Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44084 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44084 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato in Arzano (Na) il 25/01/1959
avverso l’ordinanza del 03/04/2024 del Tribunale del riesame di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli, adito in funzione di Giudice di appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., rigettava l’istanza presentata nell’interesse di NOME COGNOME gravemente indiziato del delitto di associazione mafiosa, volta ad ottenere la revoca ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. della misura della custodia cautelare, disposta dal Giudice per le indagini preliminari 1’08/09/2023 ed in corso di esecuzione.
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NOME COGNOME con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso, deducendo:
– vizio di motivazione per omissione e illogicità manifesta, per avere il Tribunale escluso la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. sull’assunto che l’ordinanza cautelare n 283/2023 (oggetto di ricorso) avesse ad oggetto fatti ascrivibili al reato di associazione di stampo mafioso con formula “aperta”, senza tuttavia confrontarsi con le specifiche allegazioni difensive; la difesa aveva, infatti, segnalato come tutti gli elementi indiziari, raccolti dall’accusa a carico dell’indagato, si fossero arrestati all’anno 2018 e come, in ogni caso, la partecipazione al sodalizio in contestazione dovesse ritenersi inevitabilmente cessata alla data del 4 dicembre del 2019, data dell’arresto del COGNOME , eseguito in virtù della ordinanza di custodia cautelare n 420/2019 nell’ambito del primigenio procedimento penale, poi stralciato;
-vizio di motivazione per contradditoria e manifesta illogicità, per avere il Tribunale della libertà ritenuto che l’autorità procedente fosse venuta a conoscenza della intraneità del COGNOME al sodalizio criminoso di stampo mafioso solo in data 16 novembre del 2020 , data del deposito della informativa conclusiva , ovvero dopo il rinvio a giudizio avvenuto il 30/06/2020 in relazione ai fatti-reato contestati nel primigenio unico procedimento penale , poi oggetto di stralcio e in relazione ai quali era stato spedito autonomo titolo cautelare ( ordinanza n.420/2019); il difensore ha segnalato la illogicità del percorso argomentativo dal momento che i Giudici di appello- pur riconoscendo che le dichiarazioni etero accusatorie del collaboratore di giustizia in ordine alla partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa risalissero ai mesi di novembre 2019 e di febbraio 2020collocavano tuttavia la conoscenza della relativa notitia criminis in capo al Pubblico ministero procedente in epoca successiva al rinvio a giudizio ovvero alla data del 16 novembre del 2020, in cui avveniva solo il deposito della informativa finale , atto di natura meramente riepilogativa delle indagini svolte e priva di elementi investigativi di assoluta novità;
violazione di legge in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. per avere il Tribunale del riesame ritenuto la sussistenza di una condotta permanente in base alla sola contestazione aperta nonché la portata innovativa della informativa del 16/12/2020.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.
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NOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Con il presente ricorso NOME COGNOME ha censurato il dictum del Tribunale della libertà di Napoli di conferma del provvedimento, con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato l’istanza di dichiarazione di inefficacia della misura della custodia cautelare disposta con ordinanza n 83 /2023 dell’08/09/2023 in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. commesso con condotta perdurante dal 1990, ritenendo non operativa la retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. della data iniziale della sua esecuzione al 4.12.2019, epoca nella quale veniva eseguita altra misura custodiale ( ordinanza n 420/2019) relativa a delitti di contrabbando e di associazione finalizzata al contrabbando commessi tra il 2014 e il 2017, con l’aggravante di aver agevolato il clan COGNOME( aggravante poi esclusa con sentenza resa dal Tribunale di Napoli il 9.11.2023).
Il Tribunale ha ritenuto, in primo luogo, che si fosse al cospetto di una contestazione aperta e, in secondo luogo, che non ricorresse il presupposto della “desumibilità”, necessario per fare operare il meccanismo della retrodatazione, previsto dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
2.1. Anticipando la trattazione del secondo motivo, è opportuno tratteggiare schematicamente- sulla scorta delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite con due decisioni rispettivamente del 2005 e del 2006 (Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-10- 11; Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, P.M. in proc. COGNOME ed altri, Rv. 231057)- la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare in caso di reati diversi, variamente collegabili tra loro (c.d. “contestazione a catena”).
Ebbene – premesso che si parla di “contestazione a catena” solo se i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore (ex plurimis, Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, COGNOME, Rv. 253237)- possono ricorrere tre distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte regole operative.
La prima situazione è quella in cui le due (o più) ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti-reato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di connessione qualificata) e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste circostanze trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo del comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen.,
che non lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque – impiegando le parole delle Sezioni unite di questa Corte – “indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure”. Automatica retrodatazione della decorrenza dei termini che risponde all’esigenza “di mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabili dalla legge, anche quando nel corso delle indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata” (così C. Cost., 28 marzo 1996, n. 89), e che si determina solo se le ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento penale (così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit.).
La seconda situazione rappresenta una variante della prima, presupponendo comunque l’accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata sopra indicate, ma è caratterizzata dall’intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo. Tale ipotesi presuppone, ovviamente, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti, ma (come hanno chiarito le Sezioni unite nelle più volte richiamate sentenze) è irrilevante che gli stessi siano ‘gemmazione’ di un unico procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini. In siffatta diversa situazione si applica la regola dettata dal secondo periodo del comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen., sicché la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza.
La terza situazione è quella in cui tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione ovvero sia configurabile una forma di connessione non qualificata, cioè diversa da quelle sopra considerate del concorso formale, della continuazione o del nesso teleologico (per quest’ultimo, nei limiti fissati dal codice). Questa ipotesi, che in passato si riteneva pacificamente non riguardare l’art. 297 comma 3 cod. proc. pen., oggi rientra nel campo applicativo di tale disposizione codicistica per effetto della sentenza additiva della Consulta n. 408 del 2005. Ne consegue che la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare è dovuta “in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi
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per l’adozione delle singole ordinanze”. Il giudice deve, perciò, verificare se al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza cautelare, da intendersi – come sottolineato dai Giudici delle leggi – come “elementi idonei e sufficienti per adottare” il provvedimento cronologicamente posteriore. Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero (così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit.; conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, Noci, Rv. 248895; Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240099).
2.2. Così schematizzata la cornice normativa di riferimento, va in primo luogo rilevato come, nel caso di specie, emerge ex actis che le due ordinanze cautelari, rispettivamente la n. 420/2019 del 29/01/2019- relativa al reato associativo di cui all’art.291 quater del d.P.R. del 23/01/1973 n 43 nonché ai reati di contrabbando di t.l.e.- e la n 283/2023 dell’08/09/2023 -relativa al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.-, vennero emesse nell’ambito del medesimo procedimento penale (n13700/2017 R.g.n.r.) e che in data 30/06/2020, prima della adozione del secondo titolo cautelare, NOME COGNOME venne rinviato a giudizio in relazione ai fatti reati di cui alla primigenia ordinanza.
Parimenti non pare possa dubitarsi che si sia al cospetto di fatti-reato strutturalmente ed ontologicamente differenti: già la semplice lettura degli addebiti consente di escludere per tabulas che i fatti dedotti nell’ordinanza in corso di esecuzione (n. 283/2023) coincidano con quelli dedotti nel precedente titolo cautelare (n. 420/2019).
Nemmeno è ravvisabile l’ipotesi di connessione qualificata tra reati: connessione invero nemmeno mai dedotta dalla difesa e presupposta dalla Corte senza motivazione alcuna, tanto più necessaria in ragione della non intuitiva evidenza di essa, posta la totale diversità dei soggetti coinvolti nei due addebiti associativi e la diversità dell’indicato programma criminoso (Sez. 1, n. 1534 de12018, Rv. 271984 – 01).
2.3. Dunque, nel caso sub iudice, si tratta di fatti-reato diversi e non connessi in relazione ai quali opera la regula iuris indicata dalla sentenza n. 408 del 2005 della Corte Costituzionale, innanzi già citata, di guisa che la retrodatazione è possibile solo se i fatti oggetto della seconda ordinanza siano “desumibili dagli atti”
al momento della emissione della prima ordinanza. Quanto al concetto di desumibilità – anch’esso oggetto di specifiche considerazioni difensive- la giurisprudenza (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, non mass.; Sez. 4, n. 2649 del 25/11/2008, COGNOME, Rv. 242498) ha chiarito che esso non va confuso con la mera conoscenza o conoscibilità dì determinati fatti, in quanto, se la ratio della norma di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. consiste nell’evitare un prolungamento artificioso dei termini di custodia cautelare, è evidente che la retrodatazione può teoricamente ipotizzarsi, e l’istituto concretamente operare, come istituto di garanzia, solo se il secondo provvedimento custodiale già poteva concretamente essere adottato al momento dell’emissione della prima ordinanza e ciò può affermarsi solo nei casi in cui già vi era un quadro indiziario di tale gravità e completezza, conoscibile dall’autorità giudiziaria procedente e apprezzabile in tutta la sua valenza probatoria, da integrare tutti i presupposti legittimanti l’adozione della misura.
Interpretazione, quest’ultima, peraltro avallata dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare «l’illegittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza», ha affermato che la durata della custodia cautelare deve dipendere da un fatto obiettivo (rispettoso, dunque, del canone dell’uguaglianza e della ragionevolezza) quale quello «dell’acquisizione di elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari».
Non è allora sufficiente la mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma è necessario accertare una condizione di conoscenza, derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo, che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare ( così Sez.3., n 48034 del 25/10/2019, Di COGNOME, Rv. 275371). Conseguenza di ciò è che la ricorrenza dei presupposti di applicazione della retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. costituisce una quaestio facti, la cui soluzione é rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 9990 del 18/01/2010, COGNOME, Rv. 246798)e che come tale richiede l’esame degli atti ed una ricostruzione dei fatti, attività precluse al giudice di legittimità, al quale è devoluta la verifica della correttezza e della logicità della valutazione operata.
2.4. Il Tribunale della libertà con motivazione succinta, ma congrua e priva di vizi di manifesta illogicità, ha chiarito che il compendio indiziario a carico del ricorrente- benchè si fosse significativamente arricchito con le dichiarazioni rese
da COGNOME NOMECOGNOME il quale in data 26 febbraio del 2020 aveva proceduto al riconoscimento fotografico del COGNOME e gli aveva attribuito un ruolo di primo piano nell’ambito del clan COGNOME– aveva raggiunto il grado di completezza ai fini e per gli effetti di cui all’art. 273 cod. proc. pen. solo a seguito del deposito della informativa finale risalente alla data del 16 novembre del 2020; in detto documento erano infatti confluite tutte le informazioni necessarie per connotare di gravità il quadro indiziario, ovvero non solo le dichiarazioni del collaborante COGNOME ma anche tutti gli ulteriori elementi investigativi di supporto e riscontro alle stesse (pag. 6 del provvedimento gravato).
Quindi- fermo il fatto ex se tranciante che le dichiarazioni etero accusatorie del collaboratore sono in ogni caso successive alla data di emissione del primo titolo custodiale – è certo che la completezza, nel senso di concludenza e gravità, del quadro indiziario, necessario al Pubblico ministero per avanzare la richiesta di adozione della seconda misura custodiale, temporalmente si è “manifestata” dopo più di un anno dalla data di emissione della prima ordinanza custodiale, risalente al 29.12.2019, di guisa che correttamente è stata esclusa la retrodatazione ex art. 297 comma 3 cod. proc. pen.
Ad ogni buon conto, la conclusione cui è pervenuto il provvedimento gravato rimane ferma, anche a volere applicare la regula iuris della connessione qualificata tra reati, solo invocata dal difensore senza alcuna allegazione in fatto e in diritto. Sulla scorta di quanto congruamente evidenziato nel provvedimento, costituendo il deposito della informativa conclusiva l’unico atto in grado di offrire all’organo di accusa tutti gli elementi su cui potere operare una compiuta valutazione in punto di gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen., è evidente che la desumibilitàpresupposto della retrodatazione- si colloca comunque dopo la data del rinvio a giudizio del Menna per i fatti -reato di cui alla prima ordinanza.
Il rigetto del secondo motivo consente di ritenere assorbito il primo motivo, anch’esso relativo all’ulteriore presupposto della contestazione a catena e all’accertamento della anteriorità dei fatti-reato oggetto della seconda ordinanza rispetto alla data di emissione del primo titolo custodiale, laddove ci si trovi, come nel caso di specie, al cospetto di una contestazione con formula “aperta”.
Sono inammissibili le deduzioni con le quali la difesa pare intenda contestare il presupposto della gravità indiziaria in ragione dell’intervenuta esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p. nel primo grado del giudizio relativo alle imputazioni di cui alla prima ordinanza custodiale. Le doglianze non solo sono rese in termini assai generici, ma sono anche tardive (non risultando impugnata l’ordinanza del Tribunale del riesame che confermava il titolo custodiale)
Al rigetto del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10/10/2024.