Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47580 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47580 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOMENOMECOGNOME nato a Cosenza il 15/10/1967
avverso l’ordinanza del 04/06/2024 del Tribunale di Catanzaro udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Catanzaro, in sede di riesame, ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale della stessa città del 17 aprile 2024 con la quale è stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME per reato di associazione ex art. 74 T.U. Stup.
La difesa aveva evidenziato che in data 1 settembre 2022, nell’ambito dell’operazione denominata “Reset”, era stata già eseguita una prima ordinanza cautelare per associazione mafiosa nei confronti del COGNOME sulla base delle medesime intercettazioni successivamente valorizzate nella nuova ordinanza cautelare emessa nell’ambito dell’operazione denominata “Recovery” per disporre la misura cautelare per il reato di cui all’art. 74 T.U. Stup.
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Il Tribunale ha rilevato l’assenza dei presupposti per la retrodatazione sotto il profilo della carenza del presupposto della desumibilità dei gravi indizi dagli atti posti a fondamento della prima ordinanza cautelare (operazione “Reset”), in riferimento alla partecipazione dell’indagato al reato associativo, emersa solo successivamente sulla base delle rielaborazione di un variegato compendio probatorio costituto da informative di polizia giudiziaria, l’ultima delle quali de mese di dicembre 2023, da una mole consistente di intercettazioni, e dalle sopravvenute dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME COGNOME i quali, pur non menzionando COGNOME, hanno delineato l’associazione di cui il predetto è stato ritenuto partecipe.
Con riferimento al COGNOME, inoltre, il Tribunale ha dato rilievo al fatto che il Pubblico Ministero, intervenuto in udienza, ha sottolineato il carattere aperto della contestazione per l’associazione, relativa ad una condotta ancora in corso al momento dell’emissione della prima ordinanza.
Con atto a firma del difensore di fiducia, COGNOME NOME chiede l’annullamento del provvedimento, per i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge per l’assoluta mancanza di motivazione in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
L’ordinanza del procedimento “Reset” emessa per il reato di cui all’art.416-bis cod.pen. si fonda sulle stesse intercettazioni poste a fondamento della seconda ordinanza emessa nell’operazione denominata “Recovery”, che sono state utilizzate per supportare la gravità indiziaria per il reato di cui all’art. 74 T.U. Stu
Si censura l’argomento utilizzato dal Tribunale che ha valorizzato delle informative sopravvenute del dicembre 2023, senza però considerare che si riferiscono alle stesse intercettazioni.
Peraltro, in riferimento al capo 173) della prima ordinanza, la gravità indiziaria era stata già ravvisata rispetto ai componenti di etnia rom, mentre rispetto al componenti di nazionalità italiana si è operato questo “spezzettamento” ingiustificato, ritardando inspiegabilmente l’applicazione della misura di ben due anni.
Quanto poi alle menzionate dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME si osserva che, sebbene sopravvenute rispetto alla prima ordinanza, le stesse risultano prive di rilevanza decisiva nei confronti di COGNOME che non viene neppure menzionato.
Si ribadisce che le medesime intercettazioni, già concluse alla data dell’ 1 marzo 2021 sono state valorizzate nei due procedimenti, sicchè per effetto della retrodatazione i termini di durata massima per la seconda ordinanza erano già decorsi al momento della emissione della nuova ordinanza in applicazione del
principio affermato dalle Sez. U, n. 23166 del 29/7/2020 sulla non frazionabilità dei termini rispetto alle diverse fasi, computabile per fasi anche non omogenee.
A conferma di quanto dedotto si allega la richiesta di misura nel procedimento “Reset” relativa ai capi 103), 104), 105) e 106) in relazione alla estorsione ai danni di COGNOME NOME, riferita al recupero di un credito correlato ad una consegna di droga, che si fonda sulle stesse intercettazioni che sono state utilizzate nel procedimento “Recovery” per affermare la gravità indiziaria nei confronti di COGNOME.
Come anche il riferimento alla banca dati per la cessione operata da COGNOME Fabio nell’anno 2014 per conto dei NOME COGNOME si rileva come anche questo dato era già stato acquisito agli atti del procedimento “Reset”.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge per mancanza assoluta di motivazione in merito alla valutazione del contenuto delle intercettazioni da cui è stata desunta la gravità degli indizi per il reato di partecipazione all’associazione ex art. 74 T.U. Stup.
Vengono prese in esame le diverse intercettazioni riprodotte nel corpo del motivo per sostenere la tesi della loro irrilevanza probatoria ai fini della dimostrazione dell’intraneità di COGNOME nell’attività del traffico di stupefacenti.
In particolare, la vicenda di COGNOME NOME ed il suo contrasto con Chiari per lo sconfinamento delle zone di competenza dimostrerebbe l’assenza di una strategia comune e, quindi, contraddice l’esistenza di un rapporto associativo poichè i vari protagonisti agiscono come singoli per interessi personali.
Si evidenziano, poi, altre anomalie: 1) l’assenza di reati-fine che non sono contestati al COGNOME ed al suo presunto gruppo; 2) le intercettazioni che dimostrano come i predetti sono privi del denaro necessario per pagare la droga; 3) il carattere millantatori° del progetto di COGNOME di acquistare cento chili di cocaina a credito; 4) la scelta del COGNOME di non volere occuparsi del traffico di stupefacenti.
Infine, si osserva che, alla luce dei principi giurisprudenziali in tema di associazione, il COGNOME non ha mai avuto la volontà di partecipare alla presunta associazione e che l’accordo non seguito dalla consumazione del reato rientra nella fattispecie dell’art. 115 cod. pen., mancando i presupposti per contestare il reato associativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato, diversamente dal secondo da dichiarare inammissibile.
Deve premettersi come questa Corte abbia chiarito più volte che tanto l’esistenza della connessione rilevante ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240099), quanto la desumibilità dagli atti del primo procedimento degli elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari (Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236829) costituiscono quaestiones facti, la cui valutazione è riservata ai giudici di merito ed è sindacabile dal giudice di legittimità esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiva delle emergenze processuali e probatorie, nonché della congruenza e non contraddittorietà delle relative analisi e dei pertinenti passaggi argomentativi.
È inoltre opportuno ricordare che in tema di “contestazione a catena”, quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza.
Al contrario quando le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione, l’art. 297 comma 3 come integrato dalla Corte Costituzionale consente la retrodatazione quando gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero, sicché la regola della retrodatazione concerne normalmente misure adottate nello stesso procedimento e può applicarsi a misure disposte in un procedimento diverso solo nelle ipotesi testé indicate (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909; Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv. 231058).
Deve essere, altresì, ribadito che i casi di connessione rilevanti a fini di retrodatazione sono, ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., solo quelli di concorso formale di reati, reato continuato e nesso teleologico tra reati commessi per eseguire gli altri, previsti all’art. 12, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen.
Inoltre, occorre ricordare che la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se il relativo termine di durata massima sia già interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione del secondo provvedimento cautelare (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549).
2. Alla stregua di quanto precede, le giustificazioni addotte dal Tribunale del riesame per negare la sussistenza dei presupposti normativi della retrodatazione della seconda misura custodiale applicata al ricorrente non possono ritenersi esaustive con riferimento al profilo centrale della esclusione del presupposto della desumibilità dagli atti posti a base della prima ordinanza.
Non è certamente sufficiente che, entro i limiti temporali suddetti, sia stata acquisita e risulti dagli atti la mera notizia del fatto-reato oggetto della seconda ordinanza, essendo invece indispensabile che, sin dall’epoca dell’emissione della prima ordinanza o della data del rinvio a giudizio, ove ricorra una ipotesi di connessione qualificata tra i reati, sussista un quadro indiziario legittimante l’adozione delle misure cautelari successivamente applicate allo stesso indagato, essendo, quest’ultimo, soggetto all’onere di allegazione degli elementi dai quali desumere l’applicabilità della retrodatazione da lui invocata (Sez. U, n. 9 del 25/06/1997, Atene, Rv. 208167).
Tuttavia, nel caso di specie il ricorrente ha assolto a tale onere di allegazione, avendo richiamato a supporto dell’operatività della retrodatazione la sostanziale identità del materiale probatorio posto a base della seconda ordinanza con quello non solo già acquisito ma anche valutato ed elaborato in funzione della applicazione della prima ordinanza cautelare.
Invero, già la prima ordinanza cautelare aveva collocato la fattispecie associativa mafiosa contestata al ricorrente nell’ambito del c.d. “sistema Cosenza”‘ ovvero nella confederazione ‘ndranghetistica operante nel territorio cosentino che operava il controllo capillare del territorio in vari settori, tra i quali anche quel degli stupefacenti.
La sussistenza di un’attività illecita di tale tipologia nel contesto degli interessi della cosca confederata era già emersa dal compendio indiziario originario anche con specifico riferimento alla posizione del ricorrente, individuato quale soggetto coinvolto nel recupero dei crediti relativi al traffico di droga nell’ambito del sottogruppo COGNOME.
A fronte di tali puntuali eccezioni difensive, il mero riferimento alla datazione delle informative di polizia giudiziaria successiva alla emissione della prima ordinanza non assume rilievo in ragione della evidenziata identità delle intercettazioni poste a fondamento della nuova ordinanza con quelle acquisite e apprezzate ai fini dell’emissione della prima ordinanza per il reato di associazione mafiosa, ascritto nei confronti dello stesso ricorrente.
È pur vero che allorchè si tratti di indagini basate essenzialmente sulle risultanze delle intercettazioni telefoniche non rilevi il momento in cui le stesse siano state eseguite, dovendosi tenere conto del tempo necessario per il riascolto e l’elaborazione del loro contenuto e significato, sicchè non sarebbe corretto
ritenere sussistente il medesimo compendio probatorio, apprezzando unicamente il tempo della loro formale acquisizione.
D’altra parte, però, essendo stato rilevato dalla difesa che al momento della prima richiesta di misura cautelare le stesse conversazioni oggetto di intercettazione erano state già apprezzate e valorizzate per ricostruire l’esistenza non solo dell’associazione mafiosa, oggetto della prima ordinanza, ma anche della correlata associazione dedita al traffico di stupefacenti contestata nella prima ordinanza inspiegabilmente solo al gruppo di etnia rom, la risposta fornita dal Tribunale appare del tutto insoddisfacente perché incentrata sul generico richiamo alla data delle nuove informative di polizia giudiziaria.
A tale riguardo, infatti, è evidente che avendo la difesa fornito elementi concreti a dimostrazione che le conversazioni intercettate riportate nelle nuove informative di polizia giudiziaria erano già contenute nell’informativa posta a base della prima richiesta cautelare, era onere del Tribunale verificare se tale affermazione fosse fondata, non potendosi limitare al dato formale del confezionamento di una nuova informativa in epoca successiva che avrebbe sostanzialmente riproposto la rivalutazione dello stesso compendio probatorio senza rilevanti differenze.
Si impone, pertanto, una più attenta verifica del carattere innovativo delle nuove informative rispetto a quelle già valutate come base per l’emissione della prima ordinanza, attraverso la specifica indicazione non solo degli elementi di novità sopravvenuti, ma anche del loro peso probatorio, al fine di non dare seguito a possibili utilizzi strumentali di fonti di prove sopravvenute ma prive di una concreta efficacia dimostrativa in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, dovendosi spiegare la ragione del perché il compendio indiziario già disponibile non manifestasse all’epoca della prima ordinanza la propria rilevanza indiziaria per il reato oggetto della seconda ordinanza.
È necessario che il Tribunale dia conto delle ragioni per le quali la rielaborazione degli stessi elementi probatori già acquisiti con l’integrazione delle nuove e sopravvenute emergenze probatorie abbia assunto la necessaria valenza di gravità indiziaria.
In altri termini, il generico riferimento alla sopravvenienza temporale di nuovi elementi di prova rispetto alla prima ordinanza non assume rilevanza se non accompagnato da una valutazione sostanziale della loro effettiva rilevanza probatoria in rapporto al materiale probatorio già disponibile al momento della prima ordinanza.
Nel caso di specie, non basta quindi fare riferimento alle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia (COGNOME e COGNOME), sicuramente sopravvenute rispetto alla prima ordinanza, senza spiegare le ragioni per le quali tali dichiarazioni abbiano
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assunto un peso decisivo nella valutazione della gravità indiziaria rispetto agli elementi di prova già acquisiti e valutati per avanzare la prima richiesta cautelare, a fronte dell’eccepita inconsistenza probatoria di tali dichiarazioni rispetto alla nuova imputazione associativa ascritta al COGNOME.
A fronte di quadro indiziario per il reato di associazione ex art. 74 T.U. Stup che nella stessa ordinanza genetica risulta incentrato nei confronti del ricorrente esclusivamente sulle risultanze delle intercettazioni già disponibili al momento della prima ordinanza e già oggetto di valutazione, appare senz’altro evasiva la motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto al tema che avrebbe dovuto affrontare, soppesando ed analizzando il contenuto delle nuove fonti di prova per descriverne la concreta incidenza sulla gravità indiziaria riferita alla nuova imputazione associativa così da escludere che la scelta di tenere separati i due procedimenti davanti alla stessa autorità giudiziaria non sia stata il frutto di una scelta discrezionale del P.M.
Pertanto, la questione va riesaminata in sede di rinvio alla luce dei rilievi sopra avanzati, tenendo conto anche della necessità di verificare in concreto la sussistenza di elementi di fatto che possano suffragare l’ipotesi di una prosecuzione della condotta di partecipazione all’associazione in epoca successiva alla emissione della prima ordinanza, non essendo evidentemente sufficiente il semplice richiamo al carattere aperto della contestazione formulata dal pubblico ministero, necessitando elementi di prova che dimostrino tale assunto, altrimenti rimesso all’arbitraria determinazione del pubblico ministero (Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278840).
Inoltre, deve considerarsi che rispetto alle intercettazioni telefoniche il dato temporale della loro formale acquisizione non è di per sé rilevante, assumendo rilievo ai fini della retrodatazione la indicazione e specificazione delle ragioni sostanziali per le quali determinate conversazioni intercettate, sebbene già disponibili, siano state apprezzate ai fini della valutazione della gravità indiziaria per i diversi reati oggetto della seconda ordinanza solo dopo l’emissione della prima ordinanza.
luc..niós) 3. Il terzo motivo concernente la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza è inammissibile.
Va rammentato che, in sede di ricorso ex art. 311 cod. proc. pen., non spetta al giudice di legittimità di verificare la consistenza effettiva degli indizi, né operare la rilettura del compendio indiziario, ma soltanto di controllare la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. GLYPH -2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976).
Il Tribunale ha dato atto di avere basato la partecipazione del ricorrente all’associazione sulle risultanze delle intercettazioni che dimostrano come COGNOME fosse convolto con il ruolo di organizzatore nelle trattative necessarie a definire le modalità delle forniture di sostanza stupefacente unitamente al COGNOME, al COGNOME e a COGNOME e di come l’attività di cessione di stupefacenti svolta dal ricorrente fosse di interesse del gruppo.
Quanto, poi, al carattere millantatorio dei propositi di rifornirsi di ingenti carichi di cocaina in assenza di disponibilità finanziarie da parte del gruppo, si tratta di valutazioni di merito che il Tribunale ha già affrontato dando conto delle ragioni della ritenuta serietà di tali progetti sulla base di una lettura delle conversazioni intercettate che appare coerente ad una attività di traffico di stupefacenti gestita senza finalità fraudolente nel contesto di rapporti di affari basati sull’affidamento nella serietà dei diversi interlocutori e sulla necessità di riscuotere i crediti correlatm allo spaccio.
Anche la vicenda del contrasto tra COGNOME e COGNOME per uno sconfinamento rispetto alle regole del “sistema” viene affrontato dal Tribunale con motivazione coerente alla lettura delle conversazioni intercettate a dimostrazione del coinvolgimento di COGNOME nel suo ruolo di garante del rispetto di tali regole.
Si tratta di interpretazione non sindacabile in sede di legittimità non implicando alcun travisamento della prova, ma solo una lettura alternativa che il Tribunale per il riesame ha escluso con argomenti non illogici (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
In conclusione, si deve ritenere che la motivazione dell’ordinanza impugnata non presenta vizi logici manifesti e decisivi, risulta coerente con le emergenze processuali e non è incrinata dalle censure difensive che si limitano ad invocare una diversa ricostruzione di merito, inammissibile in questa sede.
In conclusione, per quanto osservato in riferimento al primo motivo di ricorso, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame sul punto della retrodatazione dei termini di custodia cautelare.
La Cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata relativamente al profilo della retrodatazione dei termini di custodia cautelare e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso 1’11 dicembre 2024
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