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Retrodatazione custodia cautelare: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la retrodatazione della custodia cautelare. La Corte ha stabilito che non sussiste una connessione qualificata tra il reato associativo mafioso, per cui era già detenuto, e i successivi reati-fine di estorsione. Per applicare la retrodatazione custodia cautelare, è necessario che i reati-fine fossero già programmati al momento della costituzione del sodalizio criminoso, circostanza non dimostrata nel caso di specie.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione Custodia Cautelare: No al Cumulo Automatico tra Reato Associativo e Reati-Fine

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43749 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: la retrodatazione custodia cautelare. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere quando i termini di una misura cautelare possono essere fatti decorrere da una data anteriore, specialmente in contesti di criminalità organizzata. La Suprema Corte ha chiarito che non esiste un automatismo tra il reato associativo di stampo mafioso e i singoli reati-fine (come le estorsioni) commessi dagli associati.

I Fatti: Una Seconda Ordinanza di Custodia Cautelare

La vicenda processuale ha origine dal ricorso di un individuo, già detenuto in base a un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di associazione mafiosa nell’ambito di una vasta indagine. Successivamente, lo stesso soggetto veniva raggiunto da una seconda ordinanza cautelare per tre distinti episodi di estorsione, aggravati dal metodo mafioso.

La difesa dell’imputato presentava istanza al Tribunale del Riesame per ottenere la retrodatazione dei termini della seconda misura, facendoli coincidere con l’inizio della prima. La richiesta si basava sull’assunto che gli elementi indiziari relativi alle estorsioni fossero già, almeno in potenza, a disposizione dell’autorità giudiziaria al momento dell’emissione della prima ordinanza e che tra i reati sussistesse una connessione qualificata.

I Motivi del Ricorso e la richiesta di retrodatazione custodia cautelare

Il ricorso per Cassazione si articolava principalmente su due punti:

1. Violazione dell’art. 297, comma 3, c.p.p.: La difesa sosteneva che il Tribunale avesse errato nel non riconoscere la desumibilità degli indizi relativi alle estorsioni già dagli atti della prima indagine. A loro avviso, intercettazioni e altre prove erano già nella disponibilità della Procura.
2. Errata valutazione della connessione: Si contestava la decisione del Tribunale di escludere la connessione qualificata (prevista dall’art. 12 c.p.p.) tra il reato associativo e le estorsioni. Secondo i ricorrenti, le estorsioni erano state commesse per eseguire il programma del sodalizio criminale, creando così il nesso teleologico necessario per la retrodatazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione del Tribunale del Riesame e fornendo chiarimenti essenziali sul rapporto tra reato associativo e reati-fine ai fini della retrodatazione.

L’Insussistenza della Connessione Qualificata

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra le diverse forme di connessione. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la continuazione tra un reato associativo e i reati-fine si configura solo se questi ultimi sono stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della costituzione dell’associazione. Nel caso di specie, non era stata fornita alcuna prova che le specifiche estorsioni contestate fossero parte del piano originario del clan.

Inoltre, la Corte ha escluso anche la connessione teleologica (art. 12, lett. c, c.p.p.), ossia che le estorsioni fossero state commesse “per eseguire” il reato associativo. Il reato di associazione mafiosa è un reato permanente, che preesiste ai singoli delitti. Pertanto, i reati-fine non “eseguono” il reato associativo, ma ne rappresentano piuttosto la manifestazione esterna. Commettere un reato per “agevolare” un’associazione (circostanza aggravante) è concetto diverso dal commetterlo per “eseguirne” un altro.

L’Inammissibilità delle Censure sulla Gravità Indiziaria

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili i motivi di ricorso che contestavano la sufficienza degli indizi a carico dell’imputato per le estorsioni. Tali censure, infatti, miravano a una rilettura del materiale probatorio (intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori), un compito che spetta esclusivamente al giudice di merito e che è precluso in sede di legittimità, salvo il caso di palese illogicità della motivazione, non riscontrata in questa vicenda.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su una rigorosa interpretazione della legge processuale. La ratio dell’istituto della retrodatazione custodia cautelare è evitare che l’autorità giudiziaria possa frammentare artatamente le contestazioni per prolungare indefinitamente la detenzione di una persona. Tuttavia, questo istituto non può trovare applicazione quando, come nel caso esaminato, le prove relative ai nuovi reati emergono in un momento successivo e non sono legate da un vincolo di programmazione iniziale con il reato per cui è già in corso la detenzione.

La Corte ha sottolineato che, sebbene le estorsioni rientrino nel “paniere” di reati tipicamente commessi da una formazione mafiosa, ciò non basta a creare quella connessione qualificata richiesta dalla legge. Era onere della difesa dimostrare uno specifico legame programmatico o teleologico, onere che non è stato assolto. La decisione evidenzia anche l’autonomia investigativa, chiarendo che gli elementi a carico per le estorsioni sono emersi da informative depositate anni dopo l’emissione della prima ordinanza, rendendo impossibile una loro valutazione precedente.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica. Stabilisce che non vi è un nesso automatico tra l’appartenenza a un’associazione criminale e i singoli delitti commessi. Ai fini della retrodatazione della custodia cautelare, è necessario un esame concreto del legame tra i diversi reati. Questa pronuncia riafferma la distinzione tra la logica del diritto penale sostanziale (dove l’aggravante mafiosa crea un forte legame) e quella del diritto processuale penale, che richiede presupposti più stringenti per la fusione dei termini cautelari, a tutela sia delle esigenze di giustizia sia dei diritti dell’imputato.

Quando è possibile chiedere la retrodatazione dei termini di custodia cautelare?
Secondo la sentenza, la retrodatazione è possibile ai sensi dell’art. 297, comma 3, c.p.p., quando una persona, già detenuta per un fatto, viene raggiunta da una nuova ordinanza per un fatto diverso commesso anteriormente o per un fatto connesso. Tuttavia, la connessione deve essere ‘qualificata’, come nel caso di un medesimo disegno criminoso, e gli elementi del nuovo reato dovevano essere già desumibili dagli atti al momento della prima ordinanza.

Perché in questo caso le estorsioni non sono state considerate ‘connesse’ al reato di associazione mafiosa ai fini della retrodatazione?
La Corte ha stabilito che non sussisteva una connessione qualificata perché non è stato dimostrato che le estorsioni fossero state programmate sin dalla costituzione del sodalizio (escludendo la continuazione). Inoltre, non potevano essere considerate commesse ‘per eseguire’ il reato associativo (escludendo il nesso teleologico), in quanto il reato associativo è permanente e preesiste ai singoli reati-fine, che ne sono una manifestazione e non un’esecuzione.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove come le intercettazioni o le dichiarazioni dei collaboratori?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito le prove. Il suo compito è quello di giudice di legittimità, ovvero verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Tentare di ottenere una diversa valutazione delle prove, come le intercettazioni, costituisce un motivo di ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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