Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5322 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 5322  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 18/07/2023 del Tribunale di Ancona visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Ancona confermava, in sede di riesame, il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona che aveva applicato all’indagato NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 d 1990.
Il Tribunale respingeva in particolare la questione posta dalla difesa della perdita di efficacia della misura cautelare per l’applicazione del meccanismo di retrodatazione di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Secondo la difesa, la decorrenza dei termini di durata della misura cautelare doveva retrocedere alla data del 7 gennaio 2021, nella quale l’indagato era stato arrestato per uno dei reati-fine dell’associazione (capo 61). Per tale titolo l’indagato era stato in custodia cautelare sino alla irrevocabilità della sentenza di condanna (l’ordine di esecuzione era del 27 dicembre 2022).
Il Tribunale riteneva che difettasse uno dei requisiti richiesti per l’operativit dell’invocato meccanismo, ovvero la anteriorità dei fatti (ovvero la partecipazione dell’indagato al reato associativo) rispetto all’emissione del primo titolo custodiale: non erano state allegate dalla difesa concrete circostanze in tal senso e la avvenuta carcerazione per il pregresso titolo non comportava automaticamente la interruzione della condotta criminosa; mentre emergevano elementi di segno contrario, in ordine sia alla perdurante operatività della associazione anche dopo l’arresto dell’indagato e di altri esponenti del sodalizio sia al sostegno economico e legale ricevuto dall’indagato da parte del vertice dell’associazione (il capo aveva anche procurato all’indagato l’abitazione dove era stato ristretto agli arresti domiciliari dall’aprile 2021) sia alla mancanza di comportamenti processuali rivelativi della dissociazione dal sodalizio.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
La motivazione della ordinanza impugnata è censurabile sotto plurimi profili. In primis, il Tribunale ha eluso gli argomenti prospettati dalla difesa al fine di contestare la perdurante adesione del ricorrente al sodalizio (assenza di contatti dal carcere aventi valenza operativa, assenza di corrispondenza e colloqui con esponenti del sodalizio o rivelativi della persistenza del rapporto con il gruppo; mancanza nella contestazione provvisoria della permanenza del reato associativo).
In presenza di tali elementi era compito del Tribunale verificare in concreto tale circostanza.
Invece si è preteso dalla difesa l’adempimento di un onere di allegazione sulla prova positiva di comportamenti dissociativi che andava al di là della “contestazione riguardante l’individuazione del tempo di cessazione della permanenza”, richiesta dalla giurisprudenza di legittimità.
Già la imputazione escludeva la permanenza, specificando soltanto che la condotta era in corso al 29 ottobre 2022 (epoca in cui erano commessi gli ultimi reati satellite).
Il Tribunale ha riproposto inoltre gli stessi argomenti della pubblica accusa, contestati dalla difesa nella richiesta di riesame (si trattava di intercettazioni comunicazioni dal contenuto vago e privo di riscontri in termini di movimentazione di danaro o altra utilità; l’aiuto economico si giustificava per il rapporto di parente con NOME COGNOME; non vi era prova che questi avesse fornito l’abitazione al ricorrente).
Neppure convincente è la motivazione quanto alla capacità del sodalizio di rinnovarsi dopo gli arresti subiti, posto che tale argomentazione nulla prova sulla permanente adesione del ricorrente.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e succ. nnodd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è da rigettare in quanto complessivamente infondato.
 Va premesso che la contestazione cautelare per il reato associativo prevedeva per tutti gli indagati la permanenza del reato ancora in atto alla data del 29 ottobre 2022.
La data di arresto del ricorrente per il primo titolo custodiale (7 gennaio 2021) risulta pertanto antecedente alla cessazione della permanenza del reato relativo al secondo titolo custodiale.
Si tratta quindi di stabilire, ai fini del presupposto del meccanismo della retrodatazione ex art 297, comma 3 cod. proc. pen. dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910), se l’ordinanza impugnata sia censurabile in ordine al tema sottoposto dalla difesa in sede di riesame in ordine alla perdurante adesione del ricorrente al sodalizio dopo la data del suddetto arresto.
Va premesso che si è affermato che, in presenza della contestazione difensiva riguardante la individuazione del tempo di cessazione della permanenza per il reato associativo, il giudice della cautela non può limitarsi a condividere, senza una autonoma verifica, quanto sostenuto dal pubblico ministero ovvero ripiegare sul mero dato formale della data contenuta nella imputazione provvisoria: una esigenza autonoma di verifica si pone in maniera stringente, soprattutto – come osservato dalle Sezioni unite, n. 48109 del 19/07/2018, NOME – nei casi in cui
l’indicazione formale della data di commissione del reato sia poco dimostrativa, perché cumulativamente formulata per decine di soggetti ed in relazione ad un reato che, secondo la stessa prospettazione d’accusa, si sarebbe consumato in più luoghi; in tali casi, in cui pare difficile ipotizzare una permanenza che si consumi contestualmente per decine di indagati in luoghi differenti, è necessario ancorare, al fine di ritenere insussistente il presupposto per l’operatività del meccanismo di retrodatazione di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. peri., a dati concreti l’effettiva persistenza della condotta antigiuridica in ambito associativo oltre la data di emissione della prima ordinanza custodiale.
A tal fine, il Tribunale ha richiamato il principio affermato da questa Corte (Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278840) in tema di retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare disposta per il reato di associazione mafiosa, secondo cui il provvedimento coercitivo che limita la libertà personale dell’indagato per il primo fatto di reato del:ermina una “mera presunzione” relativa di non interruzione della condotta partecipativa, la protrazione della quale, in presenza di serie e concrete allegazioni difensive, deve tuttavia essere desunta da concreti elementi dimostrativi.
Si tratta di orientamento risalente e consolidato, ma elaborato per le associazioni di tipo mafioso, ovvero per fattispecie caratterizzate dalla specificità del vincolo, che, sul piano concreto, implica ed è suscettibile di produrre “una solida e permanente adesione tra gli associati”, non riscontrabile invece rispetto alle associazioni per delinquere ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, che presentano connotazioni “aperte” e ricomprendono ipotesi nettamente differenti anche quanto ad intensità del legame tra gli associati (così, Corte cost., n. 231 del 2011).
Peraltro, nel caso in esame, al di là della citazione del suddetto principio di diritto non del tutto pertinente, vi è da osservare che il Tribunale ha offerto “in positivo” gli elementi per dimostrare la perdurante adesione del ricorrente al sodalizio, non interrotta dall’avvenuta carcerazione, così da rispondere alla difesa che si era limitata a dedurre la mancanza di elementi rivelatori.
A queste argomentazioni del Tribunale, che si presentano non manifestamente illogiche, in quanto coerenti sia con il ruolo svolto dal ricorrente (era il fiduciario e il principale referente dei vertici del sodalizio) sia co connotazioni del sodalizio (che era capace di adeguarsi allo stato di detenzione dei suoi sodali) sia con le evidenze processuali richiamate (ovvero quelle indicate a pag. 211 dell’ordinanza genetica, che davano atto in concreto del perdurante legame associativo anche dopo l’arresto subito dal ricorrente), la difesa si è opposta in questa sede con deduzioni meramente oppositive e generiche.
Quanto poi alla questione della messa a disposizione della abitazione, critica, oltre ad essere generica, non dimostra la rilevanza decisiva del d travisamento sulla complessiva tenuta della motivazione.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in te di spese.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il NUMERO_TELEFONO.