente respinta.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha ritenuto logica e congrua la valutazione del Tribunale sull’adeguatezza della custodia in carcere. La decisione è stata giustificata sulla base del comprovato inserimento del ricorrente in un circuito di narcotraffico, della sua pericolosità sociale desumibile dai precedenti penali e dalla sua capacità di mantenere contatti illeciti anche in contesti territoriali diversi. La richiesta di arresti domiciliari in un’altra regione è stata vista come strumentale e non idonea a neutralizzare il concreto pericolo di recidivanza.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la retrodatazione termini custodia è una garanzia che opera solo in presenza di un legame sostanziale e qualificato tra i reati, riconducibili a un’unica programmazione criminosa. In sua assenza, ogni procedimento e ogni misura cautelare seguono il proprio corso. La decisione conferma inoltre che la valutazione sulla pericolosità sociale e sulla scelta della misura cautelare più adeguata è un giudizio di merito, incensurabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è supportato da una motivazione logica, coerente e basata su elementi concreti.

Quando si applica il principio della retrodatazione dei termini di custodia cautelare?
Il principio si applica, ai sensi dell’art. 297, comma 3, c.p.p., quando nei confronti di un imputato vengono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi, a condizione che sussista una duplice condizione: 1) deve esistere una connessione qualificata tra i reati (reato continuato o nesso teleologico); 2) i fatti della seconda ordinanza dovevano essere già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima.

Perché nel caso esaminato la Corte ha escluso la retrodatazione?
La Corte ha escluso la retrodatazione perché non ha ravvisato una “connessione qualificata” tra i reati contestati nei due procedimenti. I fatti erano diversi per modalità esecutive, complici coinvolti e contesto temporale. Sono stati considerati il frutto di determinazioni criminose autonome e distinte, piuttosto che l’attuazione di un “medesimo disegno criminoso”, requisito essenziale per configurare il reato continuato e, di conseguenza, per applicare la retrodatazione.

Su quali basi è stata confermata la misura della custodia in carcere?
La custodia in carcere è stata confermata in quanto ritenuta l’unica misura adeguata e proporzionata al concreto e attuale pericolo di recidivanza. La decisione si è basata su elementi quali il comprovato inserimento dell’indagato in un circuito di narcotraffico, la pluralità delle condotte, i precedenti penali specifici (inclusa una pendenza per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti) e la sua capacità di mantenere contatti illeciti anche in contesti territoriali diversi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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