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Retrodatazione custodia cautelare: quando si applica?

Un soggetto, già detenuto, riceve una seconda ordinanza di custodia cautelare per reati commessi in precedenza. Richiede la retrodatazione dei termini della seconda misura, sostenendo che gli indizi fossero già desumibili al momento del primo arresto. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che per la retrodatazione della custodia cautelare è necessaria la prova, a carico del richiedente, che gli elementi a fondamento della seconda misura fossero chiaramente e concretamente ricavabili dagli atti già al momento dell’emissione della prima. Una generica indicazione non è sufficiente.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Custodia Cautelare: Quando i Termini Partono dal Passato?

La retrodatazione della custodia cautelare è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale, previsto per garantire che una persona non rimanga in stato di detenzione oltre i termini massimi previsti dalla legge, specialmente in casi di procedimenti connessi. Con la sentenza in commento (n. 20647/2025), la Corte di Cassazione torna a precisare i confini applicativi di questo principio, sottolineando l’importanza della “desumibilità” degli indizi e l’onere della prova a carico di chi la richiede. Analizziamo insieme la decisione per capire le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un soggetto che, già sottoposto a custodia cautelare in carcere per un reato di spaccio commesso il 17 dicembre 2022 (a seguito di arresto in flagranza), riceve una seconda ordinanza cautelare il 26 giugno 2024. Questa nuova misura si riferisce a reati più gravi, tra cui l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, commessi in un arco temporale precedente al suo arresto (aprile 2022 – dicembre 2022).

La difesa del ricorrente presenta appello al Tribunale della Libertà, chiedendo di retrodatare la decorrenza dei termini della seconda misura al 17 dicembre 2022, data di inizio della prima. La tesi difensiva si fonda sull’assunto che gli elementi indiziari relativi ai reati associativi fossero già “desumibili” dagli atti di indagine al momento del primo arresto, in quanto basati su intercettazioni antecedenti.

La questione giuridica: quando scatta la retrodatazione della custodia cautelare?

Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 297, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, in caso di più ordinanze cautelari per fatti diversi ma connessi, i termini di durata della misura decorrono dal giorno in cui è stata eseguita la prima, a condizione che gli indizi relativi ai reati successivi fossero già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima ordinanza.

Il ricorrente sosteneva che la Procura avesse a disposizione tutti gli elementi per contestare anche il reato associativo fin dal primo momento. Tuttavia, sia il Tribunale della Libertà prima, sia la Corte di Cassazione poi, hanno rigettato questa ricostruzione, evidenziando come la semplice esistenza di materiale investigativo non equivalga alla sua immediata e chiara “desumibilità” in termini di gravità indiziaria.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo generico e manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno ribadito principi consolidati in materia, offrendo chiarimenti cruciali.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che la “desumibilità dagli atti” non va confusa con la mera esistenza di una notizia di reato o con la disponibilità di materiale grezzo, come le registrazioni delle intercettazioni. È indispensabile, invece, che già al momento della prima ordinanza esistesse un quadro indiziario sufficientemente grave e definito da giustificare l’adozione di una misura cautelare anche per i reati contestati successivamente. Nel caso di specie, la visione d’insieme e la valorizzazione dei singoli elementi in un quadro di gravità indiziaria per il reato associativo si sono concretizzate solo con il deposito di un’informativa di reato conclusiva, avvenuto tre mesi dopo il primo arresto.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per la retrodatazione spetta al ricorrente. Quest’ultimo non può limitarsi a un generico riferimento agli atti di indagine, ma deve indicare specificamente quali elementi concreti, già disponibili al momento della prima misura, avrebbero dovuto condurre a una contestazione immediata anche per i reati successivi. Il ricorso è stato giudicato carente sotto questo profilo, non avendo fornito elementi specifici a supporto della doglianza.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio di rigore procedurale: la retrodatazione non è un automatismo. Per attivarla, è necessario che la difesa fornisca una prova concreta e puntuale che gli indizi gravi fossero non solo presenti, ma anche chiaramente leggibili e interpretabili dagli inquirenti fin dal primo provvedimento restrittivo. Questa decisione serve a bilanciare il favor libertatis con le esigenze investigative, specialmente in procedimenti complessi come quelli per reati associativi, dove la ricostruzione del quadro probatorio richiede spesso tempi più lunghi e un’analisi complessiva del materiale raccolto.

Quando si può richiedere la retrodatazione della custodia cautelare per reati diversi?
La retrodatazione si può richiedere quando i reati, sebbene diversi, sono legati da un rapporto di connessione qualificata (es. concorso formale, continuazione, connessione teleologica) e, soprattutto, quando gli elementi indiziari relativi al secondo reato erano già concretamente desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare.

A chi spetta l’onere di provare la “desumibilità” degli indizi per ottenere la retrodatazione?
L’onere della prova spetta alla parte che invoca l’applicazione della retrodatazione, ovvero all’indagato/imputato. Non è sufficiente un generico richiamo agli atti, ma è necessario fornire elementi specifici e adeguati per dimostrare che gli indizi erano già conoscibili e valutabili al momento della prima misura.

La semplice esistenza di intercettazioni relative a fatti pregressi è sufficiente a dimostrare la “desumibilità” ai fini della retrodatazione?
No. La Corte chiarisce che la mera esistenza di materiale investigativo, come le intercettazioni, non è di per sé sufficiente. È necessario che da tale materiale emergesse già, al momento della prima ordinanza, un quadro indiziario grave, idoneo a giustificare una misura cautelare. Spesso, la piena comprensione del significato di tali elementi richiede una rilettura complessiva e ragionata che avviene solo in un momento successivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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