Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34498 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 6   Num. 34498  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 30/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Data Udienza: 30/09/2025
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
DEBORA TRIPICCIONE
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME, nato ad Avellino il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 22/04/2025 del Tribunale di Napoli udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME; letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, che insiste per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale gli era stata applicata la custodia cautelare in carcere, in relazione al reato di cui all’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
 Avverso  tale  ordinanza,  il  ricorrente  ha  formulato  un  articolato  motivo  di impugnazione,  per  violazione  di  legge  e  vizio  di  motivazione.
Sostiene la difesa che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso l’applicabilità dell’istituto della retrodatazione, omettendo di considerare che il ricorrente era stato già sottoposto a misura cautelare, per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con ordinanza del 17 marzo 2023, data cui si sarebbe dovuto far retroagire la seconda ordinanza cautelare, stante l’evidente connessione tra la fattispecie associativa e il reato scopo per primo oggetto di misura.
A tal fine, la difesa evidenzia che:
in data 17 marzo 2023 veniva emessa la prima ordinanza cautelare;
le condotte oggetto del presente procedimento sono tutte precedenti rispetto alla cessione di stupefacenti oggetto dell’ordinanza del 17 marzo 2023;
i fatti oggetto delle due misure cautelari sono connessi tra di loro, posto che la cessione di droga costituiva uno dei reati scopo della fattispecie associativa;
all’epoca di adozione della prima misura cautelare, erano già desumibili gli elementi posti a sostegno della seconda ordinanza;
l’arresto del 17 marzo 2023 era stato eseguito sulla base delle indagini svolte, anche mediante intercettazioni, dalle quali emergevano gli indizi relativi al reato associativo;
l’informativa  conclusiva  depositata  il  24  luglio  2023  Ł  meramente  riepilogativa dell’attività svolta, sicchŁ non poteva ritenersi che, al momento dell’adozione della prima misura cautelare, non fossero noti gli elementi posti a sostegno della seconda ordinanza;
fin dal dicembre del 2022 l’autorità inquirente aveva disposto la trasmissione del fascicolo alla competente Procura della Repubblica distrettuale, procedendosi per il reato associativo;
tutti gli indagati risultavano iscritti per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 già nel dicembre del 2022.
A fronte di tali elementi oggettivi, il Tribunale del riesame aveva sostanzialmente omesso di motivare in ordine alle ragioni per cui, al momento dell’adozione della prima misura cautelare, non dovessero ritenersi già emersi gli indizi di reità per il reato associativo.
Sulla base di tale immotivato assunto, era stata negata l’applicazione della disciplina sulla retrodatazione dei termini della misura cautelare che, ove applicata, avrebbe condotto a ritenere già superato il termine di fase pari ad 1 anno, decorrente dalla data di esecuzione della prima misura.
Il ricorso Ł stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato.
Prima di procedere all’esame della questione dedotta con il ricorso, Ł opportuno precisare l’assetto attuale dell’istituto della retrodatazione, che può essere così sinteticamente riassunto:
-nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera automaticamente, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza (Sez.U., n.21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv.231057);
-nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo se al momento della emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza;
-nel  caso  di  ordinanze  cautelari  emesse  in  procedimenti  diversi  per  fatti  legati  da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui Ł stata emessa la prima ordinanza cautelare (Sez.U., n.21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv.231058);
-nel  caso di ordinanze cautelari emesse per fatti diversi, non legati da connessione qualificata, in procedimenti diversi, la retrodatazione opera quando gli elementi giustificativi della seconda misura cautelare erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez.U., n.14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv.235911);
-a  seguito  della  pronuncia  resa  da  Corte  cost.,  sent.n.  233  del  2011,  l’istituto  della retrodatazione Ł stato dichiarato applicabile anche nel caso in cui, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato, emessa anteriormente all’adozione della seconda misura cautelare, il cui termine di durata deve essere, pertanto, fatto regredire alla data di applicazione della prima misura.
2.1. La fattispecie in esame deve essere ricondotta all’ipotesi di ordinanze cautelari, relativi a fatti connessi, emesse in procedimenti diversi, non potendosi superare il dato formale sulla base della mera valorizzazione della connessione qualificata esistente tra i reati in esame.
Sul punto, infatti, deve ribadirsi il principio, recentemente affermato, secondo cui ai fini della retrodatazione della decorrenza dei termini custodiali, l’identità ovvero la diversità tra il procedimento nell’ambito del quale Ł stata emessa la prima ordinanza e quello in cui Ł stata emessa la seconda non può trarsi dal dato della connessione qualificata tra i reati che ne formano oggetto ex art. 12, cod. proc. pen., dovendo, invece, farsi riferimento al dato formale dell’iscrizione delle notizie di reato nel registro di cui all’art. 335, cod. proc. pen. (Sez.4, n. 29174 del 15/5/24, COGNOME, Rv. 286655).
2.2. Sulla base di tali premesse, deve ritenersi che la fattispecie in esame soggiace alla regola secondo cui, quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi piø ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui Ł stata emessa la prima ordinanza (Sez.U., n.14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv.235909).
Individuato il quadro di riferimento, si può procedere all’esame dei motivi di ricorso verificando la correttezza delle affermazioni sulla cui base il Tribunale del riesame ha escluso l’applicabilità della disciplina della retrodatazione.
Occorre, altresì, tener conto del principio secondo cui in tema di pluralità di misure cautelari emesse in procedimenti pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, la retrodatazione del termine di durata può riconoscersi esclusivamente qualora, tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari, sussista una delle ipotesi di connessione qualificata previste dall’art.297, comma 3, cod. proc. pen., consistente nel concorso formale di reati, nel reato continuato o nella connessione teleologica, limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri (Sez.U, n. 23166 del 28/5/2020, COGNOME, Rv. 279347).
3.1. Il primo dato ostativo, potenzialmente assorbente, Ł stato ravvisato nel fatto che la condotta di partecipazione all’associazione sarebbe proseguita anche dopo l’arresto in flagranza avvenuto il 17 marzo 2023, sicchŁ verrebbe meno il requisito fondante dell’istituto della retrodatazione, individuato nel fatto che il fatto per il quale Ł stata emessa la seconda misura cautelare deve essere necessariamente antecedente all’adozione della prima misura cautelare.
Sostiene il Tribunale che la condotta associativa Ł stata contestata in forma aperta, nØ vi sarebbero elementi per dubitare della «tendenziale permanenza della partecipazione», in considerazione dei rapporti tra gli associati e dell’intensità del dolo.
Si tratta di un’affermazione che, invero, avrebbe necessitato della verifica in concreto dell’apporto causale che l’indagato avrebbe fornito, rispetto all’attività associativa, anche in epoca successiva al suo arresto.
Sul punto deve sottolinearsi come la piø recente giurisprudenza ha affermato che, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare disposta per il reato di associazione mafiosa, il provvedimento coercitivo che limita la libertà personale dell’indagato per il primo fatto di reato determina una mera presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa, la protrazione della quale, in presenza di concrete allegazioni difensive, deve tuttavia essere desunta da concreti elementi dimostrativi. In motivazione, la Corte ha precisato che la verifica della perdurante affiliazione deve essere tanto piø rigorosa ove la data di consumazione del reato associativo sia genericamente indicata, senza nessun riferimento alle condotte degli associati, sicchØ, ai fini della retrodatazione, occorre verificare con riferimento al singolo indagato l’effettiva persistenza della partecipazione (Sez.6, n. 13568 del 29/11/2019, dep. 2020, Alfano, Rv. 278840).
Analogo principio ha trovato applicazione anche in relazione all’associazione finalizzata
al traffico di stupefacenti, avendo questa Corte già avuto modo di precisare che, in tema di partecipazione al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l’arresto dell’associato, elidendo la possibilità per lo stesso di continuare la comune attività criminale, determina l’interruzione del vincolo associativo, salvo che ricorrano elementi positivi idonei ad escludere tale dissociazione. Tale principio, affermato in una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame, ha condotto all’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva escluso la retrodatazione dei termini di decorrenza della misura cautelare per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, presumendo, in assenza di dati in tal senso indicativi, la permanenza della partecipazione del ricorrente all’associazione anche durante il periodo di carcerazione conseguente all’emissione della prima misura cautelare per un reato-fine (Sez.6, n. 4004 del 29/11/2023, dep. 2024, Mema, Rv. 285904).
Le osservazioni sopra svolte comportano che il Tribunale del riesame, nell’affermare la perdurante partecipazione al sodalizio anche dopo l’avvenuto arresto, avrebbe dovuto individuare elementi specifici e idonei a dimostrare la permanenza dell’adesione, con specifico riguardo alle condotte riferibili all’imputato.
Coglie nel segno, pertanto, l’obiezione difensiva secondo cui a COGNOME non sono contestate condotte specifiche successive al 17 marzo 2023, nØ sono indicati elementi dai quali  desumere,  pur  in  mancanza  della  commissione  di  reati  fine,  la  perduranza dell’adesione  al  sodalizio.
Invero,  il  Tribunale  desume  la  permanenza  della  partecipazione  valorizzando essenzialmente il fatto che l’associazione avrebbe proseguito nella sua attività anche dopo l’arresto di NOME, indicato quale vertice del sodalizio, il quale avrebbe gestito i traffici illeciti nonostante la sottoposizione a misura cautelare.
Si tratta di un elemento che, tuttavia, non Ł direttamente riferibile a COGNOME, posto che l’accertamento avrebbe dovuto riguardare non già la capacità dell’associazione di proseguire la sua attività dopo l’arresto di COGNOME, bensì l’esistenza di un effettivo contributo da parte di COGNOME dopo la prima misura cautelare adottata nei suoi confronti.
3.2. La seconda ragione ostativa al riconoscimento della retrodatazione Ł individuata nella ritenuta insussistenza della connessione qualificata.
Il Tribunale, sulla premessa per cui non dispone di poteri istruttori, ha ritenuto che in base agli  atti  acquisiti  non  poteva  affermare  che  la  condotta  di  spaccio  che  aveva comportato l’arresto  di  COGNOME  rientrasse  nel  programma  criminoso  del  sodalizio.
Si tratta di una motivazione quanto meno contraddittoria, posto che non si confronta in alcun  modo  con  la  deduzione  difensiva  secondo  cui  la  connessione  Ł  desumibile dall’imputazione formulata a carco di COGNOME al capo M), lì dove si contestano una pluralità di cessioni e detenzioni commesse nell’esecuzione del programma criminoso, indicando quale data ultima di commissione del fatto proprio il 17 marzo 2023 e, quindi, l’epoca dell’arresto in flagranza di reato.
Rispetto a tale deduzione, il Tribunale del riesame da un lato si limita ad escludere la sussistenza della connessione e dall’altro introduce un elemento ulteriore senza fornire alcun elemento a supporto.Si afferma, infatti, che COGNOME avrebbe realizzato condotte di cessione anche in via autonoma e al di fuori del contesto associativo, senza che di tale evenienza sia stata data alcuna adeguata motivazione.
In  definitiva,  si  rileva  come  sulla  base  della  stessa  prospettazione  accusatoria, formulata nell’imputazione associativa e in quella relativa ai reati scopo (capo M), si ravvisano elementi – quanto meno temporali – che depongono a favore della connessione tra il reato per il quale si Ł separatamente proceduto e la fattispecie associativa.A fronte di
tale dato, il Tribunale non ha indicato e adeguatamente motivato le ragioni dalle quali desumere l’estraneità della condotta di spaccio accertata il 17 marzo 2023 rispetto al contesto associativo.
3.3. Il profilo dirimente e relativo alla desumibilità dagli atti del fatto oggetto della seconda ordinanza cautelare non Ł stato affrontato, avendo il Tribunale valorizzato elementi potenzialmente ostativi che, per le ragioni sopra esposte, impongono necessariamente una rivalutazione.
Quanto detto comporta che il Tribunale, in sede di rinvio, dovrà non solo riesaminare attenendosi ai principi indicati – i profili concernenti l’anteriorità della condotta associativa e la sussistenza della connessione qualificata, ma dovrà anche valutare se, all’epoca di adozione della prima misura cautelare, fossero o meno emersi indizi di reità sufficienti all’adozione della misura anche per il reato associativo.
Nel compiere tale accertamento, si dovrà tener conto del principio secondo cui ai fini dell’anteriore “desumibilità” dagli atti del fatto oggetto della seconda ordinanza prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui Ł stata emessa la prima ordinanza cautelare, avendo riguardo unicamente all’emersione, in termini “quantitativi”, di un complesso di indizi valutabili in funzione dell’adozione della misura cautelare, e non anche, su un piano piø specificamente “qualitativo”, all’attività di decodificazione, interpretazione e compiuta elaborazione degli stessi da parte degli organi deputati alle indagini.
Si Ł recentemente affermato, infatti, che ove si facesse dipendere la durata della privazione della libertà – come effetto dell’individuazione del termine di decorrenza della misura restrittiva – da un’estensione non definita nØ definibilenecessario al p.m. per l’esame di indizi di cui già disponga, si determinerebbe il rischio di una sostanziale vanificazione dell’istituto della retrodatazione (Sez.2, n. 18879 del 30/4/2021, Buscemi, Rv. 281230)
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, per nuovo giudizio dinanzi al Tribunale del riesame competente.
P.Q.M
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 30/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME