Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27060 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27060 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GUARDAVALLE il 14/02/1972
avverso l’ordinanza del 16/01/2025 del Tribunale del Riesame di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
È stata impugnata la ordinanza del Tribunale di Roma in funzione di giudice dell’appello cautelare , che ha respinto l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto dai difensori di COGNOME COGNOME in relazione alla mancata applicazione della retrodatazione dei termini di custodia cautelare ex art. 297 comma 3 cod. proc. pen. con riferimento ad ordinanza di misura cautelare della custodia in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari di Roma il 17 febbraio 2022 (c.d. procedimento TRITONE , capo 1, 416 bis cod. pen.; capo 35, art. 74 commi 1,2,3 e 4 DPR 309/90; capo 36, artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 73 comma 1 DPR 309/90; capo 44, artt. 648 ter.1, 416 bis.1 cod. pen.), da far decorrere -secondo la prospettazione difensiva -alla data (di esecuzione) di una precedente ordinanza coercitiva del 19 novembre 2019 del giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Reggio Calabria (c.d. procedimento COGNOME , capo 2, art. 74 DPR 309/90 e capo 15, artt. 73 comma 1, 80 DPR 309/90), con la conseguente perdita di efficacia del provvedimento più recente.
L’atto d’impugnazione si è affidato ad un solo, composito motivo , che ha dedotto i vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., perché -nell’ambito del processo MAGMA -il COGNOME, accusato di far parte del gruppo mafioso dei COGNOME sarebbe stato condannato ‘quale organizzatore di un autonomo gruppo romano’, che il giudice dell ‘ udienza preliminare reggino avrebbe individuato in una ‘sotto -consorteria, strutturalmente diversa da quale alla quale apparterrebbero i rosarnesi’, collocata in territorio romano. Il ricorrente, insomma, sarebbe stato individuato come il capo del c.d. gruppo COGNOME (di cui farebbero parte COGNOME, COGNOME e COGNOME), elementi che, in sostanza, dimostrerebbero la coincidenza tra il gruppo di cui ‘al capo 35’ e ‘il presunto gruppo contestato in territorio reggino’; la stessa Procura romana, nella formazione del capo di addebito, avrebbe fatto riferimento alle intercettazioni svolte nel procedimento di Reggio Calabria. Nel fascicolo del pubblico ministero romano -e nella sentenza della Corte d’appello di Roma -vi sarebbe la prova che ‘la Procura di Roma fosse fin dall’inizio a conoscenza dell’attività investigativa relativa al procedimento reggino’ da ritenersi connesso a quello interessato dalla doglianza difensiva. Ancora, non rileverebbe che i provvedimenti cautelari siano stati adottati in procedimenti formalmente differenti, perché ciò sarebbe avvenuto ‘al fine di tutelare l’interesse investigativo e non rivelare notizie pregiudizievoli per gli accertamenti in corso’ .
Il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dr. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso , ai limiti dell’inammissibilità, è nel complesso infondato.
Il motivo di censura costituisce semplice riproposizione, anche grafica, dell’istanza originariamente presentata alla Corte d’appello e dell’atto di gravame ex art. 310 cod. proc. pen. formalizzato avverso l’ordinanza di reiezione, in assoluta carenza di confronto con le specifiche, circostanziate argomentazioni illustrate dall’ordinanza del Tribunale, impugnata con il ricorso di legittimità.
Esso tradisce, inoltre, marcati e decisivi profili di vaghezza e genericità, perché non chiarisce se i fatti oggetto delle incolpazioni ‘calabresi’ siano gli stessi, ovvero siano fatti diversi, connessi o non connessi con quelli esaminati dall’ordinanza ‘romana’ del 2022 , tenuto presente il principio di diritto secondo il quale, nel caso in cui nei confronti di un
imputato siano emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esista una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297 co. 3 cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza; mentre, nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909).
La doglianza difensiva non indica se, per i fatti contestati con la prima ordinanza, il COGNOME sia eventualmente stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda ordinanza (Corte Cost. sent. n. 233 del 2011); non fornisce elemento alcuno per inferire che il c.d. gruppo COGNOME, operante nella provincia di Roma – che si assume individuato dalla sentenza del giudice dell ‘ udienza preliminare presso il Tribunale di Reggio Calabria -coincida con l’associazione per delinquere di ndrangheta che l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Roma ha collocato nella zona di Anzio e Nettuno, o coincida con l’associazione finalizzata al narcotraffico, contestata nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Roma come radicata in Anzio, anche in considerazione del rilievo che ‘COGNOME, COGNOME e NOME‘ -menzionati dalla difesa -non figurano tra i personaggi elencati nell’imputazione del procedimento instaurato dinanzi all’ autorità giudiziaria di Roma (che annovera, invece, COGNOME, COGNOME, COGNOME, Italiano, Tedesco, quanto al sodalizio mafioso e di narcotrafficanti e COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME come ulteriori componenti dell’organizzazione del traffico di droga) .
Il ricorrente non chiarisce nemmeno -al di là delle proposizioni contenute nella sentenza del giudice dell ‘ udienza preliminare di Reggio Calabria, riassunte comunque in modo laconico, frammentario, autoreferenziale e dunque inappagante -se e sulla base di quali concreti dati indiziari le vicende relative al c.d. gruppo romano, che si sostiene capeggiato da Gallace e cristallizzato dal secondo provvedimento restrittivo, fossero effettivamente già emerse, nella loro consistenza e completezza, al momento dell’adozione dell’ordinanza del 18 novembre 2019 ; in proposito, va rammentato il consolidato indirizzo giurisprudenziale in virtù del quale, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibilità” dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, va individuata non nella mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma nella condizione di conoscenza derivata da un
determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al Pubblico Ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (sez. 4, n. 16343 del 29/03/2023, COGNOME, Rv. 284464; sez. 3, n. 46158 del 04/02/2015, COGNOME, Rv.265437; sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, COGNOME, Rv. 255722; sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, Di NOME, Rv. 253509).
Né nel ricorso si chiarisce come il giudice per le indagini preliminari di Roma -che, nell’ambito di un procedimento penale distinto e attribuito a differente competenza territoriale, ha emanato la seconda ordinanza, i cui termini di decorrenza si vorrebbero retrodatare -potesse vantare nel proprio patrimonio conoscitivo gli elementi indiziari, appunto valorizzati nel l’ordinanza del 2022, che si ventilano già esistenti nel 2019; e dunque, pur essendone in possesso, avesse effettuato una scelta ‘strategica’ finalizzata soltanto a salvaguardare necessità di riservatezza d’indagine con pregiudizio per il ricorrente.
Appare utile riassumere i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia.
Come è stato evidenziato in due pronunce delle Sez. U di questa Corte (la citata sentenza n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909; n. 21957 del 22/03/2005, P.M. in proc. COGNOME ed altri, Rv. 231057), in tema di disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare in caso di contestazione a catena, possono ricorrere tre distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte, regole operative.
2.1. Possono essere state emesse nello stesso procedimento penale due (o più) ordinanze applicative di misure cautelari personali che abbiano ad oggetto fatti-reato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di connessione qualificata), e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo, in relazione al quale non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste circostanze trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo del comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen., secondo la quale la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima opera in via automatica e, dunque, “indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure” (così la citata Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Librato).
2.2. I fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari possono, invece, risultare avvinti dalla suindicata connessione qualificata e le ordinanze essere emesse in distinti procedimenti (e al riguardo non rileva se questi siano ‘gemmazione’ di un unico procedimento, nel cui ambito è stata disposta una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che essi abbiano avuto autonome origini). In tale situazione si applica la regola dettata dal secondo periodo del comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen., sicché la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza.
2.3. Infine, tra i fatti oggetto dei due (o più) provvedimenti cautelari può non esistere alcuna connessione, ovvero può configurarsi una forma di connessione non qualificata. Questa ipotesi rientra nel campo applicativo dell’art. 297 cod. proc. pen. per effetto della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 408 del 2005. Pertanto, se le due ordinanze sono state adottate in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero (così Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Librato, cit.; conf., in seguito, Sez. 2, n. 44381 del 25/10/2010, Noci, Rv. 248895; Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240099).
3. L ‘ordinanza impugnata si è attenuta ai principi sopra ricordati e ha dato conto, con enunciati accurati, appropriati ed ineccepibili in questa sede, con i quali le doglianze difensive omettono di misurarsi, che: -i consessi associativi sono diversi, anche per luoghi, modalità concrete di realizzazione e date di consumazione; – la contestazione riguarda reati permanenti; – il ruolo del Gallace, nel contesto dei sodalizi di Reggio Calabria e della provincia di Roma, risulta eterogeneo; – le incolpazioni cristallizzate nel secondo provvedimento non investono fatti antecedenti l’emissione della prima ordinanza; – non sussistono in alcun modo, in virtù delle evidenze probatorie disponibili, elementi di sovrapponibilità investigativa tali da persuadere che ai tempi della prima ordinanza custodiale le diverse autorità giudiziarie in discorso, che hanno agito in tempi distanti, avessero piena e contestuale padronanza delle medesime emergenze per i medesimi fatti (e che, pertanto, i fatti della seconda decisione cautelare fossero già ‘desumibili dagli atti’ al tempo della formalizzazione del primo provvedimento).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di reiezione del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Ai sensi dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. cod. proc. pen. , va disposto che la cancelleria trasmetta copia del provvedimento alla Direzione dell’istituto penitenziario per gli adempimenti di competenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, 17/06/2025