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Retrodatazione termini custodia: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio un’ordinanza di custodia cautelare, accogliendo il motivo sulla retrodatazione dei termini di custodia. Il caso riguardava un individuo destinatario di una seconda misura cautelare per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, basata su intercettazioni già note in un precedente procedimento per associazione mafiosa. La Corte ha stabilito che il Tribunale del Riesame non ha adeguatamente motivato il carattere di novità delle prove addotte (nuove informative di polizia), omettendo di verificare se fossero una mera rielaborazione di materiale già acquisito. Di conseguenza, ha rinviato il caso per un nuovo esame che valuti concretamente se gli elementi probatori della seconda ordinanza fossero già desumibili dagli atti della prima, con conseguente applicazione della retrodatazione dei termini di custodia.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Termini Custodia: la Cassazione stabilisce i limiti alle “nuove prove”

La corretta gestione dei termini di custodia cautelare è un pilastro fondamentale del diritto processuale penale, a garanzia della libertà personale dell’indagato. Un principio cruciale è quello della retrodatazione termini custodia, disciplinato dall’art. 297, comma 3, c.p.p., che impedisce l’elusione dei limiti massimi di durata delle misure attraverso l’emissione di provvedimenti ‘a catena’. Con la sentenza n. 47579/2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema delicato, chiarendo l’onere motivazionale del giudice nel negare la retrodatazione quando le ‘nuove’ prove sembrano essere solo una rielaborazione di elementi già noti.

I Fatti del Caso: una Seconda Ordinanza Basata su Vecchie Intercettazioni

Il caso trae origine dal ricorso di un indagato, già colpito da un’ordinanza di custodia cautelare per associazione di tipo mafioso nell’ambito di un’operazione denominata ‘Reset’. Successivamente, veniva emessa una seconda ordinanza per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (ex art. 74 T.U. Stupefacenti), nell’ambito dell’operazione ‘Recovery’.

La difesa sosteneva che il quadro probatorio della seconda ordinanza si basava sulle medesime intercettazioni già acquisite e valutate nel primo procedimento. Di conseguenza, chiedeva l’applicazione della retrodatazione, sostenendo che i termini di durata massima della custodia per il secondo reato fossero già decorsi al momento dell’emissione della nuova misura.

Il Tribunale del Riesame, tuttavia, confermava la seconda ordinanza, negando la retrodatazione. La sua motivazione si fondava principalmente sulla sopravvenienza di nuove informative di polizia giudiziaria, successive alla prima ordinanza, e sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

La Valutazione della Cassazione sulla retrodatazione termini custodia

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’indagato, limitatamente al punto sulla retrodatazione. I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione del Tribunale del Riesame ‘del tutto insoddisfacente’ ed ‘evasiva’.

Il punto centrale della critica della Cassazione è che il Tribunale si è limitato a un richiamo generico e formale alla data delle nuove informative di polizia, senza entrare nel merito del loro contenuto. Non ha verificato se tali atti contenessero elementi di prova genuinamente nuovi o se, come sostenuto dalla difesa, rappresentassero una mera rielaborazione e rivalutazione di intercettazioni già presenti nel primo fascicolo.

Le Motivazioni della Sentenza: l’onere di dimostrare la novità delle prove

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: non è sufficiente la formale acquisizione di un nuovo atto di indagine per escludere la retrodatazione. È necessario che il giudice del riesame svolga una ‘più attenta verifica del carattere innovativo’ delle nuove fonti di prova rispetto a quelle già valutate.

In particolare, il Tribunale avrebbe dovuto:
1. Analizzare il contenuto: Verificare se le nuove informative riportassero conversazioni o fatti effettivamente nuovi e non conosciuti in precedenza.
2. Valutare il peso probatorio: Spiegare perché questi nuovi elementi avessero un ‘peso decisivo’ nel formare il quadro indiziario per la nuova accusa.
3. Spiegare il ritardo: Chiarire le ragioni per cui il compendio indiziario, se già disponibile, non avesse manifestato la sua rilevanza all’epoca della prima ordinanza.

Il semplice riferimento a dichiarazioni di collaboratori di giustizia, che peraltro non menzionavano nemmeno l’indagato, è stato ritenuto insufficiente a superare le puntuali eccezioni della difesa. La Corte sottolinea che era onere del Tribunale fornire una risposta concreta, dimostrando che la scelta di procedere separatamente non fosse frutto di una discrezionalità arbitraria del Pubblico Ministero.

Le Conclusioni: l’impatto della decisione sulla ‘contestazione a catena’

Questa sentenza rafforza le garanzie difensive contro il fenomeno delle ‘contestazioni a catena’. La Cassazione impone ai giudici di merito un controllo sostanziale e non meramente formale sulla novità delle prove. Non basta che un’informativa sia datata posteriormente alla prima ordinanza; è necessario che il suo contenuto probatorio sia effettivamente innovativo e decisivo.

In conclusione, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro. Quest’ultimo dovrà riesaminare il punto, attenendosi ai principi enunciati e conducendo una verifica approfondita per stabilire se, al momento della prima ordinanza, gli elementi per la seconda accusa fossero già desumibili dagli atti. In caso affermativo, dovrà applicare la retrodatazione dei termini di custodia cautelare.

Quando si applica la retrodatazione dei termini di custodia cautelare in caso di più ordinanze?
La retrodatazione si applica, ai sensi dell’art. 297, comma 3, c.p.p., quando vengono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi ma connessi (concorso formale, reato continuato, nesso teleologico) o quando gli elementi giustificativi della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima.

Una nuova informativa di polizia è di per sé sufficiente a giustificare una nuova ordinanza cautelare senza retrodatazione?
No. Secondo la sentenza, il mero dato formale della datazione di una nuova informativa successiva alla prima ordinanza non è sufficiente. È necessario che il suo contenuto abbia un carattere probatorio genuinamente innovativo e non sia una semplice rielaborazione di elementi già acquisiti e disponibili.

Qual è l’onere del Tribunale del Riesame quando la difesa sostiene che le “nuove” prove erano già disponibili?
Il Tribunale del Riesame ha l’onere di effettuare una verifica attenta e sostanziale. Deve analizzare il contenuto delle nuove fonti di prova, indicare specificamente gli elementi di novità e il loro peso probatorio, e spiegare perché il quadro indiziario non fosse già completo all’epoca della prima misura. Una motivazione generica o formale è considerata evasiva e insufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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