Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 612 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 612 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con la quale gli era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990.
NOME COGNOME, sulla scorta delle risultanze delle intercettazioni, dei servizi di osservazione, pedinamento e controllo e delle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia, è stato individuato come “capo” del gruppo dedito alle
attività di spaccio nella zona di Rende e dei comuni limitrofi. Il ricorrente costituiva il referente diretto di NOME COGNOME, individuato come il capo di un clan di ndrangheta operante in Cosenza e zone limitrofe, e perno di un “sistema” di spaccio che vedeva la città di Cosenza e il suo hinterland suddiviso in varie piazze di spaccio, con precisi obblighi di acquisto della droga pesante e obbligo del versamento di un regalo, proporzionato ai guadagni, in una cassa comune (la cd. bacinella), i cui proventi erano utilizzati per l’acquisto della droga. L’indagato è stato individuato come persona di fiducia del COGNOME e organizzatore del gruppo di spaccio che, avvalendosi della collaborazione di altri soggetti, in particolare, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed altri, era dedito allo spaccio di droghe pesanti a Rende e zone limitrofe.
Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. pro pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il ricorrent denuncia:
2.1. GLYPH violazione di legge (in relazione all’art. 292, comma 2, lett. c) e 309, comma 9, cod. proc. pen.) per difetto di autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari dell’ordinanza che aveva applicato la misura cautelare. L’ordinanza impugnata è inficiata da gravi vizi di motivazione e, nel disattendere l’eccezione difensiva, ha omesso di valutare la brevità dei tempi di esame, da parte del giudice per le indagini preliminari e la circostanza che con l’ordinanza genetica, dopo aver fatto “integrale richiamo” alla richiesta cautelare, avesse riportato interi paragrafi descrivendo sia la struttura associativa operante in Cosenza sia le note di commento che la Direzione Investigativa Antimafia, nella informativa di p.g., aveva svolto con riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori con riferimento alla posizione degli indagati e, in particolare, del ricorrente
2.2. violazione di legge e contraddittorietà della motivazione sulle eccezioni difensive relative alla mancanza dei decreti proroga delle indagini e conseguente inutilizzabilità degli elementi acquisiti in epoca successiva alla scadenza del termine che va collegato al provvedimento di aggiornamento della posizione dell’indagato nel procedimento penale n. 3804/2017 (denominato Reset) del 29 febbraio 2019, con riferimento ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990 e conseguente inutilizzabilità di tutte le risultanze acquisite in epoca successiva al 28 febbraio 2021 essendo irrilevanti le successive operazioni di stralcio del procedimento iscritto al n. 463/2023, riunito al procedimento n. 3942/2022. E’ erronea la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui rileva sia la mancanza di interesse dell’indagato a tale deduzione, sul rilievo che le fonti di prova utilizzate a suo carico sono tutte precedenti al 28 febbraio 2021, salvo, poi richiamare le risultanze della informativa di pg. del marzo 2022 e le
dichiarazioni dei collaboratori fra le quali quelle rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME tutte successive al febbraio 2021. Né era obbligo della difesa chiedere al Pubblico Ministero il rilascio dei decreti di proroga, affermazione con la quale, evidentemente, il Tribunale sovrappone alla valutazione della proposta eccezione quella in materia di intercettazioni;
2.3. GLYPH violazione di legge (art. 297, comma 3, cod. proc. pen., per mancata applicazione della disciplina in materia di contestazione a catena tra i fatti di cui al presente procedimento e quelli oggetto dei procedimenti Reset, in cui il ricorrente risponde del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., ed è stato raggiunto da misura cautelare eseguita il 1 settembre 2022. Il presente procedimento è stato stralciato da quella cd. Reset e tra i fatti sussiste connessione qualificata.
I motivi di ricorso, con particolare riferimento al tema della nullità dell’ordinanza sul punto della mancata retrodatazione della misura quale effetto della contestazione cd. a catena, sono stati ribaditi con la memoria prodotta in vista dell’odierna udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.
Va rilevato che in tema di motivazione dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare, ai fini del rispetto dell’obbligo di autonoma valutazione previsto dall’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., non assume rilevanza il difetto di originalità linguistica o espositiva del contenuto del provvedimento cautelare , emesso dal giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del pubblico ministero, difetto che non implica automaticamente la violazione dell’obbligo di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza e che rileva soltanto come uno degli elementi da cui desumere l’insussistenza di un effettivo vaglio da parte del giudice. (Sez. 2, n. 43676 del 07/10/2021, COGNOME, Rv. 282506) vieppiù quando, come nel caso in esame, la pretesa mancanza di originalità espositiva, riguardi singole parti dell’ordinanza cautelare.
Il ricorrente, limitatosi a riportare tali passaggi, non si è in realtà confrontat con le argomentazioni svolte dal Tribunale del riesame che (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata) ha, invece, ampiamente dato conto dell’attività di “ricapitolazione” degli elementi emergenti dagli atti di indagine svolta dal giudice per le indagini preliminari operazione, questa che implica, di per sé, un vaglio critico e non solo grafico, nella selezione e rielaborazione del materiale indiziario
tratto dalla richiesta cautelare. Si tratta, peraltro, di un’operazione d rielaborazione critica affatto inficiata dal rinvio, per relationem, alla richiesta cautelare, tecnica di redazione del provvedimento imposta dalla mole del materiale indiziario e dalla superfluità della sua riproposizione testuale essendo, viceversa molto più agevole, ai fini della sintesi poi compiuta dal giudice, tale tipologia di rinvio. Per costanze giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini del rispet dell’obbligo di autonoma valutazione è sufficiente che dal contenuto complessivo del provvedimento emerga una conoscenza degli atti del procedimento e, ove necessario, una rielaborazione critica o un vaglio degli elementi sottoposti all’esame giurisdizionale poiché la valutazione autonoma non implica la difforme valutazione del compendio indiziario e delle esigenze cautelari (Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 275339).
3. Il secondo motivo di ricorso è generico.
Il Tribunale del riesame ha rilevato che il materiale indiziario a carico dell’indagato è stato acquisito in epoca precedente alla scadenza del termine per le indagini preliminari, individuata al 28 febbraio 2021, richiamando il contenuto delle intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Effettivamente (a pag. 14 dell’ordinanza impugnata) il Tribunale ha indicato, a carico del ricorrente, anche le dichiarazioni rese dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME nei verbali di interrogatorio del 22 gennaio 2024 e 21-22 febbraio 2021 E’, pertanto riscontrabile una contraddizione tra l’assunto del Tribunale, nella parte in cui ha esaminato le deduzioni difensive in tema di inutilizzabilità, rigettandole, e la circostanza che tali dichiarazioni sono state rese in data successiva a quella indicata come scadenza del termine delle indagini.
Cionondimeno deve rilevarsi che il motivo di ricorso è generico poiché il ricorrente non ha chiarito la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato delle dichiarazioni inficiate, nella prospettazione di difensiva, di inutilizzabilità, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416; Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123).
Premesso che non appare rilevante la data di redazione della informativa di Polizia, in quanto atto meramente riepilogativo delle attività di indagine compiute, il ricorrente, al confronto di un’ordinanza diffusamente motivata con richiamo alle risultanze delle operazioni di intercettazione e delle dichiarazioni di altri, numerosi, collaboratori di giustizia che hanno descritto l’organizzazione delle attività cli spaccio a Cosenza e il ruolo del ricorrente chiamandolo espressamente in causa (si vedano, in particolare, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, non ha indicato le ragioni per quali le dichiarazioni rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME
avrebbero avuto una rilevanza decisiva nella formazione del convincimento del Tribunale.
4.11 terzo motivo di ricorso è infondato.
Va ricordato, in punto di fatto, che il ricorrente è stato raggiunto, nel presente procedimento, da ordinanza del giudice per le indagini preliminari del 17 aprile 2024 per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, reato aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
Il ricorrente sostiene che il reato associativo contestatogli è collegato, da connessione qualificata, non meglio precisata, ai fatti (art. 416-bis cod. pen., con contestazione aperta, dal 2012) che gli sono contestati nel procedimento avente il n. 3804/2017 R.G.N.R. (cd. Reset) la cui ordinanza è stata eseguita a suo carico il 1 settembre 2022. In ogni caso, sostiene che, poiché il presente procedimento è stato separato dal procedimento indicato, si sarebbe in presenza di unico procedimento con applicazione “automatica” della regola della retrodatazione.
Deve premettersi come questa Corte abbia chiarito più volte che tanto l’esistenza della connessione rilevante ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240099), quanto la desurribilità dagli atti del primo procedimento degli elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari (Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236829) costituiscono quaestiones facti, la cui valutazione è riservata ai giudici di merito ed è sindacabile dal giudice di legittimità esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiva delle emergenze processuali e probatorie, nonché della congruenza e non contraddittorietà delle relative analisi e dei pertinenti passaggi argomentativi.
È, inoltre, opportuno ricordare che, come è stato evidenziato in due pronunce delle Sez. U di questa Corte (n. 14535 del 19/12/2006 – dep. 2007, Librato, Rv. 235909; n. 21957 del 22/03/2005, COGNOME ed altri, Rv. 231057) in tema di disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare in caso di contestazione a catena possono ricorrere tre distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte, regole operative.
Possono essere state emesse nello stesso procedimento penale due (o più) ordinanze applicative di misure cautelari personali che abbiano ad oggetto fattireato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di connessione qualificata), e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste circostanze trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo del comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen., secondo la quale la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla
prima opera in via automatica e, dunque “indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure” (così Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006 – dep. 2007, Librato, cit.).
I fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari possono invece risultare avvinti dalla suindicata connessione qualificata e le ordinanze sono state emesse in distinti procedimenti (e al riguardo non rileva se i diversi procedimenti siano ‘gemmazione’ di un unico procedimento, nel cui ambito è stata disposta una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che essi abbiano avuto autonome origini (cfr. Sez. 4 , n. 29174 del 15/05/2024, De Mitri, Rv. 286655). In tale situazione si applica la regola dettata dal secondo periodo del comma 3 dell’ari:. 297 cod. proc. pen., sicché la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza.
Infine, tra i fatti oggetto dei due (o più) provvedimenti cautelari non esiste alcuna connessione ovvero può configurarsi una forma di connessione non qualificata. Questa ipotesi rientra nel campo applicativo dell’art. 297 cod. proc. pen. per effetto della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 408 del 2005. Pertanto Pertanto, se le due ordinanze sono state adottate in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero (così Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006 – dep. 2007, Librato, cit.; conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, Noci, Rv. 248895; Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240099).
Alla stregua di quanto precede, il percorso argomentativo seguito dal Tribunale del riesame per negare la sussistenza dei presupposti normativi della retrodatazione della seconda misura custodiale applicata al ricorrente deve ritenersi adeguatamente motivato con riferimento alla mancanza del requisito della desumibilità dagli atti del primo procedimento.
Si deve ricordare, a tale riguardo, che non è sufficiente che, entro i limiti temporali suddetti – riferiti alla data del rinvio a giudizio nel caso di reati connessi – sia stata acquisita e risulti dagli atti la mera notizia del fatto-reato oggetto della
seconda ordinanza, essendo invece indispensabile che sussista un quadro indiziario legittimante l’adozione delle misure cautelari successivamente applicate allo stesso indagato, essendo, quest’ultimo, soggetto all’onere di allegazione degli elementi dai quali desumere l’applicabilità della retrodatazione da lui invocata (Sez. U, n. 9 del 25/06/1997, Atene, Rv. 208167).
L’inesistenza di tale presupposto, aspetto sul quale la richiesta originaria rivolta al Tribunale era del tutto silente e sulla quale si è prodotta ampia argomentazione solo con i motivi nuovi di ricorso, dà conto della adeguatezza della motivazione del Tribunale e della impossibilità della Corte di procedere all’esame della correttezza della soluzione individuata dal Tribunale in diritto dal momento che tale soluzione presuppone una ricostruzione in fatto alla quale non può procedere il giudice di legittimità e che dovrà essere eventualmente, proposta ai giudici del merito.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria è delegata agli adempimenti di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
La Consigliera relatrice
Così deciso il 28 novembre 2024
Il Pre ente