Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43749 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43749 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Limbadi il 16/3/1954 avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame Catanzaro in data 21/5/2024 sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore di COGNOME NOME, avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME il quale ha concluso riportandosi ai motivi, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21/5/2024, il Tribunale riesame di Catanzaro nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione con sentenza del 4/4/2024 in relazione alla ordinanza del medesimo Tribunale, emessa in data 10/10/2023, ha respinto la richiesta di riesame presentata da
COGNOME NOME avverso l’ordinanza in data 9/6/2023 con la quale il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato al ricorrente la misura cautelare della custodia in carcere per tre episodi di estorsione.
Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME mediante difensore di fiducia articolando i seguenti motivi di ricorso: 1) violazione di legge in relazione all’art. 297 co. 3 c.p.p., avendo il collegio cautelare omesso di valutare gli elementi addotti dalla difesa a sostegno della retrodatazione della misura ordinanza cautelare avuto riguardo: a) al dato della desumibilità dagli atti della prima ordinanza (quella relativa al proc. denominato Rinascita Scott) degli elementi indiziari posti a fondamento della seconda ordinanza cautelare, posto che diversamente da quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, secondo la difesa, ai fini della desumibilità dagli atti, non è necessario che il Pubblico COGNOME abbia a disposizione l’informativa finale essendo sufficiente che questi abbia cognizione anche solo potenziale dei fatti. Sostiene, in particolare, che il Tribunale cautelare avrebbe valorizzato, ai fini della gravità indiziaria degli episodi estorsivi, intercettazioni già nella disponibilit dell’Ufficio di Procura.
Il Tribunale, poi, avrebbe omesso di valutare: b) il dato della connessione qualificata erroneamente esclusa dal collegio che avrebbe motivato in relazione al profilo della connessione qualificata di cui all’art. 12 lett. b), mentre il tem devoluto riguardava l’ipotesi di cui all’art. 12 lett. c) c.p.p.;
2) violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria dei delitti di estorsione di cui ai capi 38), 45) e 46). Deduce il ricorrente che il Tribunale avrebbe motivato in ordine all’intervento del COGNOME nella controversia tra COGNOME NOME e COGNOME senza che dagli atti, in particolare dalle intercettazioni, emergesse la connotazione intimidatoria della vicenda ovvero il danno ed il correlato ingiusto profitto integrativi dell’estorsione.
In relazione alla vicenda estorsiva di cui al capo 45) che ha visto quale vittima COGNOME Domenico amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, le dichiarazioni del collaboratore COGNOME non sarebbero rilevanti non avendo egli fatto riferimento alla predetta società tra quelle illecitamente gestite dalla famiglia COGNOME e le intercettazioni valorizzate nell’ordinanza impugnata non dimostrerebbero affatto il coinvolgimento del COGNOME nell’attività estorsiva di raccolta soldi richiesta da Razionale NOMECOGNOME né in tal senso sarebbe conducente il riferimento, contenuto nella conversazione intercettata, alle rimostranze espresse da COGNOME NOME che lamentava di essere stato estromesso dal
ricorrente, posto che detta conversazione, per la sua genericità, non potrebbe essere riferita alla vicenda in esame per dimostrare la posizione sovraordinata dell’indagato.
Infine, con riguardo alla vicenda estorsiva di cui al capo 46) risalente agli anni 2016/2017 e posta in essere in danno di COGNOME COGNOME , amministratore della RAGIONE_SOCIALE, l’ordinanza impugnata non avrebbe motivato in ordine al concorso dell’indagato posto che la conversazione intercettata in cui COGNOME nel 2019, informava COGNOME delle precedenti riscossioni estorsive, dimostrava che l’indagato non ne era a conoscenza, né poteva ipotizzarsi il concorso del COGNOME nell’attività di riscossione estorsiva futura posto che il Resort di cui era amministratore COGNOME, ormai era sottoposto a sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è basato su motivi in parte manifestamente infondati, in parte aspecifici e va dichiarato inammissibile.
2.11 primo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale, con l’ordinanza impugnata, decidendo in sede di rinvio dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione, dell’ordinanza del riesame in data 10/10/2023, ha rigettato il riesame proposto da COGNOME NOME avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, che aveva respinto l’istanza di retrodatazione dei termini di custodia cautelare avanzata ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. per insussistenza dei presupposti legge.
Il collegio cautelare premette che COGNOME è stato attinto da due misure, entrambe emesse dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro: una relativa al reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p. ( proc. denominato RAGIONE_SOCIALE ), l’altra relativa a tre ipotesi estorsive oggetto del presente procedimento ed evidenzia che si tratta di ordinanze emesse in due procedimenti diversi, seppur pendenti dinanzi alla medesima Autorità Giudiziaria pertinentemente osservando che tra i fatti oggetto di accertamento non esiste nessuna connessione qualificata, né ai sensi dell’art. 12 lett. b) c.p.p., per la mancanza del medesimo disegno criminoso, né ai sensi dell’art. 12 lett. c) c.p.p., per l’assenza del nesso teleologico ( cfr. pagg. 2 e 3 dell’ordinanza impugnata).
In proposito la deduzione difensiva con la quale si rileva un errore di diritto per il fatto che il Tribunale avrebbe motivato su un profilo ( quello della connessione ex art. 12 lett. b) c.p.p.) non dedotto, è priva di fondamento, in quanto il
riferimento alla mancanza di connessione per l’assenza del vincolo della continuazione è un passaggio argonnentativo dell’ordinanza necessitato dalle deduzioni difensive ( cfr. pag. 2), giuridicamente corretto, dovendosi ribadire che in tema di misure cautelari la continuazione tra reato associativo mafioso e reatifine, aggravati dalla finalità mafiosa, rilevante, ai sensi dell’art. 297 cod. proc. pen., ai fini della retrodatazione del “dies a quo” della custodia cautelare, si configura solo quando i reati fine sono stati già programmati, quanto meno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso (Sez. 5, n. 49224 del 06/06/2017, Rv. 271477).
Nell’ordinanza impugnata il collegio cautelare ha osservato che, sebbene le estorsioni siano in astratto annoverabili tra i reati rientranti nel paniere di reati tipicamente attuabili dalla formazione mafiosa, nella specie era rimasto indimostrato, anche considerando le allegazioni difensive, che i reati estorsivi fossero stati oggetto di programmazione al momento della costituzione del sodalizio. Esclusa la continuazione, che il ricorrente peraltro ammette di non avere ab origine devoluto, non può invero ritenersi che i reati estorsivi siano stati commessi per “eseguire il reato di associazione mafiosa”, in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non può dirsi che sussista connessione ai sensi dell’art.12, comma 1,1ett.c), c.p.p. tra i detti episodi estorsivi ed il reato associativo, nel senso che i primi possano dirsi commessi “per eseguire” il secondo, attesa la natura permanente di quest’ultimo e la sua preesistenza rispetto agli altri fatti criminosi. (Sez. 1, n. 1815 del 26/03/1998, Rv. 210391; Sez. 1, n. 18340 del 11/02/2011, Rv. 250305).
Egualmente inconferente è il riferimento alla “finalità agevolatrice” del clan, giacché si tratta di concetto diverso rispetto a quello che è proprio dell’art. 12, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. Commettere un reato per agevolare un’associazione mafiosa (“quid” dell’aggravante dell’art. 416 bis.1 c.p., riferibile anche a chi non faccia parte dell’associazione suddetta) è cosa completamente diversa dal commettere un reato per eseguire od occultarne un altro, perché si ha – in questa seconda ipotesi – un attivismo criminale duplice, che manca alla prima fattispecie. Qui è sufficiente, infatti, una condotta criminosa rivolta ad un determinato fine, ma pur sempre unica, che si esaurisce nella perpetrazione del reato circostanziato, e non è richiesto che l’agevolatore faccia parte dell’associazione che intende favorire (Sez. 5, n. 49224 del 06/06/2017 Rv. 271477; Sez. 1, n. 18340 del 11/02/2011, Rv. 250305).
Esclusa la connessione qualificata tra i reati estorsivi e la fattispecie associativa , il Tribunale ha ritenuto che la retrodazione non potesse avere luogo anche
avendo riguardo al profilo della desunnibilità al momento della emissione della prima ordinanza degli elementi indiziari relativi alle estorsioni, avendo la ordinanza del GIP, di cui quella impugnata è integralmente confermativa, dato contezza degli elementi su cui ha basato la valutazione della emergenza degli elementi indizianti, a carico del COGNOME in epoca ben successiva alla emissione della prima ordinanza custodiale nel processo Rinascita Scott, essendo le informative finali depositate presso la Procura solo nel settembre 2022 e nell’aprile 2023. Al tal riguardo il rilievo difensivo risulta aspecifico non confrontandosi con l’apparato argomentativo dell’ordinanza che a pag. 4 puntualmente rileva come nella prima ordinanza non fossero presenti una serie di fonti probatorie (tra i quali le intercettazioni di cui al RIT 574/2019 ) relative alle vicende estorsive in danno di COGNOME, COGNOME e COGNOME ( cfr. pag. 4).
A tale stregua mancano di pregio le doglianze espresse dal ricorrente, dovendosi riconoscere che nel caso in esame è stata correttamente esclusa la retrodatazione della seconda ordinanza cautelare.
3.Gli ulteriori motivi di ricorso che contestano la gravità indiziaria in ordine alla sussistenza delle varie ipotesi di estorsione, non sono consentiti in quanto sviluppano argomenti che sollecitano la Corte ad una diversa lettura del materiale indiziario preclusa in sede di legittimità. Non spetta infatti a questa Corte la rilettura delle intercettazioni o delle dichiarazioni dei collaboratori e delle ordinanze custodiali al fine di verificare se sia condivisibile o meno la valutazione degli atti offerta dal Tribunale, essendo tale compito demandato al giudice di merito e non avendo comunque il ricorrente evidenziato alcuna palese illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, limitandosi ad asserire apoditticamente che le fonti accusatorie non erano sufficienti per la emissione di una ordinanza custodiale in ordine alle estorsioni. Più specificamente non tiene conto il ricorrente che il Tribunale, in relazione alla vicenda estorsiva in danno di NOME COGNOME ha previamente descritto la vicenda illecita che vedeva coinvolta COGNOME NOME, appartenente alla famiglia di ‘ndrangheta di Rosarno e NOME COGNOME ed ha citato intercettazioni dalle quali ha desunto la valenza estorsiva dell’intervento di COGNOME NOME dovendosi rimarcare che in tema di estorsione cd. “ambientale”, non è necessario che la vittima conosca l’estorsore ed il clan di appartenenza del medesimo, rilevando soltanto le modalità in sé della richiesta estorsiva, che, pur formalmente priva di contenuto minatorio, ben può manifestare un’energica carica intimidatoria – come tale percepita dalla vittima stessa – alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta è formulata all’influsso di notorie consorterie mafiose. (Sez. 2, n. 22976 del
13/04/2017, Rv. 270175; Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, Rv. 276115).
4.Analogamente con riferimento all’estorsione di cui al capo 45) il ricorrente non si confronta con le argomentazioni spese dal Tribunale che in maniera logica, ha posto a fondamento della gravità indiziaria, le dichiarazioni del collaboratore COGNOME NOME e le intercettazioni che disvelavano il ruolo strategico ricoperto dal COGNOME incaricato di riscuotere i proventi estorsivi relativi alla gestione dei resort di zona (pagg. 6 e 7).
Anche il motivo riferito all’estorsione di cui al capo 46) è generico.
Il Tribunale coerentemente con il contenuto delle conversazioni intercettate , ha indicato gli elementi dai quali ha logicamente desunto, in virtù della posizione gerarchica rivestita, che egli avesse autorizzato la vicenda estorsiva seppure delegando la concreta gestione ai capi territoriali occupandosi di sovrintendere alla fase esecutiva e di disporre in merito a futuri sviluppi. Ancora una volta, il ricorrente tenta di dare una personalistica, inammissibile lettura del materiale intercettivo, quando in tema di intercettazioni telefoniche, è principio consolidato quello secondo il quale costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, (Sez.2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784); e cioè solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n.1532 del 09/09/2020) evenienze queste non ravvisabili nel caso di specie. p.q.m. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 – ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 3/10/2024