Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2857 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2857 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avolio NOME nato il 27/03/1958 a Cosenza avverso l’ordinanza del 11/06/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia rigettato; udito l’Avvocato NOME COGNOME il quale ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, giudicando in sede di riesame, confermava la custodia cautelare disposta nei confronti di NOME COGNOME in relazione all’ipotesi associativa di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 1) e al reato fine di cui al capo 2).
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso l’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse dell’imputato, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e assoluta mancanza di motivazione quanto agli artt. 297, comma 3, 125 e 303 cod. proc. pen.
L’indagato era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in data 01/09/2022, in relazione all’ipotesi di partecipazione ad associazione mafiosa nell’ambito del procedimento “Reset”, sostanzialmente parallelo al presente, detto “Recovery”, essendogli stato contestato di essere legato in via diretta al capo della stessa, NOME COGNOME.
Tale contestazione associativa si fondava sul medesimo compendio di intercettazioni, iniziate nel 2019 e proseguite sino al luglio 2021, che avevano portato ad individuare in COGNOME la persona deputata a recuperare per il clan mafioso di presunta appartenenza i denari frutto del traffico di sostanza stupefacente.
All’eccezione sulla mancata applicazione dell’art. 297 cod. proc. pen. il Tribunale del riesame ha risposto richiamando informative di PG riferite alla contestazione ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 1) e a quella del capo 2), datate all’aprile (invero anche maggio) 2023.
Non ha chiarito, tuttavia, perché, pur essendo state le indagini guidate dalla medesima Procura, tali informative siano state «spezzettate», così aggirando il limite previsto dalla citata disposizione di legge, con l’effetto di postdatare le contestazioni ed estendere i termini di custodia cautelare.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha ritenuto genericamente necessario valutare la sussistenza dell’ipotesi associativa, senza spiegarne la ragione, come sarebbe stato necessario, considerato che la composizione dell’associazione di stampo mafioso contestata nel procedimento “Reset” e quella dell’associazione volta al narcotraffico è praticamente la stessa ed essendo sicuramente il gruppo dirigente il medesimo.
Oltretutto, per la parte costituita dai partecipi di etnia rom, già nel procedimento “Reset” era stato contestato il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, a differenza che per i membri c.d. italiani dove, invece, la contestazione è stata ritardata di ben due anni.
Né può ritenersi, dunque, che i tempi siano stati procrastinati a causa delle scarne nuove dichiarazioni dei collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME, essendosi questi limitati ad affermare che sapevano che l’indagato spacciava per alcuni soggetti associati, senza circostanziare il fatto in termini spaziali o temporali.
Sicché, come chiarito da Sez. U n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, avrebbe dovuto disporsi la retrodatazione della custodia cautelare: essendo i due procedimenti in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria; essendo gli elementi che giustificano l’emissione del secondo presidio cautelare desumibili e conosciuti già al momento dell’emissione del primo (le indagini sono state eseguite dalla medesima Procura e addirittura dalle stesse persone fisiche); essendo la separazione dei due procedimenti e la conseguente emissione di due titoli custodiali diversi il frutto di una scelta del pubblico ministero procedente.
Peraltro, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., deve essere effettuata computando l’intera durata della custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee (Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, Rv. 279347).
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, e 292, comma 2, cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame è tenuto ad un’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, indicando gli elementi di fatto da cui sono desunte e i motivi per i quali assumono rilevanza, tenuto conto del tempo decorso dai fatti oggetto di provvisoria incolpazione.
Per contro, l’ordinanza impugnata non procede a una rielaborazione critica degli elementi sottoposti al suo scrutinio, né sul piano dei gravi elementi indiziari, né su quello delle esigenze cautelari, recependo pedissequamente la richiesta del Pubblico ministero.
A tale censura, avanzata in sede di riesame, il Tribunale ha risposto in modo generico ed apodittico, senza riferirsi alla persona del ricorrente.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen., 629 cod. pen. e 73, comma 7-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.
L’ordinanza omette del tutto di motivare sulle deduzioni riguardanti il reatofine di cui al capo 2).
Secondo i Giudici, l’indagato avrebbe partecipato al tentativo di estorsione ai danni di NOME COGNOME (debitore di una somma di denaro, provento di spaccio di stupefacenti, nei confronti di NOME COGNOME), avendo fornito indicazioni sul luogo dove trovarlo.
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Premesso che il tentativo di estorsione non fu mai posto in essere – la persona offesa non fu trovata e, quindi, non ebbe contezza della minaccia l’ipotesi accusatoria si fondava sui seguenti elementi: 1) una videoripresa in cui si vedrebbe l’indagato recarsi a casa di Illuminato; 2) il fatto che questi desse indicazione, il 29 maggio 2021, ad uno dei tre componenti del gruppo incaricato della spedizione punitiva di incontrarsi con una persona su uno scooter bianco; 3) il fatto che gli agenti avrebbero visto COGNOME su una Vespa bianca parlare con tali tre persone.
Tuttavia, nei motivi di riesame si contestava COGNOME che – in assenza di intercettazioni – vi fosse certezza riguardo all’oggetto dell’accordo e, ancor prima, all’identificazione di NOME il quale, a quell’epoca, come documentalmente dimostrato, possedeva un mezzo diverso da quello indicato; si evidenziava che l’oggetto della conversazione che si svolse tra (presuntivamente) NOME e tali persone non era noto sicché, ammesso che fosse stato l’indagato a fornire le indicazioni, non è detto che egli conoscesse le ragioni per cui COGNOME era cercato.
Il Tribunale del riesame ha replicato soltanto alla prima obiezione, oltretutto in modo assertivo: affermando che nulla esclude che, in quel periodo, l’indagato avesse in uso anche un’altra Vespa.
Neppure ha risposto alle deduzioni svolte in udienza (sulla mancanza di riscontro all’annotazione di polizia giudiziaria nella parte in cui reputava certa l’identificazione di NOME in mancanza di report fotografico; sulla mancanza di riscontro all’affermazione che il personale vide NOME arrivare con la vespa bianca, non essendo stati indicati i nomi degli operanti che lo avrebbero visto; sulla mancanza di prova che i soggetti che incontrarono NOME fecero ritorno ad Acri).
Infine, non ha risposto al rilievo per cui, dovendo essere disposta la confisca obbligatoria delle cose che rappresentano il profitto o prodotto di un delitto collegato comunque allo smercio di sostanza stupefacente (art. 73, comma 7bis, d.P.R. n. 309 del 1990), mai avrebbe potuto essere integrata la tipicità dell’art. 629 cod. pen., nessun danno di natura patrimoniale potendo derivare a Cardamone dalla pretesa del pagamento delle somme in questione, dal momento che queste sono direttamente e immediatamente acquisibili dallo Stato (in tal senso si richiama anche giurisprudenza di merito).
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 cit.
I Giudici del riesame nemmeno, infine, hanno risposto ai motivi con i quali era stato dedotto che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME NOME COGNOME erano generiche – le prime anche molto risalenti -, e si era
inoltre dedotto un bis in idem, essendo COGNOME indagato nel procedimento in oggetto per condotte sovrapponibili a quelle contestate nel coevo procedimento “Reset”.
Il ricorrente ha presentato motivi nuovi, insistendo sull’inidoneità degli elementi dimostrativi individuati dai Giudici del riesame in ordine alla partecipazione di Avolio alla spedizione punitiva, posto che della Vespa che avrebbe avuto in uso Avolio non sono indicati provenienza, targa e titolarità; manca un report fotografico dell’incontro tra Avolio, Montalto, Morrone e Casole; nemmeno è indicato l’agente di polizia giudiziaria che avrebbe proceduto al riconoscimento di Avolio; i Giudici di merito hanno rilevato soltanto l’aggancio ad una cella telefonica, situata nel comune di Acri, per un occupante l’autovettura. Con la conseguenza, si ribadisce, che la partecipazione di Avolio all’associazione è stata desunta soltanto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tuttavia generiche e risalenti.
Ad ulteriori motivi nuovi il ricorrente ha allegato le requisitorie del Procuratore Generale nei procedimenti a carico di COGNOME e COGNOME anch’essi indagati per partecipazione all’associazione volta al narcotraffico nel procedimento “Recovery”, in cui si chiede l’annullamento delle relative ordinanze e la retrodatazione dei termini di custodia cautelare all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nel procedimento “Reset”, riferendo altresì l’esito di annullamento delle sentenze emesse da questa Corte (e, per COGNOME, allegando il dispositivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al primo motivo.
Di recente, e nell’ambito del medesimo procedimento di cui si discorre, questa Corte ha rammentato i principi di diritto in tema di deducibilità della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare in sede di riesame (Sez. 6, n. 45437, del 14 novembre 2024, COGNOME, non mass.).
Ha, cioè, ricordato come le Sezioni unite di questa Corte abbiano affermato che la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) deducibilità dall’ordinanza applicativa della misura
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coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549).
Ha aggiunto che, per effetto dell’intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 293 del 2013), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 309 cod. proc. pen., in quanto interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall’art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata – oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare impugnata – anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, oltre al requisito di cui alla lett. a) sopra indicato, sia onere dell parte, che invoca la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare in sede di riesame, provare le altre condizioni richieste per la retrodatazione (tra tante, Sez. 2, Sentenza n. 6374 del 28/01/2015, Schillaci, Rv. 262577).
Ha precisato, quanto agli altri requisiti per far luogo alla retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, in caso di ordinanze emesse in procedimenti diversi, che le Sezioni Unite di questa Corte li hanno individuati ne:
la anteriorità dei fatti, oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, cit. In tale arresto la Suprema Corte ha specificato che tale requisito non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza);
la desumibilità dei fatti della seconda ordinanza dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza in caso di connessione qualificata, ovvero, quando tale connessione non sussista, la desumibilità degli elementi giustificativi della seconda ordinanza dagli atti al momento della emissione della prima, sempre che i due procedimenti siano in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione possa essere frutto di una scelta del pubblico ministero (sempre Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, cit.).
Questa Corte ha, infine, chiarito che, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare, il requisito dell’anteriorità del fatto rispetto ad un reato associativo con contestazione “aperta” deve essere desunta da concreti elementi dimostrativi (Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278840).
2.2. Nel caso di specie, i Giudici del riesame non hanno fatto corretta applicazione dei suindicati principi di diritto, non avendo argomentato adeguatamente, in risposta a specifiche deduzioni difensive, l’esclusione della connessione qualificata tra i fatti contestati in sede cautelare nei due procedimenti (“Reset” e “Recovery”), ed essendosi, per contro, limitati ad affermazioni apodittiche.
In particolare, non hanno svolto una valutazione in concreto, come avrebbero dovuto fare, essendosi limitati ad affermare, su un piano astratto, che essendo i reati diversi, differente ne debba essere anche il compendio probatorio
Inoltre, hanno negato il requisito della c.d. anteriore desumibilità dagli atti al momento dell’emissione della prima ordinanza (piuttosto che al momento del rinvio a giudizio, come avrebbe dovuto essere, ove fosse stata riconosciuta la connessione qualificata), sulla base delle circostanze che: i collaboratori COGNOME e COGNOME resero le loro dichiarazioni successivamente alla esecuzione della prima ordinanza; le operazioni tecniche di intercettazione terminarono nel 2023; le informative conclusive di reato poste a sostegno della misura cautelare pervennero nella loro completezza all’ufficio di Procura dopo alla data di rinvio a giudizio nel procedimento penale “Reset”.
In tal modo, però, non hanno dimostrato né la decisività delle nuove acquisizioni indiziarie sulla completezza del quadro indiziario in relazione alla specifica posizione dell’indagato né – si tratta di aspetto speculare – perché il compendio indiziario già disponibile non manifestasse all’epoca la propria portata dimostrativa, tanto da richiedere la elaborazione degli elementi probatori acquisiti e la necessaria separazione o la distinta iscrizione delle notizie di reato (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279291).
2.3. Di conseguenza, la motivazione risulta viziata e l’ordinanza va annullata, affinché il Giudice del rinvio svolga sul punto una nuova valutazione.
Inammissibile, perché all’evidenza generico, risulta il secondo motivo incentrato sulla mancanza all’origine di un’autonoma motivazione dell’ordinanza genetica, deduzione formulata in assenza di uno specifico confronto tra la stessa e la richiesta del P.m., essendo a tal fine sufficiente che il giudice dia conto del proprio convincimento, quale espressione della giurisdizione, sia pur mutuando la valutazione dalla richiesta e suffragandone la condivisibilità: a fronte di ciò l’ordinanza in questa sede impugnata, che ha escluso il vizio, non risulta vulnerata da specifici rilievi tali da connotare un difetto di analisi dei profil specificamente riferibili al ricorrente.
Infondato è il terzo motivo di ricorso, relativo alla vicenda estorsiva ai danni di Cardamone.
La ricostruzione fattuale della identificazione ed implicazione di COGNOME nella vicenda ritorsiva ai danni di Cardamone (creditore nei confronti di COGNOME di un debito di droga per l’importo di 21.350 C) è adeguatamente svolta a p. 65 s. dell’ordinanza.
Vi si riporta che COGNOME mandava un messaggio a COGNOME dicendo che questi e il resto del commando avrebbe dovuto recarsi nei pressi di un esercizio commerciale dove avrebbero trovato «uno con una Vespa bianca» che li avrebbe condotti presso l’abitazione della vittima.
L’individuazione di quell’«uno con la Vespa bianca» in Avallo è motivatamente sostenuta dai Giudici, i quali precisano come i servizi speciali avessero accertato – peraltro anche mediante rilievi fotografici – che lo stesso giorno (29 maggio 2020) Avolio si era recato presso l’abitazione di Illuminato a bordo di una Vespa bianca e che, dopo, la Vespa bianca si era incontrata con tre persone (Montalto, Casole e Morrone), le quali avevano poi proseguito per Acri, dove era stata agganciata la cellula telefonica di uno dei tre.
Di conseguenza, non si ravvisa alcuna omessa risposta ed alcuna violazione di legge.
Con riguardo, poi, al dedotto vizio di mancanza di motivazione sulle questioni sottoposte ai Giudici del riesame – secondo il ricorrente, non avrebbe potuto configurarsi il tentativo di estorsione perché COGNOME non venne mai rintracciato; inoltre, essendo disposta la confisca obbligatoria del denaro proveniente da reati in materia di stupefacenti, anche in forma per equivalente, non sarebbe configurabile il delitto di estorsione per difetto dell’elemento costitutivo rappresentato dal danno patrimoniale – il silenzio dei Giudici è giustificato dalla manifesta infondatezza delle questioni (per tutte, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281).
Quanto alla prima questione, infatti, sia sufficiente osservare come dall’ordinanza risulti che COGNOME aveva abbandonato la sua abitazione poiché già raggiunto dalle minacce di NOME, minacce che indiziano, in base ad una valutazione ex ante, l’idoneità ed inequivocità dell’azione estorsiva, così come ordita e pianificata e della quale era stata concretamente avviata l’esecuzione, in assenza – al presente stadio del procedimento – di elementi che consentano di escludere che l’indagato si fosse prestato a collaborare.
Quanto alla seconda questione, va rimarcato come il delitto presupponga l’ingiustizia del profitto, cui si correli un danno per la vittima, ciò di cui nel specie è stato dato conto in ragione dell’illecita causale della pretesa cui avrebbe
dovuto corrispondere un esborso in quello specifico contesto tale da produrre una deminutio patrimonii priva di valida giustificazione.
Il quarto motivo di ricorso è, per parte, infondato e, per parte, inammissibile.
I collaboratori COGNOME e COGNOME parlano di COGNOME come di un soggetto intraneo all’organizzazione e particolarmente versatile: il secondo contestualizzando tali circostanze al periodo compreso tra il 2014 e il 2018; il primo riferendo di averlo conosciuto in quanto detenuto nella stessa cella tra il 1996 e il 2000.
Tali dichiarazioni, per quanto riferite a periodo risalente, come puntualizzato dai Giudici di merito, si aggiungono ad un materiale indiziario già sufficiente a desumerne – come motivato dai Giudici di merito – che COGNOME, all’interno dell’associazione, era prevalentemente dedito all’attività di recupero dei crediti della stessa.
Se, per questa parte, il motivo è, dunque, infondato, esso è, invece, generico là dove si limita ad evocare un bis in idem quanto all’oggetto dei procedimenti “Reset” e “Recovery”, senza argomentare in merito a tale assunto, al di là di quanto fatto ai ben diversi fini della retrodatazione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata relativamente al profilo della retrodatazione dei termini di custodia cautelare e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 11/12/2024