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Retrodatazione misura cautelare: quando non si applica

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante la retrodatazione misura cautelare. Un soggetto, già detenuto per reati del 2015, richiedeva di far decorrere una nuova misura per fatti del 2018-2019 dalla data della prima. La Corte ha stabilito che la retrodatazione non si applica se i nuovi reati sono stati commessi dopo l’emissione della prima ordinanza cautelare, confermando questo come un presupposto inderogabile della norma.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Misura Cautelare: No all’Applicazione per Reati Successivi

L’istituto della retrodatazione misura cautelare, previsto dall’articolo 297 del codice di procedura penale, rappresenta un importante strumento di garanzia per l’imputato, volto a evitare che i termini di custodia si prolunghino ingiustificatamente in presenza di più procedimenti per fatti connessi. Tuttavia, la sua applicazione è subordinata a presupposti rigorosi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la retrodatazione non opera se i reati oggetto della nuova misura sono stati commessi in un’epoca successiva all’emissione della prima ordinanza cautelare. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine dal ricorso presentato da un individuo già detenuto in seguito a una condanna definitiva per reati in materia di stupefacenti commessi nel 2015 a Catania. Successivamente, nei suoi confronti veniva emessa una nuova ordinanza di custodia cautelare da parte del Tribunale di Torino per ulteriori reati, tra cui un delitto associativo finalizzato al narcotraffico, commessi tra il 2018 e il 2019.

La difesa del ricorrente sosteneva l’esistenza di una ‘connessione qualificata’ tra i fatti dei due procedimenti, chiedendo di applicare la retrodatazione. In pratica, si richiedeva che i termini di durata della seconda misura cautelare decorressero dalla data di esecuzione della prima, con la conseguenza di dichiararne l’inefficacia per superamento dei termini massimi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale che aveva respinto l’istanza. La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso reiterativo e aspecifico, in quanto non si confrontava adeguatamente con la solida motivazione dell’ordinanza impugnata. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi: l’assenza di una connessione qualificata tra i reati e, soprattutto, l’impossibilità di applicare la retrodatazione per fatti commessi successivamente alla prima misura.

Le motivazioni

Il Presupposto Temporale Inderogabile della Retrodatazione Misura Cautelare

Il punto cruciale e risolutivo della sentenza risiede nella cronologia dei fatti. La Corte ha chiarito che il presupposto applicativo della retrodatazione, come delineato dall’art. 297, comma 3, c.p.p., è che i fatti per i quali si applica la seconda misura siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza. Nel caso di specie, i reati contestati a Torino erano stati commessi tra il 2018 e il 2019, quindi in un’epoca di gran lunga successiva all’ordinanza cautelare di Catania del 2015.

Questo requisito temporale non è stato modificato nemmeno dalla celebre sentenza della Corte Costituzionale n. 233 del 2011. Tale pronuncia, pur estendendo il meccanismo ai casi in cui per i primi fatti sia già intervenuta una condanna definitiva, non ha mai eliminato la condizione fondamentale della preesistenza dei nuovi reati rispetto alla prima misura. Pertanto, l’istituto non può essere invocato per ‘assorbire’ nei termini della vecchia custodia reati commessi in seguito.

L’Assenza di una ‘Connessione Qualificata’

Oltre all’aspetto temporale, la Corte ha escluso anche la sussistenza di una ‘connessione qualificata’ (concorso formale, continuazione, connessione teleologica) tra i due gruppi di reati. I giudici hanno evidenziato elementi di netta discontinuità:

1. L’intervallo temporale: Un notevole lasso di tempo separava i fatti del 2015 da quelli del 2018-2019.
2. Il diverso locus commissi delicti: I primi reati erano legati a Catania, mentre i secondi erano incentrati su un traffico di stupefacenti in Sardegna.
3. L’effetto interruttivo della detenzione: La lunga carcerazione subita a seguito dell’arresto del 2015 è stata considerata come un evento idoneo a interrompere qualsiasi preesistente programma criminoso.

Citando un importante principio delle Sezioni Unite (sent. n. 23166/2020), la Corte ha ribadito che un generico ‘programma di vita’ improntato al crimine non può essere confuso con l’unico disegno criminoso richiesto per configurare la continuazione, che è invece il presupposto per la retrodatazione misura cautelare.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un’interpretazione rigorosa e garantista dell’art. 297 c.p.p. La retrodatazione misura cautelare è uno strumento a tutela della libertà personale, ma non può trasformarsi in un meccanismo per neutralizzare le conseguenze cautelari di nuove condotte illecite. La commissione di un reato in un’epoca successiva all’applicazione di una prima misura cautelare dà vita a una situazione processuale nuova, i cui termini di custodia decorrono autonomamente, senza poter essere ‘assorbiti’ da quelli precedenti. Questa pronuncia offre un chiaro monito: la giustizia valuta ogni condotta nel suo specifico contesto temporale e fattuale, e gli istituti di garanzia non possono essere piegati a scopi diversi da quelli per cui sono stati concepiti.

È possibile ottenere la retrodatazione di una misura cautelare per reati commessi dopo l’emissione di una precedente ordinanza di custodia?
No. La sentenza chiarisce che un presupposto fondamentale per la retrodatazione è che i fatti per i quali si chiede la nuova misura siano stati commessi prima dell’emissione della prima ordinanza cautelare.

Cosa si intende per ‘connessione qualificata’ ai fini della retrodatazione?
Per ‘connessione qualificata’ si intende un legame specifico tra reati come il concorso formale, la continuazione o la connessione teleologica, che dimostri l’esistenza di un unico programma criminoso. Secondo la Corte, una generica propensione al crimine o un ‘programma di vita’ dedito agli illeciti non è sufficiente.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 233/2011 ha cambiato i presupposti per la retrodatazione?
No. Quella sentenza ha esteso l’applicabilità della retrodatazione anche ai casi in cui per i primi reati sia già intervenuta una condanna definitiva, ma non ha eliminato il requisito fondamentale che i nuovi fatti contestati siano stati commessi anteriormente alla prima misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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