Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2107 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2107 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a S. Giorgio a Cremano (NA) il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 25/05/2023 del Tribunale di Napoli;
letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è attualmente imputato dinanzi al Tribunale di Napoli ed in stato di custodia cautelare in carcere per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, nella specie il RAGIONE_SOCIALE della “RAGIONE_SOCIALE“, operante nell’area orientale di quella città, giusta ordinanza del 13 aprile 2021 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale.
Egli ha avanzato istanza di declaratoria d’inefficacia del titolo custodiale, a norma dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.’ per effetto della retrodatazione del relativo termine di durata al 9 aprile 2019, data di emissione di una precedente ordinanza di custodia cautelare in carcere, per un duplice omicidio ed un tentativo di omicidio, aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolazione del predetto RAGIONE_SOCIALE, emessa dal medesimo ufficio giudiziario nell’ambito di un distinto processo, che attualmente versa in grado d’appello.
La sua istanza è stata respinta ed egli ha quindi proposto appello ex art. 310, cod. proc. pen., ma il Tribunale di Napoli, nella diversa funzione di giudice della cautela, lo ha rigettato, ritenendo insussistenti i presupposti per la retrodatazione del termine iniziale della misura, in quanto:
il reato associativo oggetto d’imputazione è contestatc come commesso dal 2014 “con condotta perdurante”, la quale si è dunque protratta oltre l’emissione della prima ordinanza custodiale; l’intervenuta restrizione in carcere dell’imputato in forza di tale precedente titolo, infatti, non determina di per sé la cessazione della condotta partecipativa, occorrendo piuttosto, a tal fine, la specifica dimostrazione della cessazione del sodalizio o della dissociazione del singolo dallo stesso, invece non ravvisabili nello specifico;
l’ordinanza custodiale emessa nel presente procedimento si fonda su risultanze investigative successive alla precedente ordinanza custodiale, e comunque non desumibili dagli atti per il Pubblico ministero prima del rinvio a giudizio per i fatti di cui alla prima ordinanza (per i quali la richiesta di giudiz immediato è intervenuta il 23 ottobre 2019), segnatamente le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME.
Attraverso i propri difensori, COGNOME impugna tale decisione, chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi di motivazione.
2.1. Quanto al primo argomento del Tribunale, obietta che quei giudici si siano arrestati al dato formale del tempus cornmissi delicti indicato nel capo d’imputazione ed all’assunto aprioristico della insufficienza della sopravvenuta detenzione ai fini della cessazione della partecipazione ad un’associazione mafiosa, omettendo l’indagine, invece necessaria, sull’esistenza di indici sintomatici del perdurare di tale condotta. In proposito, rileva il ricorso che, per affermazione resa dallo stesso Pubblico ministero nella richiesta di misura cautelare, le indagini si sono fermate a novembre del 2016; che gli elementi di fatto valorizzati dalla seconda ordinanza custodiale sono tutti anteriori a tale data, e comunque all’emissione della prima ordinanza dei 2019; che, dopo di questa, non è emerso alcun contatto del COGNOME con altri presunti associati.
2.2. Riguardo, invece, alla seconda osservazione del Tribunale, il ricorso replica che le dichiarazioni del collaborante COGNOME – come si evince dal fatto di non essere neppure menzionate nell’informativa finale di polizia utilizzata dal Pubblico ministero per la sua richiesta di misura cautelare – rappresentano una parte residuale e non decisiva del compendio indiziario della seconda ordinanza, per il resto sostanzialmente sovrapponibile a quello della pr ma. Peraltro – si aggiunge – le sole dichiarazioni di costui riguardanti la posizione di COGNOME sono quelle dell’8 ottobre 2019, perciò comunque antecedenti alla richiesta di giudizio immediato per i fatti oggetto del precedente provvedimento custodiale: ragione per cui, a tal ultimo momento, gli elementi indizianti da esse eventualmente ricavabili erano già noti al Pubblico ministero ed i relativi fatti di reato già desumibili, per tale autorità giudiziaria, dagli atti a sua disposizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i motivi di ricorso non possono essere ammessi, poiché, se non altro, generici.
Vero è, per quanto riguarda il primo, che, per escludere l’anteriorità del fatto oggetto dell’ordinanza successiva rispetto all’emissione di quella precedente, non basta arrestarsi al dato formale della c.d. “contestazione aperta”, qualora dagli atti del procedimento comunque emergano elementi che consentano di circoscrivere nel tempo la condotta delittuosa oggetto di tale secondo provvedimento custodiale e di ritenerla in realtà esaurita prima che fosse emesso quello precedente.
Non di meno, qualora la condotta delittuosa oggetto del titolo custodiale successivo consista nella partecipazione ad un’associazione mafiosa, la stessa non può considerarsi conclusa al momento dell’intervenuta restrizione in carcere in esecuzione della precedente ordinanza custodiale o per altro eventuale titolo.
Anche i precedenti di legittimità citati dal ricorrente, infatti, rilevano come, in tema di cc.dd. “contestazioni a catena”, la sopravvenuta detenzione dell’indagato per altra causa, determini una semplice presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa: così che, in presenza di specifiche allegazioni difensive di segno contrario, essa rimane valida soltanto se sostenuta da concreti elementi dimostrativi (Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, dep. 2020, Alfano, Rv. 278840; Sez. 1, n. 20135 del 16/12/2020, del:). 2021, Ciancio, Rv. 281283).
Grava, dunque, sull’interessato l’onere di allegare circostanze significative ed ulteriori rispetto al sopraggiungere dello stato detentivo, le quali, invece, nel caso specifico, mancano del tutto, non emergendo né dall’ordinanza impugnata né dal
ricorso. Per converso, COGNOME è descritto dal Tribunale come persona di risalente militanza camorristica e dal ruolo qualificato all’interno di tale organizzazione, essendo stato condannato, quantunque con sentenza ancora non definitiva, come autore di un duplice omicidio e di un tentativo di omicidio negli anni 2002-2004: ed anche tali circostanze, indiscutibilmente significative, non sono avversate dal ricorso.
L’assunto della sua perdurante partecipazione all’associazione anche in epoca successiva alla prima ordinanza custodiale, dunque, si rivela del tutto ragionevole, con conseguente inapplicabilità del meccanismo di retrodatazione di cui al citato art. 297, comma 3.
3. Mancando il presupposto dell’anteriorità del fatto oggetto della seconda ordinanza rispetto alla data della precedente, viene meno la necessità di valutare l’ulteriore requisito della desumibilità dello stesso dagli atti al momento del rinvio a giudizio per i fatti di cui al primo titolo custodiale: desumibilità che – pe giurisprudenza sostanzialmente unanime – non consiste nella mera conoscenza o conoscibilità dei fatti che hanno condotto all’adozione della seconda misura, presupponendo, invece, la sussistenza di una situazione indiziaria di tale gravità e completezza, da legittimare l’adozione della misura cautelare, non potendo invece farsi coincidere con la semplice disponibilità materiale della informativa di reato (tra molte altre, Sez. 6, n. 54452 del 06/11/2018, COGNOME, Rv. 274752; Sez. 6, n. 48565 del 06/10/2016, COGNOME, Rv. 268391; Sez. 3, n. 46158 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 265437; Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, COGNOME, Rv. 253509; Sez. 1, n. 12906 del 17/03/2010, COGNOME, Rv. 246839).
Peraltro, l’onere della dimostrazione dell’esistenza di tale condizione grava sulla parte che invochi l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare (Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, COGNOME, Rv. 263511; Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, COGNOME, Rv. 262577); nello specifico, invece, l’esistenza di un quadro eloquente di gravità indiziaria già a disposizione degli inquirenti è puramente affermata dal ricorrente, che nulla dice sui contenuti delle relative risultanze.
All’inammissibilità del ricorso consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta inconsistenza delle doglianze, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2023.