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Retrodatazione misura cautelare: quando non si applica

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato che chiedeva la retrodatazione della misura cautelare per reato associativo. La sentenza chiarisce i requisiti dell’art. 297 c.p.p., specificando che per i reati permanenti, come quello mafioso, la carcerazione non interrompe automaticamente la condotta. Inoltre, per reati diversi, la retrodatazione è esclusa se manca una connessione qualificata e se gli elementi a base della seconda misura non erano desumibili dagli atti della prima.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Misura Cautelare: No Se il Reato è Permanente e Manca la Connessione

La retrodatazione della misura cautelare è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale, ma la sua applicazione è subordinata a requisiti stringenti. Con la sentenza n. 6844 del 2025, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui limiti di questo meccanismo, in particolare in relazione ai reati associativi e all’ipotesi di procedimenti distinti. La pronuncia sottolinea come la natura permanente del reato e l’assenza di una ‘connessione qualificata’ tra i fatti possano precludere l’accoglimento della richiesta.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un soggetto, già detenuto in forza di un’ordinanza di custodia cautelare del gennaio 2023 per reati di estorsione, che riceveva una seconda ordinanza nel settembre 2023 per associazione di tipo mafioso e ulteriori episodi estorsivi. L’indagato chiedeva al Tribunale di Napoli di retrodatare la decorrenza della seconda misura alla data della prima, ai sensi dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale. Dopo un complesso iter processuale, che includeva un annullamento con rinvio da parte della stessa Cassazione, il Tribunale rigettava la richiesta. Contro questa decisione, la difesa proponeva un nuovo ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Requisiti per la Retrodatazione Misura Cautelare

L’art. 297, comma 3, c.p.p. stabilisce che se una persona, già sottoposta a misura cautelare per un determinato fatto, viene colpita da una nuova ordinanza per un fatto diverso commesso anteriormente, i termini di durata della nuova misura decorrono dal giorno in cui è stata eseguita la prima. Perché questo meccanismo operi, è necessario che i fatti della seconda ordinanza:

1. Siano stati commessi prima dell’emissione della prima ordinanza.
2. Gli elementi a loro carico fossero già ‘desumibili’ dagli atti al momento della prima richiesta cautelare.

La Corte è stata chiamata a verificare la sussistenza di tali presupposti nel caso di specie.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Napoli sulla base di due distinti profili di analisi.

Il Reato Associativo e la sua “Permanenza”

Il primo ostacolo alla retrodatazione riguardava il reato di associazione mafiosa. La Corte ha ribadito che, per applicare l’istituto, è necessario che i fatti oggetto della seconda ordinanza siano anteriori alla prima. Nel caso del reato associativo, che è un reato permanente, la condotta criminosa si protrae nel tempo fino a quando non interviene una causa di cessazione (come il recesso o la dissociazione).

Il Tribunale aveva correttamente argomentato che, al momento dell’emissione della prima ordinanza (gennaio 2023), il reato associativo era da considerarsi ancora in corso. La semplice carcerazione, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non costituisce una presunzione assoluta di interruzione del legame con il sodalizio, ma solo una presunzione relativa. In assenza di prove concrete di dissociazione, il reato non poteva considerarsi ‘anteriore’ e, pertanto, mancava il requisito fondamentale per la retrodatazione.

L’Assenza di Connessione Qualificata e di Desumibilità

Per quanto riguarda i reati di estorsione, la Corte ha escluso l’operatività della retrodatazione per un’altra ragione. Non essendo emersa una ‘connessione qualificata’ (ad esempio, un medesimo disegno criminoso) tra le estorsioni oggetto dei due procedimenti, era necessario verificare il requisito della ‘desumibilità’.

La difesa non è riuscita a dimostrare – e su di essa gravava l’onere della prova – che gli elementi indiziari alla base della seconda ordinanza fossero già desumibili dagli atti a disposizione del Pubblico Ministero quando questi aveva richiesto la prima misura. I compendi indiziari, infatti, provenivano da informative e autorità di polizia giudiziaria diverse e radicalmente distinte. La semplice datazione delle richieste cautelari da parte del PM non è sufficiente a provare che le informazioni fossero già consolidate e disponibili nel primo fascicolo.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza due principi cardine in materia di retrodatazione della misura cautelare. In primo luogo, per i reati permanenti come l’associazione mafiosa, la carcerazione non è di per sé sufficiente a far cessare la condotta e a rendere il fatto ‘anteriore’ ai fini dell’art. 297 c.p.p. In secondo luogo, quando i procedimenti sono distinti, spetta alla parte che invoca la retrodatazione fornire la prova rigorosa che gli elementi della seconda indagine erano già noti e utilizzabili al momento della prima, un onere probatorio spesso difficile da assolvere. La decisione conferma un approccio rigoroso, volto a evitare un’applicazione automatica dell’istituto in assenza dei suoi precisi presupposti legali.

Quando si può chiedere la retrodatazione di una misura cautelare?
La retrodatazione si può chiedere quando una persona, già detenuta per un reato, riceve una nuova ordinanza per un fatto diverso commesso prima della prima misura. È inoltre necessario che gli elementi a carico per il secondo fatto fossero già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima ordinanza.

Perché la carcerazione non interrompe automaticamente un reato associativo ai fini della retrodatazione?
Perché la partecipazione a un’associazione criminale è un reato permanente. La carcerazione crea solo una presunzione relativa (e non assoluta) di interruzione del legame con il sodalizio. Per considerare cessata la condotta, servono prove concrete di recesso o dissociazione, in assenza delle quali il reato si considera ancora in corso, impedendo la retrodatazione.

Cosa significa “desumibilità” degli elementi e chi deve provarla?
“Desumibilità” significa che gli indizi alla base della seconda ordinanza cautelare dovevano essere già presenti e conoscibili negli atti del primo procedimento al momento in cui il Pubblico Ministero ha richiesto la prima misura. Secondo la sentenza, l’onere di dimostrare l’esistenza di questa condizione grava sulla difesa dell’indagato che chiede la retrodatazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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