Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6844 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6844 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME DomenicoCOGNOME nato a Caserta il 23/03/1972
avverso la ordinanza del 24/09/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Napoli, decidendo a seguito di rinvio della Corte di cassazione, rigettava l’appello presentato da NOME COGNOME avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 23 febbraio 2024, con il quale era stata respinta l’istanza di dichiarare l’inefficacia della misura cautelare applicata per effetto dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Va premesso che, con ordinanza del 13 settembre 2023, era stata applicata al COGNOME la misura cautelare carceraria per i reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen.
(partecipazione al clan COGNOME con condotta perdurante) e 629, 416-bis.1 cod. pen. (estorsioni commesse nell’agosto 2018).
Con l’istanza de libertate, l’indagato aveva invocato la retrodatazione della misura cautelare al 2 gennaio 2023, data in cui era stata emessa nei suoi confronti un’altra misura cautelare relativa ad estorsioni commesse nel 2019.
A seguito di rigetto della istanza, l’indagato aveva proposto appello, che il Tribunale aveva dichiarato inammissibile, ritenendo il tema della retrodatazione coperto dal giudicato cautelare costituito dalla decisione emessa in sede di riesame il 16 novembre 2023.
Con sentenza della Corte di cassazione dell’8 luglio 2024, era stato accolto il ricorso dell’indagato avverso tale provvedimento, sul rilievo che in sede di riesame sui presupposti per la retrodatazione non si era formato il giudicato cautelare, in quanto il Tribunale aveva rilevato la mancanza di interesse e la Corte di cassazione, pur a fronte di ulteriori argomentazioni del Tribunale, aveva, a sua volta, limitato il suo esame alla mancata documentazione di un interesse attuale del ricorrente.
Tale profilo (la mancanza di interesse) risultava, secondo la sentenza di annullamento, superato dal decorso di un periodo di sottoposizione a misura custodiale tale da rendere rilevante l’eventuale retrodatazione della decorrenza del termine di durata.
Il Tribunale, giudicando quindi sul rinvio, ha ritenuto non sussistenti i presupposti per la retrodatazione.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Vizio di motivazione in relazione alla denegata retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Va premesso che nell’altro procedimento erano state contestate al ricorrente ulteriori ipotesi estorsive commesse tra l’ottobre 2019 e l’agosto 2020 e il P.M., come documentato dalla difesa, al momento in cui ha avanzato la mozione cautelare per l’altro procedimento (13 settembre 2021) aveva già contezza delle contestazioni del presente procedimento ed in particolare dei due episodi estorsivi dell’agosto 2018 (basate su un’unica intercettazione ambientale del 14 novembre 2018), distanti solo tre mesi dalle altre imputazioni.
In modo illogico, il Tribunale ha escluso la retrodatazione perché il reato associativo aveva una contestazione “aperta”, ma non considerando che non vi r era alcun elemento per ritenere il predetto ancora legato ai sodali dopo il suo arresto dal 2 gennaio 2023; nonché, escludendo la connessione qualificata in modo
contraddittorio, avendo implicitamente ricondotto i reati della prima ordinanza alla condotta associativa per ribadirne la attualità, per poi ritenere gli stessi commessi al di fuori del contesto associativo.
In definitiva, il ricorrente, dopo la dissociazione del 2019, avrebbe commesso autonomamente le due estorsioni per poi riaggregarsi al clan COGNOME.
In modo apodittico, inoltre, il Tribunale ha escluso la deducibilità degli atti sottesi alla seconda richiesta cautelare, sol perché i procedimenti scaturenti da due informative di p.g. E’ illogico ritenere che quando il P.M. ha avanzato la richiesta cautelare per il presente procedimento (23 febbraio 2021) non avesse piena contezza delle contestazioni oggetto della mozione cautelare per la prima misura (13 febbraio 2021).
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato perché complessivamente infondato.
Va premesso che il Tribunale ha ritenuto non operante il meccanismo della retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. sulla base di vari profili ostativi.
2.1. In primo luogo, con riferimento al reato associativo difettava il requisito della anteriorità dei fatti, oggetto della seconda ordinanza.
Invero, perché possa operare la retrodatazione, è pur sempre necessario che i fatti potevano essere già contestati nella prima ordinanza (nella specie, del 2 gennaio 2023) in quanto ad essa anteriori (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910).
Nel caso in esame, il reato associativo era a quella data da ritenersi ancora permanente, come sul punto aveva argomentato il Giudice per le indagini preliminari, e non vi era agli atti alcun elemento per ritenere il recesso o la esclusione del ricorrente dal sodalizio, non risultando di per sé decisiva la sua carcerazione a far data del 2 gennaio 2023.
Quanto al primo punto, il ricorrente si limita a generiche argomentazioni, solo ipotizzando che si sia data rilevanza ai fatti estorsivi della prima ordinanza.
In ordine al secondo profilo, va rammentato che già questa Corte (tra le altre, Sez. 1, n. 20135 del 16/12/2020, dep. 2021, Rv. 281283) ha più volte affermato in tema di reato associativo mafioso che l’intervenuta carcerazione del soggetto a
seguito dell’applicazione di un’ordinanza cautelare non costituisce un elemento automaticamente idoneo ad integrare una presunzione assoluta di interruzione della permanenza, ma realizza una presunzione relativa di non interruzione che può imporre, ai fini della individuazione dei presupposti per l’applicazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., di valutare la situazione concreta, senza fermarsi al mero dato formale dell’assenza di forme espresse di dissociazione.
Nella specie, la “presunzione di non interruzione” della condotta criminosa era stata affrontata dalla difesa, sostenendo che i fatti della prima ordinanza, risalenti al 2019-2020, fossero espressione della adesione del ricorrente ad altro sodalizio criminale (clan COGNOME).
Tale argomentazione è stata specificatamente affrontata dal Tribunale, con motivazione in questa sede non censurabile, in quanto non manifestamente illogica.
Il Tribunale ha infatti rilevato che l’adesione del ricorrente al diverso sodalizio risultava attestata non oltre al 2005 (risalendo a quell’epoca le dichiarazioni dei collaboratori mentre l’accertamento giudiziale irrevocabile attestava la sua partecipazione fino al 2003); che, in ordine alle estorsioni indicate dal ricorrente, era stata elisa già in sede cautelare l’aggravante mafiosa agevolativa con riferimento a tale clan; in ogni caso neppure era incompatibile la perdurante adesione al clan COGNOME con la perpetrazione delle estorsioni nel territorio della Valle caudina (dominio del clan COGNOME), in quanto erano emerse alleanze strette dal clan COGNOME anche con il clan COGNOME; e che era comunque ammissibile, in linea di principio, la contemporaneità intraneità a due gruppi associativi.
2.2. In ordine ai reati di estorsione, il Tribunale ha ritenuto non applicabile il meccanismo di retrodatazione, non essendo emerso che la separazione delle indagini in due diversi procedimenti sia stata il frutto di una scelta discrezionale del pubblico ministero.
Ha in primo luogo escluso che tra i fatti della prima ordinanza e quelli oggetto del nuovo titolo cautelare fosse ravvisabile la connessione qualificata, di cui all’art. 12, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., in quanto difettava la unitaria ideazione criminosa (tra l’altro esclusa dalla stessa difesa, enfatizzando il diverso contesto associativo in cui sarebbero maturate le vicende estorsive della prima ordinanza), il concorso formale o il legame teleologico tra i fatti.
Era quindi necessaria, per far operare il meccanismo della retrodatazione tra procedimenti diversi pendenti davanti al medesimo ufficio giudiziario, la ricorrenza del requisito della “desumibilità” degli elementi posti alla base della seconda ordinanza al momento dell’emissione della prima ordinanza (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909).
Secondo il Tribunale, tale requisito non era ravvisabile nella specie in quanto i compendi indiziari delle due ordinanze erano radicalmente distinti (informative e autorità di p.g. diverse) e quello inerente alla prima misura cautelare non conteneva né consentiva di far desumere in alcun modo le fonti indiziarie poste a fondamento della seconda misura.
A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente si è limitato a far valere, come davanti al Tribunale, il mero dato formale della datazione delle mozioni cautelari, non avendo tuttavia fornito la dimostrazione dell’esistenza della condizione che legittima il meccanismo della retrodatazione – onere che grava sulla parte che ne invochi l’applicazione (Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, Rv. 263511; Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, Rv. 262577).
L’esistenza di un quadro eloquente di gravità indiziarla già a disposizione degli inquirenti sin dalla prima mozione cautelare è infatti circostanza puramente affermata dal ricorrente, che nulla dice sui contenuti delle relative risultanze.
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. pro pen.
Così decis il 18/12/2024.
Il Cons ensore
Ersi
SEZIONE VI PENALE
19 FEB 2025
GLYPH
id nte
Er o e prile