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Retrodatazione custodia cautelare: i limiti della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7454 del 2024, ha rigettato il ricorso di un imputato che chiedeva la retrodatazione della custodia cautelare per un reato associativo finalizzato al narcotraffico. La Corte ha stabilito due principi fondamentali: la retrodatazione non si applica se la condotta del reato associativo prosegue dopo l’emissione della prima ordinanza cautelare. Inoltre, ha chiarito che la ‘desumibilità’ degli elementi per una nuova misura non equivale alla mera conoscibilità storica dei fatti, ma richiede una gravità indiziaria tale da consentire al PM una valutazione prognostica concreta per una nuova richiesta cautelare.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Retrodatazione custodia cautelare: la Cassazione ne definisce i confini

La retrodatazione della custodia cautelare è un istituto cruciale nel diritto processuale penale, volto a tutelare l’indagato da ingiustificate lungaggini investigative. Con la recente sentenza n. 7454/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui requisiti necessari per la sua applicazione, offrendo chiarimenti fondamentali in materia di reati associativi e sul concetto di ‘desumibilità’ degli atti. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo sottoposto a due distinte misure di custodia cautelare in carcere. La prima, emessa nel marzo 2020, riguardava un reato di detenzione e trasporto di sostanze stupefacenti. La seconda, emessa nel novembre 2022, concerneva un reato ben più grave: la partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di droga, commesso in un arco temporale (giugno 2019 – ottobre 2020) che in parte si sovrapponeva e precedeva il primo arresto.

L’interessato aveva richiesto che la decorrenza della seconda misura cautelare venisse retrodatata alla data della prima, sostenendo che gli elementi relativi al reato associativo fossero già ‘desumibili’ dagli atti di indagine al momento del primo arresto. Il Tribunale di Palermo, tuttavia, aveva respinto la richiesta, ritenendo che il quadro indiziario per il reato associativo si fosse consolidato solo in un momento successivo, con il deposito di una specifica informativa di reato.

La Decisione della Corte di Cassazione e la retrodatazione custodia cautelare

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale e fornendo una duplice e chiara motivazione che restringe il campo di applicazione della retrodatazione in casi complessi come questo.

L’ostacolo del ‘tempus commissi delicti’ nei reati associativi

Il primo, e decisivo, argomento si basa su un principio consolidato, affermato dalle Sezioni Unite (sentenza Librato). La retrodatazione non è applicabile quando il secondo provvedimento riguarda un reato associativo la cui condotta si è protratta anche dopo l’emissione della prima ordinanza. Nel caso di specie, il reato di associazione a delinquere era contestato fino a ottobre 2020, mentre la prima misura era stata applicata a marzo 2020. Poiché la partecipazione al sodalizio criminale era continuata dopo il primo provvedimento, questo solo fatto impedisce la retrodatazione dei termini.

Il requisito della “desumibilità”: non basta la mera conoscibilità

La Corte, pur potendosi fermare al primo punto, ha analizzato anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla ‘desumibilità’ degli atti. Ha chiarito che questo concetto non va inteso come una semplice ‘conoscibilità storica’ dei fatti. Non è sufficiente che le carte contenessero indizi o sospetti.

La desumibilità rilevante ai fini della retrodatazione della custodia cautelare si configura solo quando il Pubblico Ministero dispone di un compendio di prove con una ‘specifica significanza processuale’. In altre parole, gli elementi devono essere tali da consentire al PM di formulare un ‘meditato apprezzamento prognostico’ sulla gravità e concludenza degli indizi, sufficiente a fondare una richiesta di una nuova misura cautelare. Nel caso in esame, il Tribunale aveva correttamente evidenziato che le intercettazioni e le osservazioni iniziali, pur provando singoli episodi di spaccio, non erano ancora sufficienti a delineare con la necessaria gravità indiziaria l’esistenza di una ‘struttura associativa’ e la partecipazione consapevole dell’indagato ad essa.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale e sulla giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite. La decisione mira a bilanciare la tutela della libertà personale con le esigenze investigative, specialmente in contesti di criminalità organizzata. Si è voluto ribadire che la retrodatazione non può diventare un meccanismo automatico, ma richiede la sussistenza di precisi e stringenti presupposti giuridici. Il primo, insuperabile, è l’anteriorità del fatto oggetto della seconda ordinanza. Il secondo è una ‘desumibilità’ qualificata, che non si accontenta di sospetti ma esige un quadro indiziario già maturo per una nuova azione cautelare. L’ordinanza impugnata è stata ritenuta congruamente argomentata e conforme al diritto.

le conclusioni

La sentenza in commento consolida l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ponendo due paletti chiari all’applicazione della retrodatazione della custodia cautelare. Primo, per i reati associativi permanenti, la prosecuzione della condotta dopo la prima misura cautelare è di per sé ostativa. Secondo, il concetto di ‘desumibilità’ va interpretato non come mera presenza di informazioni negli atti, ma come disponibilità di un quadro probatorio già solido e processualmente spendibile. Questa pronuncia rappresenta un importante riferimento per gli operatori del diritto, delineando con precisione i confini di un istituto posto a garanzia dei diritti dell’indagato, ma che non può essere utilizzato per eludere le conseguenze di condotte criminali complesse e stratificate nel tempo.

Quando è possibile chiedere la retrodatazione della custodia cautelare?
La retrodatazione può essere chiesta, ai sensi dell’art. 297 comma 3 c.p.p., quando una persona, già sottoposta a custodia cautelare per un reato, riceve una nuova ordinanza per un fatto diverso commesso anteriormente alla prima misura, a condizione che gli elementi per quest’ultimo reato fossero già ‘desumibili’ dagli atti al momento della prima ordinanza.

Perché la Cassazione ha negato la retrodatazione in questo caso di narcotraffico?
La retrodatazione è stata negata per due ragioni principali. In primo luogo, il secondo reato era di natura associativa e la condotta criminale dell’imputato si era protratta anche dopo l’emissione della prima ordinanza cautelare, il che, secondo la giurisprudenza, preclude l’applicazione dell’istituto. In secondo luogo, gli elementi relativi al reato associativo non erano sufficientemente ‘gravi’ e ‘significativi’ al momento del primo provvedimento per giustificare una nuova misura.

Cosa significa ‘desumibilità degli atti’ secondo la Corte di Cassazione?
‘Desumibilità’ non significa mera conoscenza storica di alcuni fatti. Per la Corte, questo requisito è soddisfatto solo quando il Pubblico Ministero ha a disposizione un insieme di elementi probatori di tale concludenza e gravità da poter formulare un ‘meditato apprezzamento prognostico’ e richiedere fondatamente una nuova misura cautelare. La semplice presenza di indizi o sospetti non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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