Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45437 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45437 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Cosenza il 01/01/1973
avverso la ordinanza del 04/06/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che l’ordinanza impugnata sia annullata con rinvio;
lette le conclusioni del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Catanzaro confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 17 aprile 2024, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare carceraria in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. (capo 1).
Secondo l’imputazione provvisoria, l’indagato avrebbe fatto parte di un sodalizio dedito al narcotraffico, occupandosi della commercializzazione dello stupefacente sotto le direttive di NOME COGNOME.
Tale gruppo si inseriva nel più ampio sodalizio criminale mafioso operante nel territorio del cosentino, del quale era stato ritenuto partecipe lo stesso indagato, con precedente ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 2 agosto 2022.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, Avv. NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Vizio di motivazione in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
La difesa aveva sollevato in sede di riesame la questione della retrodatazione della misura cautelare da ultimo applicata rispetto ad altra del 2 agosto 2022 emessa in altro procedimento (c.d. Reset) dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale.
Nel primo procedimento la misura cautelare riguardava il reato associativo mafioso, vari reati di estorsione e di usura.
Secondo il Tribunale, nell’altro procedimento non era emersa dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME una struttura associativa, ma soltanto un rapporto bilaterale tra il ricorrente e il COGNOME, qualificabile ai sensi deg artt. 110 cod. peri. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Peraltro, le medesime dichiarazioni nel presente procedimento sono valorizzate anche per la contestazione del reato associativo di cui al capo 1).
Altro elemento ritenuto ostativo alla retrodatazione è la mancanza di evidenza della partecipazione del ricorrente al sodalizio dedito al narcotraffìco dagli atti dell prima ordinanza, in quanto gli indizi per la nuova contestazione sarebbero basati sulla “rielaborazione” di un vasto, complesso e variegato compendio indiziario. Peraltro, si trattava dei medesimi atti del procedimento “Reset” ovvero di elementi già sussistenti alla data dell’emissione della prima ordinanza cautelare
Già dalla richiesta cautelare del procedimento “Reset” era emerso che il gruppo di COGNOME fosse operante anche nel settore del narcotraffico e il ricorrente era stato descritto come colui che si occupava “per conto del gruppo” di attuare le trattative nel settore del narcotraffico (richiamando a tal fine talun captazioni e le propalazioni di NOME COGNOME).
D’altra parte, nella richiesta cautelare del presente procedimento lo stesso P.M. dava atto che le estorsioni già contestate al ricorrente nel procedimento “Reset” si inserivano nell’ambito dello spaccio di stupefacenti operato dagli uomini
di COGNOME emergente dagli atti del procedimento “Reset”; così come per altri episodi rivelatori del suddetto traffico.
I fatti contestati con la secondo ordinanza sono tutti commessi in data anteriore al 2 agosto 2022 e, anche a volerli ritenere “diversi” da quelli oggetto della prima ordinanza cautelare, erano comunque desumibili dagli atti nella disponibilità della stessa Procura distrettuale.
2.2. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 292, 309, 125, 273 e 274 cod. proc. pen.
Il Tribunale, con motivazione viziata, ha respinto l’eccezione difensiva di mancanza nell’ordinanza genetica di una autonoma valutazione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari.
Il Giudice per le indagini preliminari ha infatti affrontato in soli due mesi l posizione di 160 indagati, dedicando alla posizione del ricorrente solo una breve e superficiale analisi, dopo aver pedissequamente replicato la richiesta cautelare.
Sono riportati i passaggi più significativi a dimostrazione della mancanza sugli indizi di una valutazione autonoma e critica del materiale investigativo.
Medesima carenza è riscontrabile per le esigenze cautelari, dove viepiù erano affrontate cumulativamente le varie posizioni degli indagati.
Il Tribunale ha illogicamente ritenuto generico il motivo della difesa e ha respinto l’eccezione non rendendosi conto che quelli che aveva ritenuto passaggi valutativi non erano altro che il copia-incolla della mozione cautelare.
Né poteva dimostrare la autonoma valutazione il rigetto della misura per altre posizioni.
Il Tribunale ha quindi proceduto illegittimamente ad integrare i vuoti motivazionali del primo giudice.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e 273 cod. proc. pen.
In modo contraddittorio, il Tribunale ha ravvisato i gravi indizi di colpevolezza nel materiale investigativo che ha invece ritenuto non indiziante ai fini della dedotta retrodatazione.
In ogni caso, non vi sono gravi indizi della sussistenza dell’aggravante mafiosa, posto che sull’esistenza della stessa associazione mafiosa difetta un provvedimento giudiziario di accertamento definitivo.
Difetta anche la gravità indiziaria per la partecipazione al sodalizio criminale, in quanto non vi sono indizi certi, gravi e univoci dell’approvvigionamento di stupefacente per conto del gruppo confederato “COGNOME” né, in via eventuale, dell’adesione materiale e della stabile disponibilità del ricorrente a contribuire attivamente alla vita dell’associazione.
Il solo rapporto con COGNOME, valorizzato dai giudici della cautela, non dimostrava l’adesione consapevole del ricorrente al gruppo da questi promosso e comunque la mera sua presenza fisica in determinate situazioni si giustificava anche con i rapporti di parentela (la sorella del ricorrente è sposata con il cugino del COGNOME).
Le dichiarazioni di COGNOME erano inoltre generiche e superficiali e comunque non riscontrate.
In ogni caso, dagli atti emerge che già dalla fine del 2019 il ricorrente si era allontanato in modo netto dai soggetti individuati come sodali dell’associazione in esame (vittima di estorsione ed usura ad opera degli stessi membri del gruppo per un debito contratto con il COGNOME, a dispetto del ruolo di uomo fiduciario del gruppo) e la sua presunta adesione sarebbe comunque durata per breve tempo.
2.4. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e 274 cod. proc. pen.
Quanto alle esigenze cautelari è evidente per quanto sopra osservato che la condotta illecita del ricorrente sia datata nel tempo e le motivazioni del Tribunale sono carenti.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate, ritenendo fondato il primo motivo di ricorso.
Anche la difesa del ricorrente ha presentato conclusioni scritte con una memoria di replica, con la quale ha ribadito la fondatezza dei vizi sollevati con il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni e nei termini di seguito illustrati.
Il primo motivo va accolto.
2.1. E’ utile rammentare i principi di diritto in tema di deducibilità del retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare in sede di riesame.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) deducibilltà
dall’ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549).
Per effetto dell’intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 293 del 2013), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 309 cod. proc. pen. in quanto interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall’art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare impugnata – anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, oltre al requisito di cui alla lettera sopra indicato, sia onere della parte, che invoca la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare in sede di riesame, provare le altre condizioni richieste per la retrodatazione (tra tante, Sez. 2, Sentenza n. 6374 del 28/01/2015, Rv. 262577).
Quanto alle altre condizioni perché si faccia luogo alla retrodatazione, è sufficiente richiamare gli arresti delle Sezioni Unite di questa Corte che hanno chiarito i requisiti richiesti per far luogo alla retrodatazione della decorrenza de termini di durata massima delle misure cautelari in caso di ordinanze emesse in procedimenti diversi:
la anteriorità dei fatti, oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910, in tale arresto la Suprema Corte ha precisato che tale requisito non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza);
la desumibilità dei fatti della seconda ordinanza dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza in caso di connessione qualificata, ovvero, quando tale connessione non sussista, la desumibilità degli elementi giustificativi della seconda ordinanza dagli atti al momento della emissione della prima, sempre che i due procedimenti siano in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione possa essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909).
Questa Corte ha anche chiarito che, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare, il requisito dell’anteriorità del fatto rispett ad un reato associativo con contestazione “aperta” deve essere desunta da
concreti elementi dimostrativi (Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278840).
2.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha respinto l’eccezione della difesa assumendo implicitamente che il termine della prima misura era interamente scaduto ed espressamente che i fatti della seconda ordinanza erano diversi e non legati da connessione qualificata con quelli della prima ordinanza, che la contestazione in forma aperta del reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 era supportata da recenti acquisizioni prodotte in udienza dal P.M. e che difettava il requisito della desumibilità dagli atti degli elementi giustificativi l’emissione del secondo titolo cautelare.
In particolare, secondo l’ordinanza impugnata, il quadro investigativo sarebbe stato arricchito da nuove e recenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia.
2.3. Il Collegio ritiene che la questione sia stata affrontata dal Tribunale con motivazione carente rispetto alle conclusioni rassegnate.
Quanto all’anteriorità dei fatti, nell’esposizione delle evidenze a carico del ricorrente, il Tribunale ha indicato solo elementi indiziari che si attestavano al 2019 e neppure per motivare l’attualità delle esigenze cautelari ha evidenziato più recenti circostanze dimostrative della perdurante partecipazione al sodalizio da parte del ricorrente dopo detta data.
Inoltre, il Tribunale non ha argomentato in ordine all’esclusione della connessione qualificata tra i fatti contestati in sede cautelare nei due procedimenti.
In ogni caso, anche a voler aderire alla prospettazione della mancanza di connessione qualificata, l’ordinanza impugnata non ha offerto una risposta soddisfacente sul requisito della desumibilità dagli atti, limitandosi genericamente a sostenere che gli elementi posti alla base della seconda ordinanza sono il frutto della “rielaborazione di un vasto, complesso e variegato compendio indiziario/probatorio”, costituito da nutrite informative di p.g., da una consistente mole di intercettazioni e da nuove e recenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia.
La motivazione invero non spiega né la decisività delle nuove acquisizioni indiziane sulla completezza del quadro indiziario nè perché il compendio indiziarlo già disponibile non manifestasse all’epoca la propria portata dimostrativa, tanto da richiedere la elaborazione degli elementi probatori acquisiti e la necessaria separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, Rv. 279291).
Quanto al primo punto, va evidenziato, a supporto delle deduzioni difensive, che non emergono neppure dalla richiesta cautelare “recenti” acquisizioni rilevanti per il gruppo “DCOGNOME“: il P.M. infatti ha elencato da pag. 1126 a Og. 1250 una serie di captazioni effettuate tra il 2019 e 2020, afferenti a trattatke di droga
(coinvolgenti anche il ricorrente), e le dichiarazioni di collaboratori rese al più tar nel 2019, ritenendo tali evidenze dimostrative dell’esistenza di un sodalizio dedito al traffico di stupefacenti alle dipendenze del D’Annbrosio.
Quanto al secondo profilo, la risposta appare generica perché basata su elementi vaghi ed incerti, viepiù se confrontata con l’ipotesi accusatoria provvisoriamente contestata al ricorrente.
Invero, già la prima ordinanza cautelare (cfr. da pag. 19 della ordinanza genetica emessa nel presente procedimento) aveva collocato la fattispecie associativa mafiosa contestata al ricorrente nell’ambito del c.d. “sistema Cosenza”, ovvero nella confederazione ‘ndranghetistica operante nel territorio cosentino che operava il controllo capillare del territorio in vari settori, tra i quali anche qu degli stupefacenti. La sussistenza di un’attività illecita di tale tipologia nel contest degli interessi della cosca confederata era già emersa dal compendio indiziario originario e anche con specifico riferimento al ruolo assegnato al ricorrente nella cosca mafiosa.
Quindi, per escludere la desumibilità dagli atti, era necessario spiegare perché quel medesimo materiale indiziario già esaminato ed esplorato per l’emissione della prima ordinanza cautelare non manifestasse il suo significato sin dall’inizio in modo immediato ed evidente anche per l’emissione del secondo titolo custodiale, così da escludere che la scelta di tenere separati i due procedimenti davanti alla stessa autorità giudiziaria non sia stata il frutto di una scelta discrezionale del P.M.
Pertanto, la questione deve essere riesaminata in sede di rinvio alla luce dei rilievi sopra avanzati.
3. Il secondo motivo è generico.
Il ricorrente non si confronta infatti con la rilevata genericità del motivo d riesame, limitandosi a sostenere in modo assertivo che la questione era stata documentata in modo accurato e scrupoloso.
4. Il terzo motivo articola censure precluse e generiche.
Quanto all’aggravante mafiosa, il ricorrente non chiarisce quale sia l’interesse a farne valere la esclusione in questa Sede (tra tante, Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Rv. 284489).
Le censure sulla gravità indiziaria per la partecipazione al sodalizio criminale sono in larga parte precluse, in quanto avanzano argomenti di merito, in diretto confronto con le emergenze investigative e anche aspecifiche rispetto al ragionamento giustificativo esposto nell’ordinanza impugnata.
Va rammentato invero che, in sede di ricorso ex art. 311 cod. proc. pen., non spetta al giudice di legittimità di verificare la consistenza effettiva degli indizi,
di operare la rilettura del compendio indiziario, ma soltanto di controllare la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976).
Quel che è sufficiente rilevare è che le evidenze indiziarie esposte non si limitavano ad evidenziare i soli occasionali rapporti illeciti tra il ricorrente COGNOME nel settore degli stupefacenti, ma dimostravano anche il ruolo fiduciario (e quindi non estemporaneo) attribuito al primo dal COGNOME, tanto da fungere da interlocutore del sodalizio con esponenti di spicco della cosa di ‘ndrangheta, e di come il ricorrente si interfacciasse anche con altri sodali sugli affari di droga.
Sotto altro verso, la difesa denuncia vizi di violazione di legge (la mancanza di riscontri delle propalazioni del collaboratore COGNOME) in modo astratto, non correlandosi alla motivazione della ordinanza impugnata là dove ha spiegato come il compendio intercettativo costituisse il necessario riscontro esterno individualizzante delle dichiarazioni di COGNOME con riferimento al ruolo rivestito nel sodalizio dal ricorrente.
5. Fondato è l’ultimo motivo sulle esigenze cautelari.
La motivazione appare carente sul profilo della attualità delle esigenze cautela ri.
Se pur presente per il reato contestato la presunzione relativa della esistenza di esigenze cautelari, è largamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui anche in tali casi il tempo trascorso dai fatti contestati, all luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito. (per tutte, da ultimo Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Rv. 286202).
In altri termini, un significativo periodo di tempo “silente” viene a costituir un elemento idoneo ad incrinare la tenuta della regola di esperienza posta alla base della presunzione ex lege, destinato pertanto a trovare ingresso nel giudizio di resistenza demandato al giudice della cautela ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Con riferimento al reato associativo di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, si è inoltre affermato che la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi
di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa qualificata unicamente dai reati-fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.; di talché risulta ad essa inapplicabi la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o scioglimento del gruppo (Sez. 4, n. 19751 del 17/04/2024, Rv. 286527).
Nel caso in esame, il Tribunale, mentre ha motivato adeguatamente sulla concretezza del pericolo di recidiva, desunta dalle specifiche modalità della condotta, non ha fatto altrettanto per il profilo dell’attualità.
Solo in modo astratto ha ritenuto il sodalizio ancora operante, rispetto ad un compendio indiziario, come già osservato in precedenza, datato a molti anni addietro. Parimenti risalenti al 2019 sono le evidenze esposte dal Tribunale e riferibili al ruolo partecipativo del ricorrente.
Rispetto a tale quadro il Tribunale non ha scrutinato con il dovuto rigore il fattore temporale di notevole consistenza, svolgendo la specifica analisi sulla sussistenza di elementi concreti alla stregua dei quali dare conto della continuità in termini di attualità del periculum libertatis,
Alla stregua delle osservazioni che precedono, l’ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame sui punti della retrodatazione dei termini di custodia cautelare e della esistenza delle esigenze cautelari.
La Cancelleria procederà agli adempimenti di rito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/11t2024.