Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23277 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23277 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 3.1.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 3.1.2024, il Tribunale di Palermo ha respinto l’appello che era stato proposto nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento del GIP del capoluogo siculo con il quale era stata disattesa l’istanza di retrodatazione della decorrenza della misura custodiale del 3.7.2023 (eseguita il giorno 12.7.2023) emessa in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., alla data di emissione di quella del 16.11.2022, adottata per il delitto di cui all’art. DPR 309 del 1990, con conseguente scarcerazione dell’indagato per decorrenza del termine di fase;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce, con un unico motivo, vizio di motivazione in relazione agli artt. 416-bis, 416-bis.1 cod. pen., 74 DPR 309 del 1990, 273, comma terzo, cod. proc. pen., 12, lett. b), cod. proc. pen.: richiama in primo luogo le imputazioni provvisoriamente elevate nei confronti del ricorrente nell’ambito dei due diversi procedimenti nel cui contesto erano state rese le due ordinanze cautelari del 16.11.2022 e del 12.7.2023, segnalando che tra di esse era certamente ravvisabile una connessione qualificata e che i fatti oggetto del secondo provvedimento erano desumibili dagli atti che avevano giustificato la adozione del primo; evidenzia come il Tribunale non abbia considerato che tutti gli elementi acquisiti a carico del COGNOME erano disponibili al 12.7.2022 (data della informativa conclusiva) e che era questo il dato da valorizzare rispetto a quello, meramente formale, della contestazione e che, anche prescindendo dal dato relativo alla esclusione dell’aggravante “mafiosa” sul delitto di cui all’art. 74 DPR 309 del 1990, dalla stessa prospettazione accusatoria, il ruolo del COGNOME in seno all’associazione dedita al traffico di stupefacenti e speculare rispetto a quello tenuto in seno al sodalizio di stampo mafioso, che avrebbe operato nel medesimo contesto temporale; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: segnala che il provvedimento impugnato ha reso una motivazione conforme ai consolidati arresti della giurisprudenza di legittimità, sia per quanto riguarda la permanenza del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. in assenza di allegazioni in fatto sulla recisione del vincolo che, per altro verso, in relazione al rapporto esistente tra due fattispecie associative ed alla assenza di un rapporto di connessione qualificata.
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate.
È sufficiente, infatti, rilevare che la prima contestazione aveva avuto riguardo a fatti di associazione a delinquere finalizzati al traffico di stupefacent commesso dal giugno del 2019 sino ael’ottobre del 2020, mentre la seconda
contestazione relativa a fatti di associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsione aggravata per fatti commessi dall’8.12.2017 con permanenza sino alla attualità.
La necessità di “retrodatare” la decorrenza della seconda misura alla data di adozione della prima era stata fondata, dalla difesa, sul rapporto di connessione qualificata ritenuto ravvisabile tra i due reati e, per altro verso, sulla desumibili degli elementi fondanti la gravità indiziaria per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, da quelli già acquisiti all’atto della adozione del primo provvedimento cautelare e, comunque, disponibili ben prima della richiesta di rinvio a giudizio e della ammissione del giudizio abbreviato.
5. L’art. 297 comma terzo cod. proc. pen. ha codificato la regula iurís, frutto della giurisprudenza formatasi sotto la vigenza del codice previgente, con la quale era stata individuata una deroga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare, all’evidente fine di evitare il fenomeno della dilatazione dei tempi della “carcerazione provvisoria” mediante l’emissione, in momenti diversi, nei confronti della stessa persona, di più provvedimenti coercitivi concernenti il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, ovvero riguardanti fatti di reato diversi ma connessi tra loro.
La disposizione codicistica è stata oggetto di diversi interventi sia da parte del legislatore che del giudice RAGIONE_SOCIALE leggi > finendo per tratteggiare tre diverse ipotesi di “retrodatazione” tutte, comunque, caratterizzate dal presupposto comune rappresentato dal fatto che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi antecedentemente alla data emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore.
6. Il Tribunale (cfr., pag. 4 del provvedimento impugnato) ha confermato il provvedimento del GIP sull’assorbente rilievo della assenza di tale presupposto alla luce della contestazione operata con riguardo al reato associativo di stampo mafioso e che è “aperta” sino al luglio del 2023; in tal modo si è correttamente conformato al principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui,la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva, e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con formula “aperta”, che indichi la permanenza del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della
permanenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza (cfr., ad esempio, Sez. 2 , n. 16595 del 06/05/2020, COGNOME, Rv. 279222 – 01; Sez. 6 – , n. 52015 del 17/10/2018, COGNOME, Rv. 274511 COGNOME -01; Sez. 6, n. 15821 del 03/04/2014, COGNOME COGNOME, Rv. 259771 01; Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, COGNOME, Rv. 253237 01; Sez. 2, n. 34576 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 245256 – 01, in continuità Sez. U, n. 14535 del 10/04/2007, COGNOME, Rv. 235910-01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 9.5.2024