Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13368 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13368 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
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-3 APR. 2024
SENTENZA
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sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/10/2023 del Tribunale del riesame di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
NOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27/10/2023, il Tribunale del resame di Catania confermava il provvedimento emesso il 29/9/2023 dal Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale, con il quale NOME COGNOME era stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere con riguardo ai reati di cui agli artt. 73-74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contestati ai capi 15 e 16 della rubrica provvisoria.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
•.
violazione e vizio di motivazione con riguardo all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. Il Tribunale avrebbe ritenuto generica e priva di allegazioni la censura con la quale, nell’ottica della norma richiamata, si era rappresentato che, sebbene l’attività investigativa si fosse formalmente protratta fino al dicembre 2022, il Pubblico ministero sarebbe stato in possesso di tutti gli elementi per la contestazione della fattispecie associativa sin dall’arresto del Flatania, avvenuto il 28/7/2022; il reato-fine contestato al capo 115) e la stessa condotta di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo 17), inoltre, sarebbero in evidente rapporto di connessione teleologica, così da imporre ulteriormente la retrodatazione della misura. Ancora, si contesta l’affermazione per cui la difesa non avrebbe offerto al Tribunale ogni elemento utile al riguardo, avendo questa allegato, per contro, tutti i provvedimenti necessari;
violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo ai gravi indizi di colpevolezza. L’ordinanza avrebbe riconosciuto il fumus del delitto di cui all’art. 74 citato, quanto al ricorrente, soltanto in forza di alcuni filmati e dell’arresto sub l’anno precedente. Ebbene, con questa motivazione il Tribunale non avrebbe adeguatamente individuato gli elementi a conferma della partecipazione associativa, riscontrando, al più, indizi di una fattispecie concorsuale ben distinta dall’altra, come da giurisprudenza richiamata. Il sol fatto di esser stato trovato in strada a spacciare, dunque, non potrebbe comportare una diretta affiliazione; il ricorrente, infatti, sarebbe stato occasionalmente remunerato per il suo turno di lavoro, terminato il quale sarebbe tornato a casa, senza manifestare alcuna affectio societatis;
la stessa censura è poi mossa con riguardo alle esigenze cautelari, che sarebbero state riconosciute con argomento carente; al pari, peraltro, della idoneità della sola custodia cautelare in carcere (oggetto del quarto motivo), che sarebbe stata riconosciuta con affermazioni del tutto illogiche e che non terrebbero conto del tempo trascorso dai fatti e del comportamento corretto tenuto nel corso degli arresti domiciliari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo, innanzitutto, alla dedotta retrodatazione dei termini di custodia cautelare al momento del precedente arresto per spaccio, il Collegio osserva che il relativo motivo è inammissibile, in quanto non si confronta con il contenuto dell’ordinanza che ha rigettato l’eccezione di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. con un argomento del tutto solido, basato su elementi oggettivi e privo di illogicità manifesta; dunque, non censurabile.
4.1. In particolare, il Tribunale ha sottolineato che mentre il reato associativo è stato contestato fino al luglio 2021, la retrodatazione era stata invocata con riguardo ad una condotta di molto successiva, quale l’arresto per spaccio di stupefacenti avvenuto il 28/7/2022, che dunque non poteva essere considerata quale reato-fine dell’associazione stessa. Inoltre, l’ordinanza ha evidenziato che, anche a voler ammettere una connessione qualificata tra i reati di cui agli artt. 73 e 74, d.P.R. n. 309 del 1990, gli elementi indiziari utilizzati dal pubblico minister per la fattispecie associativa (ed inseriti nell’ordinanza genetica dell’11/10/2023) non erano ancora desumibili al momento dell’arresto del luglio 2022; la comunicazione di notizia di reato conclusiva, posta a fondamento del reato associativo, era stata infatti depositata soltanto nel dicembre 2022.
4.2. Al riguardo, peraltro, questa Corte ha già affermato – proprio in relazione all’art. 74 in esame – che in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di “anteriore desumibilità”, dagli atti inerenti all prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, richiede che, al momento del rinvio a giudizio nel primo procedimento, l’autorità giudiziaria sia in grado di desumere, e non solo di conoscere, la specifica significanza processuale, intesa come idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare, degli elementi relativi al reato sul quale si fonda l’adozione del successivo provvedimento cautelare per reato connesso, il cui compendio indiziario deve manifestare già la propria portata dimostrativa e non richiedere ulteriori indagini o elaborazione degli elementi probatori acquisiti, che rendano necessaria la separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato connesso (Sez. 4, n. 16343 del 29/3/2023, COGNOME, Rv. 284464). Ebbene, il ricorso sul punto risulta del tutto generico, limitandosi a richiamare “intercettazioni telefoniche disposte su alcune delle utenze in uso ad alcuni degli indagati proprio con riferimento al INDIRIZZO“, oltre a due provvedimenti (ordinanza del Tribunale del riesame del 18/8/2022 ed ordine di esecuzione n. 312/23) “dai quali si deduce la sussistenza dei presupposti alla retrodatazione”, peraltro neppure allegati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2. Il primo motivo di ricorso, pertanto, è manifestamenl:e infondato.
Con riguardo, poi, al fumus dell’associazione di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, oggetto del primo motivo, il Collegio osserva che non può essere accolta l’affermazione secondo cui l’ordinanza impugnata non conterrebbe un contenuto sufficiente.
4.1 La censura, infatti, trascura del tutto l’ampia motivazione stesa al riguardo dal Tribunale del riesame, con i cui argomenti non si confronta affatto, così da dover essere dichiarata inammissibile: neppure una considerazione, in particolare, è sviluppata quanto ai numerosi passaggi dell’ordinanza (pagg. 2-5) che descrivono i vari gruppi criminali interessati, compreso quello del quale faceva
•
parte il COGNOME, riportando con ampiezza plurimi elementi a conferma della struttura organizzata propria dell’art. 74 in esame. A titolo meramente esemplificativo, si richiamano la ripartizione dei luoghi di spaccio (addirittura all’interno dello stesso civico), i turni di presidio (mattutino e pomeridiano), i cana di approvvigionamento, la distinzione dei ruoli (vedette, pusher, rifornitori), l’impiego di vari mezzi a ciò strumentali (ricetrasmittenti, ciclomotori), i luoghi custodia delle sostanze. Una struttura del tutto organizzata, dunque, destinata stabilmente allo spaccio di stupefacenti e dalla quale è stato tratto – con motivazione adeguata e non censurabile – il fumus della fattispecie associativa di cui all’art. 74 in esame.
Ancora inammissibile, e per la medesima ragione, è poi il ricorso nella parte in cui contesta il fumus del delitto di cui all’art. 74 con riguardo alla partecipazione del COGNOME; il motivo di impugnazione, infatti, è nuovamente privo di ogni confronto con l’ordinanza impugnata, che ha individuato plurimi elementi a sostegno della contestazione.
5.1. In particolare, dopo aver evidenziato che il ricorrente era uno dei numerosissimi pusher operativi nel turno notturno in INDIRIZZO, il Tribunale ha sottolineato che lo stesso era stato ripreso sul posto “ininterrottamente” dall’8/7/2021 al 31/7/2021, mentre effettuava decine di cessioni di stupefacente insieme ai suoi sodali. Il ricorrente, peraltro, era stato arrestato in flagranza, a distanza di un anno, per detenzione di cocaina a fini di spaccio, sempre nello stesso posto; nell’occasione, era stato trovato in possesso di 77 confezioni di cocaina e 27 confezioni di cocaina/crack. In forza di questi elementi – si ribadisce, del tutto assenti nel ricorso – l’ordinanza ha quind riscontrato pieno il fumus della contestazione associativa quanto al COGNOME, evidenziando plurimi e concreti elementi espressione dell’affectio societatis e della stabile adesione del ricorrente all’organizzazione, all’evidente fine di rafforzarla Questa conclusione, peraltro, è aderente alla costante giurisprudenza di questa Corte, per la quale in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la ripetuta commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell’associazione, può integrare l’esistenza di indizi gravi, precisi concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell’assenza di un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, stante la natura permanente del reato associativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro (per tutte, Sez. 3, n. 20003 del 10/1/2020, Di COGNOME, Rv. 279505).
Il primo motivo di impugnazione, pertanto, è inammissibile.
Alle stesse conclusioni, poi, il Collegio giunge quanto ai seguenti, che riguardano le esigenze cautelari: in particolare, si lamenta la carenza di
motivazione quanto all’esistenza stessa di tali esigenze e quanto alla misura concretamente idonea a soddisfarle.
6.1. Ebbene, anche sul tema il ricorso trascura del tutto la solida motivazione contenuta nell’ordinanza che, oltre a richiamare la doppia presunzione relativa che connota, in sede cautelare, la fattispecie associativa di cui all’art 74 (ai sens dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.), ha evidenziato la pervicacia dell’indagato nel perseverare nelle condotte criminali, tanto da essere arrestato in flagranza successivamente al tempus dell’associazione – nel luglio 2022, venendo poi condannato in secondo grado, con rito abbreviato, alla pena di quattro anni di reclusione. Con questo doppio argomento, oggetto di valutazione non manifestamente illogica, dunque non censurabile in questa sede, il Tribunale ha pertanto riconosciuto l’assenza di margini per formulare una prognosi favorevole sull’osservanza, da parte del COGNOME, delle prescrizioni in materia di arresti domiciliari, anche se rafforzati dal braccialetto elettronico; una misura diversa da quella massima custodiale, pertanto, è stata ritenuta inidonea a recidere i radicati legami con il traffico di stupefacenti e con la criminalità organizzata, legami che il ricorrente ha dimostrato di possedere e di attivare con assoluta facilità.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento lionché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.MI.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente