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Retrodatazione misura cautelare e reato associativo

La Cassazione ha stabilito che la retrodatazione della misura cautelare non si applica a un reato associativo, come la partecipazione a un clan mafioso, se la condotta criminale prosegue dopo l’emissione di una prima ordinanza cautelare. Il ricorso di un imputato, accusato di essere a capo di un’associazione mafiosa, è stato respinto perché la sua partecipazione al sodalizio non è cessata prima della prima misura, rendendo inapplicabile l’art. 297, comma 3, c.p.p.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Misura Cautelare: No se il Reato Associativo Continua

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16664 del 2025, affronta un tema tecnico ma cruciale della procedura penale: la retrodatazione misura cautelare in presenza di reati associativi. Questa decisione chiarisce un principio fondamentale: se la partecipazione a un’associazione criminale, come un clan mafioso, prosegue nel tempo anche dopo l’emissione di una prima ordinanza di custodia, non è possibile far retrocedere i termini della seconda misura cautelare. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti del Caso Giudiziario

Un soggetto, ritenuto capo e promotore di un noto clan mafioso, veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere per gravi reati, tra cui associazione di tipo mafioso, estorsione e autoriciclaggio. In precedenza, nei suoi confronti era già stata emessa un’altra ordinanza cautelare per un diverso episodio di estorsione. La difesa ha quindi richiesto l’applicazione dell’istituto della retrodatazione, previsto dall’articolo 297, comma 3, del codice di procedura penale. Secondo i legali, i termini della nuova misura avrebbero dovuto decorrere dalla data della prima, poiché i fatti contestati erano anteriori a quest’ultima.

Il Principio della Retrodatazione Misura Cautelare e il Reato Associativo

L’articolo 297, comma 3, c.p.p. stabilisce che, in caso di ‘contestazione a catena’, i termini di durata della seconda misura cautelare vengono calcolati a partire dal giorno in cui è stata eseguita la prima, a condizione che i nuovi reati siano stati commessi prima dell’emissione della prima ordinanza.

Il punto cruciale della vicenda riguarda la natura del reato associativo. A differenza di un reato istantaneo (come un furto), l’associazione mafiosa è un reato permanente: la condotta illecita non si esaurisce in un singolo momento, ma perdura finché il soggetto rimane parte del sodalizio criminale. È proprio su questa caratteristica che si è incentrata la decisione della Suprema Corte.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale del riesame. La motivazione si basa su un orientamento giurisprudenziale consolidato, inaugurato dalle Sezioni Unite con la sentenza ‘Librato’. Il presupposto essenziale per la retrodatazione è l’anteriorità completa dei fatti oggetto della seconda ordinanza rispetto all’emissione della prima.

Nel caso del reato associativo, questo presupposto non può sussistere se la condotta di partecipazione al clan si è protratta anche dopo l’emissione della prima ordinanza cautelare. Dalle indagini era emerso che l’imputato aveva continuato a operare come figura di vertice del clan anche nei mesi successivi alla data della prima misura. Di conseguenza, la sua condotta criminale non poteva considerarsi interamente ‘anteriore’.

Inoltre, la Corte ha specificato che l’arresto di un affiliato non determina automaticamente la cessazione del vincolo associativo. È necessario un accertamento caso per caso per verificare se le vicende processuali abbiano effettivamente interrotto il legame con l’organizzazione criminale, cosa che nel caso di specie non era stata dimostrata.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio di rigore nell’applicazione della retrodatazione misura cautelare. Per i reati permanenti, e in particolare per quelli associativi, la valutazione dell’anteriorità della condotta deve essere estremamente precisa. Non è sufficiente che il reato sia iniziato prima della prima misura cautelare; è necessario che sia anche terminato prima. In caso contrario, come nel caso di una partecipazione a un clan mafioso che continua nel tempo, ogni misura cautelare successiva avrà termini di durata autonomi, senza possibilità di essere ‘assorbita’ dalla precedente. Questa interpretazione garantisce che la durata della custodia cautelare sia proporzionata alla persistenza della condotta criminale, specialmente in contesti di criminalità organizzata.

Quando si applica la retrodatazione dei termini di una misura cautelare?
Si applica, ai sensi dell’art. 297, comma 3, c.p.p., quando a una persona già sottoposta a misura cautelare viene applicata una nuova misura per fatti diversi che sono stati commessi interamente prima dell’emissione della prima ordinanza.

Perché la retrodatazione non è stata applicata in questo caso di reato associativo?
Non è stata applicata perché il reato di associazione mafiosa è un reato permanente. La condotta di partecipazione dell’imputato al sodalizio criminale si è protratta anche dopo l’emissione della prima ordinanza cautelare, facendo venir meno il requisito dell’anteriorità dei fatti richiesto dalla norma.

L’arresto di un membro di un’associazione mafiosa interrompe automaticamente la sua partecipazione al sodalizio?
No, secondo la giurisprudenza costante citata nella sentenza, l’arresto o l’esercizio dell’azione penale non costituiscono una causa automatica di cessazione del vincolo associativo. È necessario accertare caso per caso se le vicende processuali abbiano effettivamente determinato la risoluzione del legame con l’organizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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