Retrodatazione Custodia Cautelare: la Cassazione chiarisce i limiti
La retrodatazione custodia cautelare è un istituto cruciale nel diritto processuale penale, che mira a evitare un’ingiusta protrazione dei termini di detenzione quando un soggetto è colpito da più provvedimenti restrittivi per fatti tra loro collegati. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21640/2024) offre importanti chiarimenti sui requisiti necessari per la sua applicazione, sottolineando come un’istanza generica non possa trovare accoglimento.
I fatti del caso: la richiesta di retrodatazione
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un imputato, sottoposto a custodia cautelare in carcere per un reato di estorsione pluriaggravata, anche dal metodo mafioso (ex art. 416 bis.1 c.p.). L’imputato aveva richiesto la retrodatazione della decorrenza di tale misura, facendola coincidere con un precedente periodo di detenzione sofferto per altri reati. L’obiettivo era ottenere la dichiarazione di inefficacia della misura per superamento dei termini massimi di durata, ai sensi dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale.
Sia la Corte d’Appello che il Tribunale del riesame avevano respinto la richiesta. Secondo i giudici di merito, l’istanza difettava della necessaria specificità, non fornendo elementi concreti per dimostrare l’esistenza di una “connessione qualificata” o di un “medesimo disegno criminoso” tra i fatti oggetto del primo procedimento e quelli del secondo. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione.
La decisione della Cassazione sulla retrodatazione custodia cautelare
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. I giudici hanno ribadito i principi, già affermati dalle Sezioni Unite, che regolano la materia della cosiddetta “contestazione a catena”.
La genericità dell’istanza
Il punto centrale della decisione è la genericità dell’istanza presentata dalla difesa. La Corte ha evidenziato come il ricorrente non avesse fornito alcun elemento fattuale idoneo a dimostrare la sussistenza di un unico disegno criminoso tra i due procedimenti penali. Limitarsi a reiterare le censure già sollevate in appello, senza confrontarsi specificamente con le motivazioni dei giudici di merito, rende il ricorso inammissibile. Non è sufficiente affermare l’esistenza di un legame tra i reati; è necessario provarlo con elementi concreti desumibili dagli atti processuali.
Le condizioni per la “contestazione a catena”
La sentenza richiama l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite (sent. n. 45246/2012), secondo cui la retrodatazione può essere chiesta solo se ricorrono congiuntamente due condizioni:
1. Il termine di custodia cautelare, per effetto della retrodatazione, risulta già interamente scaduto al momento dell’emissione del secondo provvedimento cautelare.
2. Tutti gli elementi a fondamento della seconda misura cautelare erano già desumibili dagli atti del primo procedimento al momento dell’emissione della prima ordinanza.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha dimostrato la sussistenza di queste condizioni, in particolare la seconda, rendendo la sua richiesta infondata.
Le motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte si fondano su un duplice binario. Da un lato, viene censurata la tecnica difensiva, che si è limitata a una doglianza generica senza offrire al giudice gli elementi necessari per una valutazione nel merito. La richiesta di retrodatazione custodia cautelare non è un automatismo, ma richiede una rigorosa dimostrazione della connessione tra i fatti. Dall’altro lato, la Corte ha affrontato anche il motivo relativo alla presunta attenuazione della pericolosità sociale, derivante dall’assoluzione dell’imputato dal reato associativo in un altro procedimento. Su questo punto, i giudici hanno chiarito che la gravità del reato contestato (estorsione aggravata dal metodo mafioso), la continuità dell’azione illecita e il contesto territoriale in cui è maturata giustificano ampiamente il mantenimento della misura cautelare in carcere, rendendola l’unica adeguata a fronteggiare la pericolosità del soggetto.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale: chi invoca l’applicazione di un istituto di favore, come la retrodatazione dei termini di custodia, ha l’onere di allegare e dimostrare specificamente i presupposti di legge. Non basta evocare un generico nesso tra procedimenti diversi. È indispensabile che la difesa articoli una richiesta dettagliata, indicando con precisione gli elementi fattuali e probatori, presenti negli atti del primo procedimento, che avrebbero consentito di contestare fin da subito anche i reati oggetto della seconda misura. In assenza di tale specificità, la richiesta è destinata a essere rigettata per genericità, con conseguente inammissibilità del ricorso.
Quando è possibile chiedere la retrodatazione della custodia cautelare per reati connessi (c.d. contestazione a catena)?
Secondo la sentenza, la questione può essere sollevata solo se ricorrono congiuntamente due condizioni: a) il termine massimo di custodia, calcolato con la retrodatazione, era già scaduto al momento dell’emissione del secondo provvedimento restrittivo; b) tutti gli elementi necessari a giustificare la seconda misura erano già desumibili dagli atti del primo procedimento.
Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso dell’imputato?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché manifestamente infondato e generico. L’imputato non ha fornito alcun elemento fattuale specifico idoneo a dimostrare la “connessione qualificata” o il “medesimo disegno criminoso” tra i fatti del primo procedimento e quelli del secondo, limitandosi a reiterare censure già respinte in appello senza un confronto critico con le motivazioni.
L’assoluzione dal reato di associazione mafiosa (416-bis c.p.) in un altro processo riduce la pericolosità di un soggetto accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso (416-bis.1 c.p.)?
No. Secondo la Corte, nonostante l’assoluzione per il reato associativo, la presunzione di pericolosità derivante dal reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso rimane. La gravità del fatto, la continuità e l’organizzazione dell’azione illecita, nonché il contesto territoriale, possono giustificare il mantenimento della custodia in carcere come unica misura adeguata.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21640 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21640 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOME NOME a Palmi il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza resa il 6 Febbraio 2024 dal Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Sentite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso, riportandosi alla memoria depositata.
Sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Reggio Calabria, sezione in materia di misure cautelari, ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza adottata il 9 gennaio 2024 dalla Corte di appello di Reggio Calabria con cui è stata respinta la richiesta volta alla retrodatazione della misura cautelare della custodia i carcere applicata al predetto in relazione ad un reato di estorsione pluriaggravata ex art. 416 bis.1 cod.pen. e alla conseguente inefficacia della stessa ai sensi dell’artico 297 comma 3 cod.proc.pen.
2.Avverso detta ordinanza propone ricorso l’imputato deducendo :
2.1 Violazione degli articoli 274 lettera C e 275 commi 1 e 3 cod.proc.pen. poiché ha ritenuto che la presunzione di pericolosità derivante dall’articolo 416 bis.1 cod.pen contestato e ritenuto in primo grado resista malgrado il COGNOME sia stato assolto in via definitiva dal reato associativo e abbia trascorso in custodia cautelare oltre due terz della pena inflitta.
2.2 Violazione di legge processuale in particolare dell’art. 297 comma 3 cod.proc.pen. poiché l’odierno ricorrente è stato indagato nello stesso arco temporale in relazione a reati compiuti sullo stesso territorio e indagati da parte dello stesso Ufficio di Procura dello stesso pubblico ministero, nonché avvinti da nesso teleologico e finalità convergente e, a fronte di questo quadro, non può condividersi la censura di genericità formulata dalla ordinanza impugnata in ordine alla richiesta di retrodatazione.
In particolare osserva che COGNOME era già stato condanNOME per il reato di cui all’art 416-bis c.p. e, quindi, l’ideazione in ordine all’impiego del metodo mafioso non era certamente nata nel 2017, al momento della progettazione della specifica ipotesi estorsiva per cui si procede.
3. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo non è consentito poiché risulta eccentrico rispetto al thenna decidendum oggetto dell’istanza di inefficacia della misura cautelare e dell’impugnazione dell’imputato.
Lo stesso è comunque manifestamente infondato in quanto il Tribunale del riesame, richiamando la gravità del fatto per cui si procede, nonostante l’assoluzione per il reato di cui all’art. 416 c.p., ha osservato che la fattispecie contestata (art. 629 c.p. aggrava dall’art. 416-bis 1 c.p.) è ostativa all’applicazione degli arresti domiciliari in Rosa “ossia proprio nel luogo in cui si erano concretizzati gli illeciti ed è stanziata la c COGNOME“. Il collegio ha valorizzato la continuità e il grado di organizzazione dell’azio illecita realizzata dal ricorrente che rendono la misura adottata l’unica adeguata alla pericolosità dell’indagato, con argomentazioni immuni dai vizi dedotti e il ricorrente neppure deduce elementi specifici che possano contestare tale considerazione, così incorrendo anche nel vizio di genericità.
4.La censura in merito all’asserita violazione di legge per il rigetto dell’istanz retrodatazione dei termini di custodia cautelare è manifestamente infondata e generica. È preliminare osservare che, in tema di contestazione a catena, la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) desumibilità dall’ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordin successiva (Sez. U, Sentenza n. 45246 del 19/07/2012, Rv. 253549; Conf. S.U. n. 45247/12, COGNOME, non massimata).
I giudici dell’appello cautelare hanno ribadito che l’istanza di retrodatazione era generica e non era stata motivata in punto di desumibilità degli atti e x con riferimento alla “connessione qualificata” tra “i fatti oggetto della prima ordinanza custodiale (procedimento “Magma”) e quelli oggetto del presente procedimento (“Handover”), non essendo dato rinvenire “alcun elemento fattuale idoneo a dimostrare la prospettata sussistenza del medesimo disegno criminoso tra i due procedimenti”. Si tratta di considerazioni corrette e immuni dai vizi dedotti con cui il ricorso non si confront limitandosi a reiterare le censure già sollevate in sede di appello.
Per queste ragioni si impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso con le conseguenti statuizioni.
Dichiara inammissibile il ricorso COGNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 comma 1 ter disp.att. cod.proc.pen.
Roma 8 MAGGIO 2024 Il consigliere estensore NOME COGNOME sellino
NOME COGNOME i