Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14036 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14036 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Sinopoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 18.07.2023 dal Tribunale di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Roma ha rigettato
l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME al fine di ottenere la cessazione dell’efficacia della misura cautelare disposta nell’operazione “Propaggine”, per effetto della retrodatazione della sua efficacia, in conformità al disposto dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, nell’interesse del NOME, hanno presentato ricorso avverso tale ordinanza e ne hanno chiesto l’annullamento.
Deducendo un unico motivo, i difensori censurano la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata.
Premettono i difensori che il COGNOME è stato attinto da una prima ordinanza applicativa della misura custodiale per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottob 1990, n. 309, nell’ambito del procedimento “RAGIONE_SOCIALE” e, successivamente, da una nuova ordinanza dispositiva della custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., per la partecipazione alla cosca diretta da NOME COGNOME, facente capo all’RAGIONE_SOCIALE, operante in Roma, nel procedimento “Propaggine”.
Ad avviso dei difensori, i fatti contestati in tali procedimenti sarebbero connessi, in quanto erano stati istruiti dalla D.D.A. di Roma, nel corso dello stesso periodo; i due procedimenti, inoltre, avrebbero ad oggetto fatti sovrapponibili, logicamente conseguenziali, con temi di indagine quanto meno attigui, a carico del medesimo soggetto, in quanto le indagini svolte nel procedimento “RAGIONE_SOCIALE” avrebbero evidenziato il coinvolgimento di personaggi individuati come facenti parte della locale romana imputati in “Propaggine”.
L’imputazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. contestata in “Propaggine” sarebbe, dunque, già emersa in tutte le sue manifestazioni nell’indagine “RAGIONE_SOCIALE” e l’autorità inquirente, titolare di entrambe le indagini, ne sarebbe stata a conoscenza.
Il Tribunale, inoltre, fondandosi esclusivamente sulla contestazione aperta della fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen. («con condotta tuttora in atto») avrebbe fatto operare indebitamente una presunzione di permanenza della condotta associativa, anche successivamente all’emissione della prima ordinanza; ad avviso del ricorrente, l’ordinanza impugnata, invece, avrebbe dovuto considerare le sole condotte realmente imputabili al COGNOME, che sarebbero state realizzate anteriormente a quelle contestate nel procedimento “RAGIONE_SOCIALE“.
Sussisterebbe, inoltre, l’estremo della desumibilità dagli atti, come era stato riferito anche ( – .1 maresciallo COGNOME, principale teste di accusa nel processo “RAGIONE_SOCIALE“, che, all’udienza del 14 ottobre 2022, aveva confermato, senza
fraintendimenti, che il suo gruppo investigativo era ben a conoscenza dell’indagine “Propaggine”.
Il Pubblico Ministero, dunque, avrebbe dovuto contestare nell’ordinanza “RAGIONE_SOCIALE” al solo COGNOME anche il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., gi emerso con compiutezza nell’indagine “Propaggine” ( e l’efficacia della seconda ordinanza avrebbe dovuto essere correttamente retrodatata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
Con unico motivo il difensore deduce la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella riproposizione delle medesime censure svolte nell’atto di appello e disattese con motivazione congrua dal Tribunale.
Sono generici i motivi che costituiscono la mera riproposizione delle doglianze svolte nell’atto di appello, in quanto difettano della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (ex plurimis: (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, COGNOME, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568).
3.1. Il vizio di motivazione denunciato è, peraltro, insussistente.
Il Tribunale di Roma ha disatteso l’appello proposto dal COGNOME, in quanto ha non illogicamente ritenuto che nel caso di specie – non essendo connessi i fatti contestati nella prima e nella seconda ordinanza – debba trovare applicazione la sentenza n. 408 del 2005 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, inoltre, nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la
prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006 (dep. 2007), COGNOME, Rv. 235909 01; conf. Sez. 1, n. 12700 del 27/09/2019 (dep. 2020), Trapani, Rv. 278910 01; Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, COGNOME, Rv. 248895 – 01).
Il Tribunale di Roma ha congruamente rilevato come non vi sia connessione tra tali contestazioni, in quanto i fatti ascritti all’imputato nel procedimen “RAGIONE_SOCIALE” erano relativi alla violazione della disciplina della sostanza stupefacente, a due ipotesi di estorsione e ad una violazione dell’art. 512 bis cod. pen.; nel procedimento “Propaggine” era, invece, contestata al COGNOME la violazione dell’art. 416 bis cod. pen. e, segnatamente, la partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE di stampo ‘ndranghetistico operante a Roma e costituita da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Nessuno dei partecipi di tale RAGIONE_SOCIALE (ad eccezione del NOME) era, peraltro, stato attinto dall’ordinanza emessa nel procedimento “RAGIONE_SOCIALE” e in tale procedimento non era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Nella valutazione, non certo incongrua, del Tribunale, dunque, non sarebbe sufficiente a dimostrare la connessione tra i due procedimenti l’accenno rapsodico, operato dall’informativa finale del procedimento “RAGIONE_SOCIALE“, a collegamenti con un’organizzazione criminale di stampo ‘ndranghetistico; in nessun passaggio di tale informativa sarebbero, infatti, stati menzionati contatti con gli COGNOME.
Parimenti la connessione tra i due procedimenti non sarebbe desumibile dall’accenno operato dal Maresciallo COGNOME, nella deposizione resa nel dibattimento “RAGIONE_SOCIALE” all’udienza del 14 ottobre 2022, al fatto che sapesse dell’indagine “Propaggine” e del coinvolgimento del COGNOME, in quanto le indagini erano condotte da diverse autorità inquirenti (il Pubblico Ministro di Roma in RAGIONE_SOCIALE e la DIA di Roma in “Propaggine”); tale frammento di una più ampia deposizione, infatti, non dimostrava che gli atti del procedimento “Propaggine” fossero desumibili in “RAGIONE_SOCIALE“.
3.2. Il Tribunale di Roma, inoltre, non illogicamente ha ritenuto comprovata la permanente attualità della partecipazione del NOME all’RAGIONE_SOCIALE a delinquere di tipo mafioso, in quanto non era stato addotto dalla difesa alcun elemento specifico al fine di dimostrare la rescissione dei legami associativi e, dunque, la cessazione della permanenza, quanto meno prima dell’emissione della prima ordinanza.
Le risultanze delle indagini dimostravano anzi la costante implicazione del ricorrente in contesti di criminalità di stampo ‘ndranghetistico e, dunque, la perduranza della sua condotta, inserita nell’articolazione romana costituita da
NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorrente sul punto ha ribadito la propria prospettazione, volta a dimostrare il carattere puramente presuntivo dell’argomentazione del Tribunale di Roma, ma tale censura, fondata esclusivamente sulla natura aperta della contestazione provvisoria nella seconda ordinanza, non si è confrontata specificamente con la verifica di perdurante partecipazione operata dall’ordinanza impugnata e con le risultanze probatorie ivi indicate.
3.3. Parimenti il ricorso è aspecifico rispetto all’esclusione della desumibilità della contestazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. dagli atti della prima indagine.
Il Tribunale ha ritenuto, non incongruamente, che gli elementi addotti dall’appellante fossero idonei al più a dimostrare che gli inquirenti sapessero dell’altra indagine pendente nei confronti del COGNOME, ma non già a fondare un compendio indiziario che avrebbe potuto essere già contestato nella prima ordinanza.
Questo parametro di giudizio è, del resto, conforme a costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, per l’anteriore «desumibilità» dagli atti del fatt oggetto della seconda ordinanza, emessa in un diverso procedimento e per fatti diversi e non legati da un rapporto di connessione qualificata con i primi, ritiene necessario che il quadro legittimante l’adozione della misura cautelare sussista sin dal momento di emissione del primo provvedimento, non essendo sufficiente a tal fine la mera esistenza della notizia del fatto-reato, né che la successiva ordinanza si fondi su elementi probatori già presenti nella prima, potendo gli stessi non manifestare sin dall’inizio il loro significato in modo immediato ed evidente (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, Flandina, Rv. 279291-01, in applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del riesame che aveva ritenuto irrilevante, ai fini della pregressa conoscibilità degli elementi, l’iscrizione de notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. e l’autorizzazione al svolgimento di intercettazioni telefoniche).
Anche sul punto le censure formulate dal ricorrente si risolvono nella mera riproposizione di argomenti già vagliati e confutati nell’ordinanza impugnata, senza confrontarsi con il rilievo centrale posto dal Tribunale a fondamento del proprio apprezzamento.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Non essendovi ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», in virtù
delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2023.