Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3218 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3218 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SAVIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Napoli, con ordinanza del 12/12/2019, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, aveva accolto parzialmente la richiesta, presentata da NOME COGNOME, di corresponsione degli interessi e dell’importo pari alla rivalutazione della somma di euro 396.000,00, già sottoposta a sequestro finalizzato alla confisca atipica ex art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, sin dal 19/09/1994 nell’ambito del procedimento penale celebrato a suo carico per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. e successivamente dissequestrata e restituita a seguito del passaggio in giudicato in data 04/05/2017 della sentenza emessa dalla stessa Corte di appello del 21/04/2016. L’ordinanza della Corte napoletana aveva, in conseguenza, riconosciuto come dovuta a COGNOME la somma di euro 5.193,82 a titolo di interessi e rivalutazione, maturati tra il passaggio in giudicato della predetta sentenza e la concreta restituzione della sorte capitale.
A seguito dell’opposizione dell’interessato, la Corte d’appello di Napoli, con ordinanza del 12/01/2021, aveva revocato il precedente provvedimento, respingendo tutte le richieste del COGNOME.
3. Con sentenza n. 6290 del 05/11/2021, dep. 2022, la I sezione di questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del 12/01/2021. Essa ha iniziato con l’osservare che era illegittima e contraria ai principi generali che regolano il procedimento di esecuzione come delineato dall’art. 667 cod. proc. pen. la disposta revoca, in assenza di opposizione proveniente dalla parte pubblica, dell’ordinanza che aveva riconosciuto ad NOME COGNOME la somma di euro 5.193,82 a titolo di interessi maturati sulla somma di denaro sottoposta a sequestro e poi a confisca in seguito revocata.
Quindi ha osservato: a) che, a seguito della formazione del giudicato sulla statuizione di revoca della confisca, avente ad oggetto l’importo di 369.019 euro, il sequestro ed il successivo provvedimento ablativo erano venuti meno con effetti retroattivi sin dall’imposizione della prima misura cautelare senza che alla privazione del bene subita dal privato potesse assegnarsi valore di illecito, né ai fini dell’ordinamento penale, che di quello civile; b) che era pertanto sorto il diritto della parte espropriata alla restituzione dei propri beni, conseguibili a far data dal momento del passaggio in giudicato della decisione di revoca, a titolo ripristinatorio del patrimonio, aggredito in forza di un atto autoritativo privo di causa originaria, non di risarcimento del danno, stante l’assenza di una qualsiasi forma di responsabilità in capo all’amministrazione pubblica; c) che, alla stregua
della disciplina prevista in tema di confisca di prevenzione, alla quale occorre aver riguardo in assenza di una regolamentazione ad hoc in tema di confisca atipica e tenendo conto della assimilazione dei due istituti, pur distinti per natura e funzione, si rileva che, durante il sequestro, la gestione (in passato ai sensi dell’ad. 2-sexies I. 575 del 1965, applicabile ratione temporis al caso in esame, oggi ai sensi degli art. 35 e 40 d.lgs. 159 del 2011) viene svolta per conto di chi spetta, ossia dello Stato, ove segua la confisca, o del proprietario, qualora si proceda alla restituzione del proprietario, con quanto ne segue in tema di attribuzione degli incrementi prodotti dalla gestione stessa; d) che, con riguardo alle conseguenze della revoca della confisca di prevenzione, dall’ad. 46 d.lgs. 159 del 2011 si trae la conseguenza che il destinatario del provvedimento ablativo ha il diritto di ottenere il ripristino in forma specifica della situazio patrimoniale nelle condizioni antecedenti all’ablazione e ciò mediante la restituzione del bene in natura e, solo nei casi eccezionali in cui ciò non sia praticabile per destinazione speciale, per vendita o per altra causa, il suo equivalente pecuniario; e) che, oltre al bene, oppure al valore pecuniario corrispondente, come risultante dal rendiconto di gestione, il sistema normativo attribuisce il diritto alla rivalutazione in base al tasso di inflazione annua e, per i soli immobili, all’eventuale aggiornamento delle rendite catastali; f) che, in definitiva, il proprietario ha diritto alla restituzione del bene o il valo attualizzato al momento della restituzione; g) che il destinatario del provvedimento di confisca ha, pertanto, diritto a conseguire i frutti civili prodotti da somme di denaro, per loro natura fruttifere; h) che, quanto alla rivalutazione, non vedendosi in ipotesi di responsabilità da illecito, essa potrà essere riconosciuta soltanto se oggetto di espressa domanda che dia anche conto, fornendone adeguata dimostrazione, del suo maggior importo rispetto ai frutti prodotti. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
4. Decidendo in sede di rinvio, la Corte d’appello di Napoli, con ordinanza del 14/03/2023, in accoglimento parziale della richiesta del COGNOME, ha liquidato in favore dello stesso la somma di euro 281.083,89, a titolo di interessi capitalizzati trimestralmente dal 18/09/1994, ossia dalla data del sequestro, sino al 26/06/2018, data della restituzione della somma oggetto di ablazione. In particolare, per quanto qui rileva, la Corte territoriale, facendo applicazione della giurisprudenza civilistica in tema di conseguenze dell’inadempimento di obbligazioni pecuniarie, ossia dei tipici debiti di valuta, ha ritenuto che l’istante non avesse dimostrato un maggior danno rispetto a quello risarcito attraverso l’attribuzione degli interessi legali.
5. Nell’interesse del COGNOME è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con il quale si denunciano vizi motivazionali e violazione di legge, per non avere la Corte territoriale fatto applicazione dei principi di diritto enunciati dalla sentenza di annullamento con rinvio, rilevando: a) che l’esame della motivazione di quest’ultima rivelava che era stata disattesa la tesi per la quale il COGNOME sarebbe stato titolare di un credito di valuta, dal momento che non si spiegherebbe altrimenti l’accoglimento del motivo di ricorso nel quale si qualificava il credito come di valore; b) che la somma di euro 396.019 esprime unicamente l’equivalente monetario dell’ammontare complessivo delle rimesse in dollari ricevute dai genitori; c) che soltanto il riconoscimento anche della rivalutazione, con applicazione dell’art. 46 d.lgs. 159 del 2011, avrebbe consentito di realizzare pienamente l’effetto ripristinatorio e restitutorio assicurato dalle disposizioni menzionate dalla sentenza di annullamento con rinvio; d) che dal prospetto di calcolo redatto dal perito emergeva che la somma di euro 326.067,00, ottenuta rivalutando il capitale iniziale e gli interessi calcolati ai sensi dell’art. 40, comma 5-quinquies, d.lgs. 159 del 2011, è superiore a quella di euro 281.083,89, ottenuta con la mera applicazione degli interessi overnight capitalizzati trimestralmente; e) che la sentenza di annullamento con rinvio non richiedeva la dimostrazione di un maggior danno ai sensi dell’art. 1224 cod. civ.; f) che, come detto, proprio dai calcoli del perito emergeva che la rivalutazione era di importo maggiore rispetto agli interessi legali; g) che, peraltro, in assenza di un rendiconto attinente alla gestione di denaro della quale si tratta e di una valutazione dell’intera, originaria consistenza del patrimonio oggetto di sequestro, prima, e di confisca, poi, doveva ritenersi certo che le originarie rimesse dei genitori del COGNOME non erano fisicamente presenti nel patrimonio oggetto di ablazione nel 1994 né potevano esserlo; h) che, alla stregua della stessa consulenza tecnica, nel periodo dal 01/01/2012 al 29/06/2018, gli interessi maturati sono stati neutri mentre la rivalutazione, nello stesso periodo, ammontava ad euro 32.077,55. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
6. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
L’esame analitico dello svolgimento del processo rende più agevole l’individuazione dei punti fondamentali da tenere presente ai fini della decisione. Indipendentemente dalla trattazione di carattere generale svolta, la sentenza di annullamento con rinvio, ha, con estrema nettezza, chiarito, con specifico riguardo al caso di specie: a) che l’integralità della tutela ripristinatoria impone di restituire i frutti civili prodotti da somme di denaro, per loro natura fruttifere, che sarebbero stati percepiti dal proprietario, in assenza della misura ablatoria; b) che «discorso diverso deve farsi quanto alla rivalutazione: non vertendosi in ipotesi di responsabilità da illecito, la rivalutazione delle somme di denaro da restituire potrà essere riconosciuta soltanto se oggetto di espressa domanda che dia anche conto, fornendone adeguata dimostrazione, del suo maggior importo rispetto ai frutti prodotti».
Ora, rispetto a tale indicazione, che, in effetti, orienta verso la qualificazione dell’obbligazione restitutoria come di valuta e non di valore (ma il tema non è decisivo), il giudice del rinvio non poteva che arrestarsi, nel senso che era appunto chiamato a verificare l’eccedenza della rivalutazione rispetto agli interessi, calcolati, peraltro, con una capitalizzazione trimestrale.
Il provvedimento impugnato, richiamando l’assenza di una prova del maggior danno (maggiore rispetto agli interessi, secondo lo schema dell’invocato art. 1224 cod. civ.), ha escluso ogni altra spettanza.
Le censure svolte in ricorso, rispetto all’argomento indicato, che rappresenta la reale ratio decidendi, svolge considerazioni generiche e non concludenti sull’omessa analisi critica del rendiconto di gestione, sul procedimento di determinazione della somma e sulla provenienza della provvista, per poi, quando si impegna nel tema dei calcoli, svolgere, in termini aspecifici, un confronto tra interessi e rivalutazione che viene parametrato non sull’intero periodo considerato dalla Corte (ossia, dal 18/09/1994 sino al 26/06/2018), ma prendendo le mosse dal 01/01/2012.
Ne consegue che difetta un apparato critico idoneo a dimostrare il mancato rispetto del ricordato principio di diritto, la cui attuazione era stata rimessa al giudice del rinvio.
Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 19/10/2023