Retrodatazione custodia cautelare: la Cassazione chiarisce i limiti
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 3440/2025) offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione della retrodatazione custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale. Questo principio consente, a determinate condizioni, di far decorrere i termini di una misura cautelare da una data precedente, legata a un altro provvedimento restrittivo. La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso di un indagato, ha ribadito che la semplice sovrapposizione di alcuni elementi di prova non è sufficiente a giustificare la retrodatazione, specialmente quando le nuove accuse derivano da un’attività investigativa complessa e autonoma.
I Fatti del Caso
Il ricorrente, già detenuto in base a una prima ordinanza di custodia cautelare per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), si vedeva notificare un secondo provvedimento restrittivo per lo stesso titolo di reato, sebbene riferito a condotte partecipative diverse e basato su un’indagine più ampia. La difesa sosteneva che la piattaforma indiziaria della seconda ordinanza, fondata sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e su intercettazioni, fosse in realtà già disponibile all’autorità giudiziaria al momento dell’emissione del decreto di giudizio immediato relativo al primo procedimento. Di conseguenza, chiedeva che i termini della seconda misura cautelare venissero retrodatati, facendoli coincidere con quelli della prima, con conseguente scarcerazione per decorrenza dei termini.
Sia il Giudice per le indagini preliminari che il Tribunale del Riesame avevano rigettato la richiesta, ritenendo che le condizioni per la retrodatazione non fossero soddisfatte.
La Decisione della Corte e la retrodatazione custodia cautelare
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La Corte ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati che governano l’istituto della retrodatazione custodia cautelare.
Il punto centrale della questione non è la mera conoscenza di alcuni fatti, ma il momento in cui tali fatti acquisiscono una “specifica significanza processuale”, ovvero quando si consolidano in un quadro di gravità indiziaria idoneo a giustificare l’adozione di una misura cautelare. L’appello del ricorrente è stato inoltre giudicato generico, poiché non specificava in modo dettagliato quali elementi probatori fossero effettivamente sovrapponibili e già pienamente valutabili nel primo procedimento.
Le Motivazioni della Sentenza
La motivazione della Suprema Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’art. 297, comma 3, c.p.p. e del concetto di “desumibilità dagli atti”.
1. Significato di “Desumibilità dagli Atti”: Per la Corte, non basta che alcuni elementi (come il nome di un soggetto o un’intercettazione) siano presenti negli atti del primo procedimento. È necessario che da tali atti emerga un quadro indiziario grave, completo e sufficiente a giustificare una nuova misura cautelare per i nuovi fatti contestati. Una semplice conoscibilità potenziale non è equiparabile a una piena valutazione processuale.
2. La Complessità dell’Indagine: I giudici hanno valorizzato la circostanza che la seconda ordinanza scaturiva da un’indagine molto più complessa, che coinvolgeva più clan mafiosi, narcotraffico e reati di estorsione. L’informativa di reato (CNR) che riassumeva queste indagini era stata depositata solo dopo l’emissione del giudizio immediato nel primo procedimento. Questo ha implicato la necessità di un “complesso approfondimento cognitivo” e di una “valutazione globale del relativo contesto criminale” che non poteva essere stata effettuata in precedenza.
3. Autonomia delle Valutazioni: Di conseguenza, anche se alcuni elementi probatori erano parzialmente sovrapponibili, il loro pieno significato criminale è emerso solo al termine della seconda, più articolata, attività investigativa. Questo ha legittimato l’emissione di una nuova ordinanza con termini di custodia autonomi, senza che si potesse applicare la retrodatazione.
Le Conclusioni
La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la retrodatazione dei termini non è un automatismo. La sua applicazione richiede una rigorosa verifica della piena “desumibilità” del quadro indiziario relativo ai nuovi fatti dagli atti del procedimento precedente. Quando le nuove accuse sono il risultato di un’indagine complessa e la cui valutazione globale matura solo in un secondo momento, i termini di custodia cautelare decorrono autonomamente. Questa decisione sottolinea l’importanza, per la difesa, di articolare ricorsi specifici e dettagliati, che dimostrino non solo la presenza di prove sovrapponibili, ma anche la loro completa e autonoma significanza processuale già al tempo del primo procedimento.
Quando si applica la retrodatazione dei termini di custodia cautelare tra procedimenti diversi?
La retrodatazione si applica, ai sensi dell’art. 297, comma 3, c.p.p., quando vengono emesse più ordinanze di custodia cautelare in procedimenti diversi per fatti diversi ma connessi, a condizione che i fatti della seconda ordinanza fossero già “desumibili dagli atti” prima del rinvio a giudizio nel primo procedimento.
Cosa significa che i fatti devono essere “desumibili dagli atti” per la retrodatazione?
Significa che non è sufficiente la semplice conoscenza di alcuni eventi, ma è necessaria la sussistenza di una situazione di gravità indiziaria già chiara e definita, tale da giustificare di per sé l’adozione di una misura cautelare. L’informazione deve avere una “specifica significanza processuale”.
Perché la Cassazione ha respinto il ricorso in questo caso specifico?
La Corte lo ha respinto perché la base probatoria della seconda ordinanza, pur avendo elementi in comune con la prima, derivava da un’indagine complessa e autonoma, la cui sintesi (CNR) era stata depositata solo dopo l’emissione del giudizio immediato nel primo procedimento. Mancava quindi una piena “desumibilità” del quadro accusatorio completo al momento rilevante, e il ricorso è stato inoltre ritenuto troppo generico nel non specificare puntualmente gli elementi a sostegno della richiesta.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3440 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3440 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TAORMINA il 24/11/1973
avverso l’ordinanza del 02/07/2020 del TRIB. LIBERTA’ di Catania
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMEf:a&I.Lesa o lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi infondato il ricorso
lette le conclusioni inviate tramite “pec” dal difensore del ricorrente, che ha ribadito l fondatezza delle censure esposte dal ricorso replicando al contempo alle conclusioni prospettate dalla parte pubblica
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che con l’ordinanza descritta in epigrafe il Tribunale di Catania, quale giudice dell’appello cautelare, ha rigettato il gravame proposto dalla-difesa di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale locale che ha respinto la richiesta di revoca della custodia cautelare applicata al COGNOME, gravemente indiziato del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., rivendicata dalla difesa sul presupposto della ritenuta applicabilità alla specie della retrodatazione dei termini di custodia ex art. 297 cod. proc. pen. a far tempo dalla ordinanza cautelare resa il 26 maggio 2020 in altro procedimento parimenti promosso ai danni del COGNOME, con riguardo al medesimo titolo di reato ( seppure riferito a condotte partecipative realizzate sino al novembre 2018) e sulla base di una identica piattaforma indiziaria (le dichiarazioni del collaborante Porto e le operazioni di intercettazione), già presente, secondo l’assunto difensivo, alla data del decreto di giudizio immediato reso nel giudizio conseguente alla prima ordinanza;
rilevato che il principio espresso nell’ordinanza genetica, confermato dal Tribunale del riesame, ribadisce indicazioni interpretative consolidate ‘nella esperienza di questa
Corte in forza delle quali, quando, come nella specie, nei confronti di un medesimo soggetto, risultino emesse, in procedimenti diversi, più ordinanze di custodia cautelare per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza, con la precisazione che per «desumibilità dagli atti» si intende la sussistenza di una situazione di gravità indiziaria idonea a giustificare l’adozione di una misura cautelare, non bastando al fine la semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali ma occorrendo, piuttosto, una condizione di conoscenza che abbia una «specifica significanza processuale»;
ritenuto che nel caso il provvedimento impugnato ha per un verso messo in rilievo che la CNR sulla base della quale è stato richiesto il secondo provvedimento cautelare è stata depositata dopo la prima ordinanza restrittiva e dopo il decreto di giudizio immediato correlato ai fatti portati da tale ordinanza e che la stessa – inerente ad una complessa attività di indagine (riguardante più clan di matrice mafiosa, una associazione finalizzata al narcotraffico, fatti di estorsione e di intestazione fittizia) dipanatasi ben ol la data di emissione del decreto di giudizio immediato relativo al processo inerente al primo titolo cautelare- necessitava, per forza di cose, un complesso approfondimento cognitivo che, anche per il reato ascritto al ricorrente, impbneva, in capo all’autorità procedente, una valutazione globale del relativo contesto criminale, tale da legittimare comunque l’indifferenza di una parziale sovrapponibilità dei momenti indiziari valorizzati dai due interventi cautelari;
ritenuto che una siffatta valutazione di merito, così argomentata, oltre che corretta giuridicamente non merita censure prospettabili in questa sede, vieppiù considerando il portato generico dei rilievi prospettati dal ricorso, che replicano quelli articolati nel merit senza peraltro mai dettagliare, con puntuali indicazioni, il tenore dei fatti e gli elementi indiziari posti a fondamento della seconda iniziativa cautelare che si mira a retrodatare, impedendo così a monte alla Corte di dare contenuti effettivi alla rivendicata sovrapponibilità dei momenti di indagine valorizzati a sostegno dei due interventi cautelari ;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al sagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 16/12/2024
Il Consigliere estensore
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Il Pr sidente
COGNOME
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