Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20647 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20647 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
u. 2025
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Messina il 27/07/1983, avverso l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Messina del 19/09/202, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; 1i
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19 settembre 2024 Il Tribunale della Libertà di Messina ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, il 26 giugno 2024, aveva respinto la richiesta di declaratoria di inefficacia della misura della custodia cautelare in carcere applicata all’odierno ricorrente a mente dell’art. 297, comma 3, cod.proc.pen..
COGNOME ha proposto, a mezzo di difensore di fiducia, tempestivo ricorso affidato ad un unico motivo con cui si deduce, ex art. 606, comma 1, lett b),
cod.proc.pen., violazione degli artt. 274, 275 e 297, comma 3, cod.proc.pen., in relazione agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90.
Nel presente procedimento il ricorrente è sottoposto alla misura cautelare di massimo rigore in relazione ai reati di cui agli artt. 73 d.P.R. 309/90 (capi 69, 71, e 73) e 74 d.P.R. 309/90 (capo 1), commessi in un arco temporale riconnpreso tra il mese di aprile 2022 e il 17 dicembre 2022 (data del reato di cui al capo 73).
Alla esecuzione della misura disposta nel presente procedimento -26 giugno 2024- l’odierno ricorrente era già sottoposto a misura cautelare, in forza di ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Messina, emessa, nell’ambito di altro procedimento pendente presso quell’ufficio, in relazione al reato, di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, commesso in Rometta il 17 dicembre 2022, íd est quello contestato al capo 73 dell’odierno procedimento.
Assume la difesa l’erroneità e contrarietà con i principi giuridici che regolano la materia e, precisamente, l’art. 297, comma 3, cod proc pen del disposto del Tribunale della Libertà messinese che ha negato la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare da ultimo disposta -26 giugno 2024- al momento di applicazione della prima misura -17 dicembre 2022- perché «Nel caso di specie, l’informativa finale, in ordine ai fatti per i quali è stato emesso il secondo titol custodiale, è stata depositata il 23.03.2023 e, quindi, tre mesi dopo l’applicazione della prima ordinanza, intervenuta a seguito di arresto in flagranza, quando non sussisteva altro elemento per poter anche solo ipotizzare il coinvolgimento dello COGNOME negli episodi, quantunque commessi in precedenza, contestati con la seconda ordinanza».
Dalla data dell’arresto -17 dicembre 2022- COGNOME avrebbe reciso ogni legame con l’associazione oggetto di successiva contestazione, i fatti di cui alla seconda ordinanza sono stati commessi precedentemente alla emissione della prima, ed erano pacificamente desumibili prima dell’emissione del decreto di giudizio immediato per i fatti della prima ordinanza, poiché a disposizione del pubblico ministero già in epoca antecedente all’arresto i flagranza dell’odierno ricorrente del 17 dicembre 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. La custodia cautelare in relazione ai reati di cui agli artt. 73 d.P.R. 309/90 (capi 69, 71, e 73) e 74 d.P.R. 309/90 (capo 1), commessi in un arco temporale ricompreso tra il mese di aprile 2022 e il 17 dicembre 2022 (data del reato di cui al capo 73), è stata applicata con ordinanza del 26 giugno 2024, quando era già ed ancora in atto la misura disposta, in relazione al reato, di cui all’odierno capo
73 di contestazione, in relazione all’art. 73 d.P.R. 309/90, commesso il 17 dicembre 2022, data in cui l’odierno ricorrente è stato arrestato nella flagranza di reato.
Non v’è dubbio che tutti i fatti contestati con la seconda ordinanza erano stati consumati in epoca antecendente alla emissione della prima ordinanza e del rinvio a giudizio del ricorrente.
2. Il Tribunale ha qualificato come generica la deduzione difensiva secondo cui l’informativa del 23 marzo 2023, fondante le contestazioni nel presente procedimento, fosse meramente riepilogativa delle emergenze indiziarie già presenti alla data del 17 dicembre 2022, senza fornire argomenti ed elementi di prova a sostegno dell’assunto secondo cui, al momento dell’arresto in flagranza dello COGNOME gli inquirenti fossero venuti in possesso degli elementi indiziari dei fatti cronologicamente antecedenti relativi alla seconda ordinanza ed in forza dei quali è stata ritenuta la sua qualificata partecipazione al sodalizio di cui al capo 1. Richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di “contestazione a catena” e, in particolare, della necessaria desumibilità, sin dalla prima ordinanza cautelare, degli elementi idonei a giustificare l’applicazione della seconda, il Tribunale afferma
-che l’informativa finale in ordine ai fatti per cui è stato emesso il secondo titolo custodiale è stata depositata il 23 marzo 2023, tre mesi dopo l’applicazione della prima ordinanza;
-che al 17 febbraio 2022 non sussisteva elemento alcuno per potere anche solo ipotizzare il coinvolgimento dello COGNOME negli episodi pregressi, di poi contestati con la seconda ordinanza;
-che non può assumere rilevanza la circostanza che le condotte oggetto della seconda ordinanza siano state oggetto di captazione nel corso delle intercettazioni autorizzate in epoca antecendete all’arresto in flagranza, sulla scorta dell’ipotesi, investigativa, dell’esistenza dell’associazione di cui al capo 1) di contestazione nel presente procedimento;
-che ai fini dell’autorizzabilità delle attività di intercettazione per re associativi sono richiesti «sufficienti» e non «gravi» indizi di colpevolezza, da cui la illogicità dell’accostamento dell’avvio di tali operazioni alla desumibilità dagli att dei gravi indizi di colpevolezza della partecipazione dell’odierno ricorrente al sodalizio de quo;
-che in caso di procedimento pendente, come nella specie, per reati associativi l’attività intercettativa, strumento di acquisizione della prova, può comportare tempi di indagine lunghi, nel coso dei quali singole operazioni di arresto o sequestro costituiscono, solo, «singoli tasselli la cui riconducibilità al programma delinquenziale necessita di una verifica complessiva dell’intero materiale acquisito
che deve necessariamente avvenire ex post, soprattutto in assenza di una informativa riepilogativa che compendi le emergenze investigative.
3. Ai fini della retrodatazione dei termini di durata della misura cautelare disposta o notificata nei confronti della stessa persona successivamente ad un’altra (valga ex multis Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020 Cc. (dep. 06/07/2020 ) Rv. 279291 – 01, per la completa ricognizione delle fonti e la puntuale ricostruzione dell’istituo) devono ricorrere i seguenti presupposti: l’identità del fatto (ipotesi qu non sussistente), oppure, in caso di reati diversi occorre che a)il diverso reato oggetto della seconda ordinanza sia stato interamente consumato in epoca anteriore alla prima; b) il reato è stato commesso: i) con la medesima azione od omissione con cui è stato commesso il primo (concorso formale);oppure ii) in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (continuazione); oppure ancora iii) per eseguire il primo reato (connessione teleologica).
In questi casi, la retrodatazione degli effetti della seconda ordinanza: i) opera automaticamente, se emessa nell’ambito del medesimo procedimento (salva la prova della connessione qualificata); li) è subordinata alla prova della desumibilità dagli atti alla data del rinvio a giudizio, se emessa in procedimento diverso.
I fatti, tra loro diversi e non legati da un rapporto di connessione qualificata, non devono essere desumibili dagli atti già al momento della adozione della prima ordinanza, anche se emessa in procedimento diverso purché pendente dinanzi allo stesso ufficio giudiziario.
Non osta alla applicazione della retrodatazione il fatto che per i reati oggetto della prima ordinanza sia intervenuta condanna irrevocabile anteriormente alla emissione della seconda.
Della sussistenza di tali fatti (connessione qualificata e desumibilità dagli atti) è necessaria la prova (art. 187, comma 2, cod. proc. pen.), della quale deve farsi carico la parte che nel procedimento invoca l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare (Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, Rv. 263511; Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, Rv. 262577; Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013, Rv. 257827).
La relativa decisione può essere sindacata in sede di legittimità nei limiti stabiliti dall’art. 606, cod. proc. pen..
Va, poi, ricordato che in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, l’accertamento dell’esistenza della connessione qualificata e della “desumibilità dagli atti” costituisce apprezzamento riservato, quanto alla valutazione del materiale probatorio o indiziario, al giudice di merito, che deve adeguatamente e logicamente motivare il proprio convincimento (tra le altre, Sez. 4, n. 9990 del 18/01/2010, Napolitano, Rv. 246798).
Ai fini della “desumibilità dagli atti”: a) il fatto storico oggetto di contestazion non va confuso con la prova dello stesso; b) non è sufficiente la mera notizia del fatto-reato, essendo indispensabile che sussista il quadro legittimante l’adozione della misura cautelare sin dall’epoca dell’emissione della prima; c) non è nemmeno sufficiente che l’ordinanza emessa successivamente si fondi su elementi già presenti nel primo, perché in molti casi gli elementi probatori non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato.
4. Non può prescindersi dalla considerazione secondo cui della sussistenza delle condizioni per l’operatività della retrodatazione è necessaria la prova (art. 187, comma 2, cod. proc. pen.), della quale deve farsi carico la parte che nel procedimento ne invoca l’applicazione (Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, Rv. 263511; Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, Rv. 262577; Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013, Rv. 257827), prova nella specie non fornita dall’odierno ricorrente. Il ricorso invero si connota per genericità e indeterminatezza della censura proprio sotto il profilo della desumibilità in concreto del reato della seconda ordinanza già al momento dell’arresto in flagranza.
Non vengono cioè evidenziati passi delle annotazioni di polizia giudiziaria o specifici elementi indiziari che consentano di apprezzare la doglianza rispetto alla motivazione dell’ordinanza impugnata. Mentre, come anticipato, è certamente onere del ricorrente fornire adeguati elementi valutativi per riconoscere la desumibilità della conoscenza, non essendo sufficiente un generico richiamo alle intercettazioni telefoniche, tenendo conto che per esse in tema di reati associativi vige il principio della sufficienza degli indizi, ossia di un compendio indiziario non sufficiente di per sé per richiedere una misura cautelare e come tale quindi non idoneo a costituire materiale conoscitivo da cui desumere la sussistenza dei gravi indizi del reato di cui alla seconda ordinanza.
Nell’ordinanza cautelare genetica sono invero elencate conversazioni con altri sodali antecedenti all’arresto del ricorrente, che evidenziano come l’ordinanza impugnata si sia fondata nella motivazione proprio su una rilettura complessiva e ragionata di atti, non desumibili dal compendio presente in sede di emissione della prima ordinanza cautelare e, seppure presenti a quel momento, tuttavia non desumibili dal pubblico ministero se non dopo il deposito della annotazione riepilogativa di tutte le vicende, avvenuta il 23 marzo 2023.
Sul punto giova richiamare, a conferma della reiterata, recente affermazione dei principi già affermati da questa Corte, l’ultima Sez. 4, n. 16343 del 29/03/2023 Cc. (dep. 18/04/2023 ) Rv. 284464 – 01 “In tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di “anteriore desunnibilità”, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, richiede che, al momento del
rinvio a giudizio nel primo procedimento, l’autorità giudiziaria sia in grado di desumere, e non solo di conoscere, la specifica significanza processuale, intesa
come idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare, degli elementi relativi al reato sul quale si fonda l’adozione del successivo provvedimento cautelare per
reato connesso, il cui compendio indiziario deve manifestare già la propria portata dimostrativa e non richiedere ulteriori indagini o elaborazione degli elementi
probatori acquisiti, che rendano necessaria la separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato connesso.
L’ordinanza del Tribunale del riesame di Messina, correttamente, e procedendo con motivazione persuasiva in ordine alla verifica e superamento delle
obiezioni mosse all’ordinanza genetica, ha puntualmente indicato il percorso logico motivazionale in ordine al fatto che il compendio indiziario -che ha portato
il pubblico ministero a formulare la seconda richiesta- fosse connotato da un quadro di novità e gravità indiziaria non già desumibile al momento della prima
richiesta e applicazione della misura.
Il quadro conoscitivo derivante da una rilettura sistematica e complessiva delle acquisizioni investigative è stato fornito solo con la comunicazione di reato conclusiva, depositata successivamente all’esecuzione della prima ordinanza.
Solo nella suddetta informativa erano valorizzati in termini di gravità indiziaria elementi ulteriori a carico del ricorrente quale intraneo del sodalizio, di cui l’arresto in flagranza costituiva un riscontro.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod.proc.pen..
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2025
La C2 sidiera est.
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Il Presidente