Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11183 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11183 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 27/09/1988
avverso l’ordinanza del 30/09/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 30 settembre 2024, e depositata 1’8 ottobre 2024, il Tribunale di Napoli, pronunciando in materia di misure cautelari personali, ha rigettato l’appello presentato nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli aveva respinto l’istanza di dichiarazione di inefficacia della misura cautelare
O MAR. 2025
della custodia in carcere per retrodatazione del termine iniziale di decorrenza della stessa a norma dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
La misura cautelare della custodia in carcere di cui si chiede la revoca per retrodatazione dei termini è stata disposta in data 17 gennaio 2024 nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, per aver partecipato nel ruolo di capo, promotore ed organizzatore ad un sodalizio dedito al narcotraffico operante in Boscoreale e comuni limitrofi dal dicembre 2020 al 6 aprile 2021, delitto aggravato dall’uso delle armi e dal metodo mafioso. In particolare, secondo il Tribunale, deve escludersi la retrodatazione del termine iniziale di decorrenza della misura cautelare in questione al 12 aprile 2021, data di arresto dell’attuale ricorrente per reati in materia di armi, violenza privata e danneggiamento aggravati dal metodo mafioso, commessi il 6 aprile 2021, in quanto, pur essendo stata dichiarata sussistente una connessione qualificata tra i fatti oggetto delle due misure con sentenza del 24 maggio 2024, non erano desumibili dagli atti, al momento dell’adozione del primo provvedimento coercitivo, elementi idonei a giustificare l’adozione di quello successivo.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo.
Con il motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego della retrodatazione del termine di decorrenza della misura cautelare in atto.
Si deduce che l’ordinanza impugnata ha illegittimamente escluso la retrodatazione dei termini dell’ordinanza emessa dal G.i.p. di Napoli il 17 gennaio 2024, e relativa al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 aggravato dal metodo mafioso e dall’uso di armi, commesso dall’8 dicembre 2020 al 6 aprile 2021, alla data del 12 aprile 2021, giorno di arresto del COGNOME per i reati di detenzione e porto illegale di arma da fuoco aggravati dal metodo mafioso, commessi il 6 aprile 2021, e giudicati con sentenza nel connesso procedimento n. 1143/2022, perché ha omesso di apprezzare diversi elementi rilevanti ai fini dell’operatività dell’istituto di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Si osserva, in primo luogo, che i fatti ascritti all’odierno ricorrente nelle due diverse ordinanze cautelari sono stati dichiarati, nella sentenza del 24 maggio 2024, in connessione qualificata tra loro.
Si segnala, poi, che, al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare, quella relativa ai reati di detenzione e porto illegale di arma da fuoco aggravati dal metodo mafioso, erano presenti elementi idonei e sufficienti a
giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, concernente il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 aggravato dal metodo mafioso e dall’uso di armi. In particolare, si evidenzia che: a) già dall’informativa datata 31 marzo 2021 era possibile evincere l’esistenza e l’operatività del sodalizio contestato all’attuale ricorrente nel presente procedimento; b) il P.M presso la D.D.A. di Napoli, ricevuta tale informativa il 21 aprile 2021, aveva proceduto, il successivo 1 giugno 2021, all’iscrizione di NOME COGNOME nel registro degli indagati per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, nonché per reati d detenzione e porto illegale di armi da sparo; c) in data 31 gennaio 2022, il G.i.p. di Torre Annunziata, sempre sulla base dell’informativa del 31 marzo 2021, aveva ritenuto non sussistente il delitto associativo ma solo quello di concorso di persone nel reato continuato di spaccio di stupefacenti, con ciò dimostrando che già a tale data era stato delineato l’organigramma del sodalizio successivamente contestato; d) non è convincente l’assunto per cui la configurabilità del delitto associativo sarebbe diventata palese solo con il deposito dell’informativa del 2 aprile 2022, in quanto la stessa ha ad oggetto condotte di soggetti diversi dall’attuale ricorrente.
Si conclude che, siccome il compendio probatorio relativo al fatto di reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 deve ritenersi costituito principalmente dall’informativa di reato del 31 marzo 2021, la D.D.A. di Napoli, alla data del rinvio a giudizio di NOME COGNOME per i delitti di detenzione e porto abusivo di armi, ossia al giorno 17 febbraio 2022, disponeva già di elementi sufficienti per poter ottenere l’adozione della posteriore ordinanza cautelare, e che, quindi, il decorso dei termini di custodia cautelare nei confronti del medesimo per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 deve essere calcolato a partire dal 12 aprile 2021, data del primo arresto (arresto relativo ai reati di detenzione e porto illegale di arma da fuoco aggravati dal metodo mafioso).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
La questione posta nel ricorso attiene alla correttezza del giudizio di esclusione del requisito della “desumibilità allo stato degli atti”, al momento della emissione della prima ordinanza di custodia cautelare e del rinvio a giudizio per detti episodi, dei fatti posti a base della seconda ordinanza, della quale la difesa chiede sia dichiarata l’inefficacia.
Questo perché è incontestata la sussistenza degli altri due requisiti sulla cui base di chiede la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare relativi alla misura disposta con la seconda ordinanza, e cioè quelli della
sussistenza di una connessione qualificata tra i fatti oggetto delle due misure, siccome accertata con sentenza del 24 maggio 2024, e dell’anteriorità dei fatti oggetto della misura di cui in questa sede si chiede l’inefficacia, contestati con termine finale al 6 aprile 2021, rispetto all’adozione della prima misura, emessa il 12 aprile 2021.
2.1. In ordine al requisito della “desumibilità allo stato degli atti”, le indicazion della giurisprudenza risultano convergenti, e postulano, perché lo stesso sia da ritenere integrato, la necessità dell’avvenuta acquisizione di elementi dimostrativi univoci al momento dell’adozione della prima ordinanza.
In particolare, secondo una decisione, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, consiste non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (così Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, COGNOME, Rv. 277351 02, la quale ha ritenuto corretta la decisione del tribunale che aveva escluso la retrodatazione in quanto l’informativa finale relativa ai fatti per i quali era stat emesso il secondo titolo cautelare era stata depositata due mesi dopo l’applicazione della prima ordinanza, intervenuta a seguito di arresto in flagranza, quando non sussisteva altro elemento per ipotizzare il coinvolgimento dei ricorrenti negli episodi, quantunque commessi in precedenza, contestati con la seconda ordinanza). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ad avviso di altra decisione, analogamente, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di “desumibilità dagli atti” non è integrata dalla mera “conoscenza o conoscibilità” dei fatti che hanno condotto all’adozione della seconda misura, presupponendo invece la sussistenza di una situazione indiziaria di tale gravità e completezza da legittimare l’adozione della seconda misura cautelare fin dal momento in cui è stata adottata la prima. (cfr. Sez. 6, n. 54452 del 06/11/2018, COGNOME, Rv. 274752 – 01, relativa a fattispecie in cui la seconda misura cautelare era stata adottata sulla base delle AA, dichiarazioni di un collaboràte, già sentito all’epoca dell’adozione della prima misura cautelare, che solo in occasione di una successiva escussione aveva completato il riconoscimento dell’indagato attinto dalla misura cautelare di cui si chiedeva la retrodatazione).
Una ulteriore pronuncia, poi, ha escluso che, ai fini della “desumibilità allo stato degli atti” siano sufficienti la mera esistenza della notizia del fatto-reato, o che la successiva ordinanza si fondi su elementi probatori già presenti nella prima, potendo gli stessi non manifestare sin dall’inizio il loro significato in modo immediato ed evidente (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279291 01, la quale ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del riesame che aveva ritenuto irrilevante, ai fini della pregressa conoscibilità degli elementi, l’iscrizion della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. e l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni telefoniche).
2.2. L’ordinanza impugnata fornisce analitica indicazione delle ragioni per le quali ritiene che i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’attuale ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 – per aver partecipato nel ruolo di capo, promotore ed organizzatore ad un sodalizio dedito al narcotraffico operante in Boscoreale e comuni limitrofi dal dicembre 2020 al 6 aprile 2021, delitto aggravato dall’uso delle armi e dal metodo mafioso – siano emersi successivamente al rinvio a giudizio per i reati in materia di armi, violenza privata e danneggiamento aggravati dal metodo mafioso, commessi il 6 aprile 2021.
Il Tribunale del riesame precisa espressamente che gli elementi valorizzati dall’ordinanza emessa nei confronti dell’attuale ricorrente per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n 309 del 1990, relativa alla misura di cui si chiede la retrodatazione, sono esposti in parte nell’informativa del 31 marzo 2021 e in parte nell’informativa del 3 aprile 2022, e che quest’ultima è ampiamente successiva alla richiesta di rinvio a giudizio per i reati in materia di armi per i quali era stata disposta la prima misura, in quanto detta richiesta è del 17 febbraio 2022.
In dettaglio, poi, il Tribunale rappresenta che l’informativa del 31 marzo 2021 conteneva meri accenni all’attuale ricorrente, perché in essa: a) i riferimenti al coinvolgimento del medesimo nell’attività di spaccio erano basati solo su fonti confidenziali; b) le persone denunciate per spaccio di sostanze stupefacenti e per reati in materia di armi erano altre; c) gli unici elementi obiettivi relativi all’attu ricorrente erano costituiti dalla constatazione di contatti dalla finestra o per strada tra lo stesso e diversi indagati per spaccio, nonché dal rinvenimento a casa del medesimo di due di costoro; d) la contrapposizione di gruppi locali avente ad oggetto la cessione di sostanze stupefacenti era in quel momento oggetto di mere ipotesi investigative, fondate sulla constatazione di spari, attentati ed agguati in danno di più persone o di loro abitazioni.
Il Tribunale, inoltre, segnala che decisivi elementi a carico di NOME COGNOME per il reato oggetto della seconda ordinanza sono stati indicati nell’informativa del 6 aprile 2022, siccome questa richiama, in particolare, conversazioni tra presenti intercettate tra il gennaio ed il febbraio 2022 in cui si fanno ripetuti riferimenti a
medesimo, nonché dichiarazioni rese da tale NOME COGNOME il quale ha riferito il movente dall’agguato da lui subito nella volontà di punirlo per la sua attività di pusher per conto dell’attuale ricorrente.
2.3. Le conclusioni dell’ordinanza impugnata, secondo cui deve escludersi la “desumibilità allo stato degli atti”, al momento della emissione della prima ordinanza di custodia cautelare e del rinvio a giudizio per detti episodi, dei fatti posti a base della seconda ordinanza, della quale la difesa chiede sia dichiarata l’inefficacia, sono correttamente motivate.
Le critiche contenute nel ricorso, d’altro canto, o sono manifestamente infondate o sono prive di specificità.
In particolare, sono manifestamente infondate le censure che valorizzano l’iscrizione della notizia di reato a carico dell’attuale ricorrente per la fattispecie d cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in data 1 giugno 2021: è di intuitiva evidenza che la mera iscrizione di una notizia di reato non equivale alla desumibilità di gravi indizi di colpevolezza, come del resto ha già specificamente precisato la giurisprudenza (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, cit.).
Prive di specificità, invece, sono le censure che si fondano sul provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Torre Annunziata del 31 gennaio 2022, il quale aveva ravvisato il concorso di persone nel reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990: indipendentemente da ogni altra considerazione, il ricorso richiama questo provvedimento, ma non lo allega, e neppure precisa a carico di chi è stato emesso.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/01/2025.