Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20255 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze
nel procedimento a carico di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Arezzo il 29/11/1954
COGNOME NOME nata a Arezzo 1’11/09/1961
avverso la sentenza del 5/12/2024 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Arezzo visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Arezzo; letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. GLYPH Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Arezzo ha applicato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME con sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen. la pena di due anni di reclusione e disposto la confisca della somma di euro 24.029,58, per il reato di cui agli artt. 110, 81, secondo comma, 314 cod. pen., per essersi appropriati nelle qualità di incaricati di pubblico servizio, il COGNOME quale presidente e la COGNOME quale componente del Consiglio direttivo della associazione RAGIONE_SOCIALE Riguttino 0.D.V., dell’importo complessivo di 62.230 euro, secondo la nuova imputazione riformulata dal Pubblico Ministero in sede di patteggiamento, pari alle differenze lucrate per effetto della locazione di immobili di loro proprietà in luogo delle precedenti locazioni immobiliari per importi più bassi dei locali in uso all’associazione o, nel caso del garage, prima concessi all’associazione ad uso gratuito, oltre che delle somme (totale 2.250,00) versate a COGNOME NOME a titolo di rimborso spese non dovute, tra gennaio 2018 e maggio 2022.
2. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Firenze ha proposto ricorso, articolando un unico motivo per violazione di legge in difetto della restituzione integrale del profitto del reato prevista dall’art. 444, comma 1-ter cod. proc. pen. quale condizione di ammissibilità per la richiesta di patteggiamento nei reati contro la pubblica amministrazione.
A tale proposito si richiama la giurisprudenza di legittimità che ritiene tale vizio non rientrante nei limiti di impugnazione del patteggiamento previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., in quanto afferente alle condizioni di ammissibilità di accesso al rito (cfr. Cass, Sez. 6, n. 27606 del 16 maggio 2019, Rv. 276219).
Si rappresenta che la disposta detrazione dall’importo del profitto di somme che per stessa valutazione del G.i.p. non avevano nulla a che fare con il reato ha comportato la ingiustificata riduzione del profitto del reato del quale è stata disposta la confisca per l’importo ridotto di euro 24.029,58.
Si richiama, poi, la sentenza COGNOME della Sez. 6, n. 9990 del 25 gennaio 2017 che ha rilevato che l’effetto dell’adempimento della condizione processuale di ammissibilità del rito da un lato impedisce all’imputato di trarre vantaggio economico dal reato e dall’altro gli consente di evitare la confisca del profitto ex art. 322-ter cod. pen. nel caso di sentenza pronunciata ex rt. 444 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Preliminarmente va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di patteggiamento nei reati contro la Pubblica Amministrazione, è ricorribile per cassazione la sentenza pronunciata in difetto della restituzione integrale del prezzo o del profitto prevista ex art. 444, comma 1-ter cod. proc. pen. dal momento che essa ratifica un accordo illegale, concluso in violazione di una norma processuale stabilita a pena di inammissibilità del rito, vizio deducibile ex art. 606, lett. c), cod. proc. pen., secondo il regime generale delle impugnazioni (fra le tante, Sez. 6, n. 19679 del 27/01/2021, Bove, Rv. 281664).
Ciò premesso, si deve osservare che indipendentemente dalla disposta confisca per un importo inferiore a quello risultante dall’imputazione, che sarebbe ricorribile ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen trattandosi di una statuizione che non è inclusa nell’accordo delle parti (cfr. Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348), nel caso in esame è innanzitutto mancata ogni verifica da parte del giudice in ordine all’osservanza della condizione di ammissibilità prevista dall’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen., disposizione introdotta dalla legge n. 69 del 27 maggio 2015, e che prevede la previa integrale restituzione del prezzo o del profitto dei reati quale condizione di ammissibilità della richiesta di applicazione di pena per determinate tipologie di reati contro la P.A., incluso quello cui all’art. 314 cod. pen.
Né si può ritenere che la disposta confisca del profitto del reato possa sanare tale vizio processuale che condiziona la legittimità dell’accordo e preclude l’ammissibilità del rito svoltosi in violazione di legge.
Si deve considerare che la confisca disposta per un importo corrispondente a quello del profitto non equivale all’adempimento di tale condizione processuale che deve precedere la stessa possibilità di accedere al patteggiamento.
Una tale equiparazione deve escludersi per la sostanziale diversità degli effetti economici della restituzione del profitto rispetto alla confisca, atteso ch solo quest’ultima comporta il trasferimento coattivo dei valori oggetto del provvedimento ablativo in favore del patrimonio dello Stato.
Va anche osservato che in sede di patteggiamento l’importo del profitto da restituire, quale condizione di ammissibilità del rito, non può che essere quello che risulta dalla formulazione dell’imputazione, come contestata dal Pubblico Ministero e recepita nella citazione a giudizio.
Ogni diverso accertamento dell’importo del profitto presuppone, infatti, una decisione nel merito dell’accusa incompatibile con la fase processuale in cui si può
avanzare la richiesta di applicazione della pena che precede la dichiarazione di apertura del dibattimento, eccetto il caso in cui l’importo del profitto sia stato preliminarmente rettificato dal Pubblico Ministero in sede di modifica dell’imputazione.
Diversamente accade per le statuizioni sulla confisca che, ove non incluse nell’accordo, possono essere, invece, decise secondo le valutazioni rimesse al giudice che procede, che è chiamato sulla base degli atti di indagine a verificare la sussistenza dei relativi presupposti, oltre che a determinarne l’importo e a precisare, ove possibile, le quote del profitto imputabili a ciascuno dei concorrenti del reato secondo le regole fissate dalla recente decisione delle Sezioni Unite n. 13783 del 26/09/2024, depositata 1’8 aprile 2025, Rv. 287756-01.
A tale proposito con detta sentenza è stato affermato il principio secondo cui nel caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca deve essere disposta nei confronti di ciascun concorrente limitatamente a quanto dal medesimo conseguito, il cui accertamento costituisce oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti e, solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, è legittima la ripartizione in parti uguali.
In conclusione, non può essere assimilata la decisione sulla confisca, emessa in sede di patteggiamento all’esito del vaglio circa la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della richiesta di pena concordata dalle parti, con la condizione preliminare di accesso al rito prevista a pena di inammissibilità della richiesta di patteggiamento dall’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen. nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis del codice penale.
Neppure ha rilevanza, nel caso di specie, stabilire se il denaro o gli altri beni sottoposti a confisca in misura equivalente all’importo del profitto siano stati oggetto di materiale apprensione attraverso un provvedimento di sequestro per un importo corrispondente a quello del profitto, proprio per la non equipollenza degli effetti della restituzione del profitto a quelli della confisca.
Nel caso del peculato la restituzione del profitto va operata nei confronti dell’ente pubblico danneggiato dall’indebita appropriazione, mentre il sequestro preventivo è funzionale all’adozione della confisca che comporta il trasferimento coattivo dei beni nel patrimonio dello Stato, e quindi non in favore dell’ente depauperato dal peculato.
Sebbene la restituzione del profitto quale condizione di ammissibilità del patteggiamento escluda la possibilità di disporne la confisca all’esito del giudizio, ciò non giustifica a contrario il ragionamento opposto che volesse equiparare la
confisca del profitto alla restituzione del profitto, quale suo equipollente, con il conseguente venire meno dell’interesse all’impugnazione da parte del pubblico ministero.
Se è vero che la confisca del profitto del reato non può essere disposta nel caso di restituzione integrale della somma illecitamente ottenuta dal reato, poiché tale comportamento elimina in radice l’oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplicazione afflittiva contrastante i principi costituzionali (Sez. 6, n. 15847 del 05/02/2019, COGNOME COGNOME, Rv. 275543), non è altrettanto vero che la confisca del profitto, ove disposta, abbia un effetto sanante rispetto alla inosservanza della condizione di ammissibilità del rito del patteggiamento prevista dall’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Infatti, mentre il conseguimento del profitto del reato deve necessariamente permanere fino al momento dell’applicazione della sanzione, in ossequio al principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa, la restituzione del profitto all’ente vittima del peculato ha natura ed effettivi diversi dalla confisc e, quindi, non può mai essere equiparata alla misura ablativa, neppure se i beni che integrano il profitto siano stati sottoposti a sequestro e siano stati, perciò, già materialmente sottratti alla disponibilità dell’autore del reato.
Quanto, poi, alla impossibilità dedotta da parte della difesa dell’imputato COGNOME di procedere alla restituzione del profitto all’associazione che ne ha subito la relativa perdita economica, dopo l’estinzione dell’ente, si tratta di un profilo di fatto che doveva essere previamente verificato dal giudice chiamato a decidere sull’ammissibilità della richiesta di patteggiamento, non essendo evidentemente sufficiente la messa in liquidazione dell’ente per escludere la possibilità di restituzione del profitto.
2.1 A tale riguardo occorre, però, anche chiarire che la finalità dell’istituto previsto dall’art. 444-comma 1-ter cod. proc. pen. non è riparatoria o risarcitoria, ma risponde alla stessa finalità sottesa alla confisca del profitto o del prezzo del reato, seppure con le peculiarità proprie di una condizione processuale la cui osservanza è rimessa alla libera scelta dell’imputato.
La ratio della norma è, infatti, solo quella di escludere che l’autore dei reati contro la pubblica amministrazione, tassativamente indicati (artt.314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis cod. pen., tra cui non rientra l’art. 321 cod. pen., ovvero la corruzione dal lato attivo del corruttore come rilevato anche nell’ordinanza della Corte Cost., 6 luglio 2022, dep. 25 luglio 2022, n. 194), possa fruire dei benefici connessi al patteggiamento (riduzione della pena), ove non abbia provveduto a rinunciare al vantaggio economico derivante dal reato con riferimento al profitto o al prezzo del reato.
Non ha, quindi, di mira la tutela dell’interesse del soggetto danneggiato dal reato, ovverosia la finalità di assicurare la riparazione del danno da questi subito per effetto del reato commesso.
Ma persegue la finalità di impedire che l’autore del reato possa trarre beneficio dalla commissione del reato, conservando il vantaggio economico da esso conseguito, ma al solo limitato scopo di precludergli l’accesso al rito del patteggiamento, senza le finalità sanzionatorie, preventive o punitive, tipiche della confisca.
D’altra parte, essendo una condizione processuale che precede l’accertamento di responsabilità, appare evidente che la sua finalità non possa mai essere anticipatoria della confisca che segue necessariamente la condanna, cui è equiparata la sentenza di patteggiamento agli effetti della confisca.
2.2 La restituzione del prezzo o del profitto del reato, quale condizione processuale di ammissibilità del rito del patteggiamento, va modulata perciò con riguardo alla imputazione per la quale è stata esercitata l’azione penale e il suo adempimento prescinde dall’interesse personale dell’avente diritto alla restituzione, essendo al contrario rilevante il solo interesse dell’imputato ad accedere al patteggiamento, con la conseguenza che anche ove la restituzione non sia materialmente o giuridicamente possibile, come nel caso di estinzione dell’ente depauperato dal peculato o di morte della persona danneggiata (si pensi al peculato commesso dal tutore dell’incapace, o al sopravvenuto decesso della vittima della concussione), tale condizione trova comunque applicazione, essendo sempre suscettibile di esecuzione nelle forme del deposito presso la cancelleria del giudice che procede.
Tenuto conto che la finalità dell’istituto è solo quella di escludere dall’ammissione al beneficio del patteggiamento coloro che – in base all’imputazione – si assume abbiano conservato la disponibilità del vantaggio illecito derivante dal reato, è essenziale che la somma di denaro corrispondente al profitto o al prezzo del reato sia comunque depositata presso la cancelleria del giudice nelle forme dell’offerta reale.
La restituzione del profitto o del prezzo del reato, quale condizione di ammissibilità del patteggiamento, resta in ogni caso affidata al vaglio del giudice che procede, che potrebbe all’esito della definizione del patteggiamento non disporla ma provvedere, in alternativa, alla confisca dei valori offerti in restituzione, ove ne ricorrano i presupposti di legge.
Ciò vale sempre nel caso in cui il reato sia la corruzione, atteso che diversamente dal peculato o dalla concussione, la restituzione del prezzo o del profitto del reato non potrebbe mai essere eseguita, non essendovi un soggetto danneggiato dal reato, trattandosi di un reato a concorso necessario che esclude
il diritto alla restituzione da parte del corruttore nei confronti del corrotto, con conseguenza che la somma offerta in restituzione dal corrotto per poter accedere al patteggiamento sarebbe sempre e solo suscettibile di confisca in caso di accoglimento della richiesta di pena patteggiata.
2.3. Si deve, in definitiva, ritenere che la restituzione del profitto o del prezzo del reato prevista dall’art. 444-comma 1-ter cod. proc. pen. non vada intesa come la retrocessione di quanto ricevuto per commettere il reato allo stesso soggetto da cui è stata ricevuta (come nel caso della corruzione), né come ristoro o riparazione della perdita economica subita dal soggetto danneggiato dalla indebita appropriazione (nel caso del peculato) o dalla vittima dell’abuso costrittivo del pubblico ufficiale (nel caso della concussione), ma come un atto dispositivo di carattere patrimoniale che dia conto della dismissione del vantaggio economico, con la messa a disposizione della somma corrispondente al prezzo o al profitto del reato quale condizione processuale per poter accedere al rito del patteggiamento, affidando poi all’autorità giudiziaria la valutazione della destinazione da dare in concreto a tale offerta.
Resta inteso, ovviamente, che non essendo previste dalla norma di legge in esame forme vincolate per l’adempimento della condizione processuale per l’accesso al patteggiamento, la verifica della sua osservanza è rimessa alla cognizione del giudice che procede, non potendosi escludere che anche forme diverse dall’offerta reale di cui all’art. 1209 cod. civ. possano, a seconda dei casi concreti, fare ritenere soddisfatta tale condizione.
Risulta fondato anche il profilo dedotto con riferimento alla illogicità della motivazione in punto di determinazione del profitto del reato, avendo il Giudice di merito decurtato, a titolo di compensazione, delle somme versate dall’amministratore per debiti dell’associazione (circa 37 mila euro) che non hanno alcuna attinenza con le condotte di peculato contestate, essendo pacificamente afferenti ad altri distinti rapporti, trattandosi di debiti dell’associazione paga dall’amministratore quale soggetto responsabile sul piano civile delle obbligazioni assunte dall’ente stesso.
A tale riguardo, sebbene si tratti di un motivo che resta assorbito dall’accoglimento di quello attinente alla mancata osservanza della condizione di ammissibilità del rito, giova comunque ricordare, per il prosieguo del giudizio, che il piano della responsabilità penale e delle relative sanzioni non può essere confuso con quello delle responsabilità civili, essendo del tutto irrilevante ai fini dell determinazione del profitto del reato la circostanza che l’ente giuridico vittima del peculato sia assistito da garanzie fideiussorie rilasciate dallo stesso amministratore, ritenuto responsabile dell’appropriazione indebita.
È nota la nozione di profitto “netto” già delineata dalla giurisprudenza di legittimità per delimitare il profitto confiscabile nel caso in cui il reato veng
consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico (Sez. U, n. 26654 del
27/03/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 239924), così da stornare quelle utilità
eventualmente conseguite dal danneggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’autore del reato delle prestazioni che il contratto gli impone.
Nel caso di specie, tuttavia, la condotta appropriativa per finalità personali non ha alcuna attinenza con gli esborsi effettuati dall’amministratore per assolvere
ai propri obblighi contrattuali assunti verso l’ente, senza correlazione con il reato per cui si procede.
Ciò non esclude che, ai fini della determinazione dell’importo del profitto suscettibile di confisca, assumano rilievo anche le condotte risarcitorie o
riparatorie dell’imputato, dovendosi modulare la misura ablatoria in ragione del profitto “attuale” al momento della sua applicazione e, dunque, al netto
delle restituzioni poste in essere dal reo in favore della vittima e da questa accettate, scorporando quella parte di utilità non più costituente illecito
accrescimento patrimoniale (cfr. Sez.6, n.34290 del 17/05/2023, COGNOME, Rv. 285175).
Ma si deve trattare di somme versate alla vittima del reato a titolo di riparazione e restituzione delle somme indebitamente sottratte, e non anche di esborsi effettuati verso il medesimo soggetto danneggiato in adempimento di altri e differenti rapporti debitori assunti nei suoi confronti.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Giudice indicato in dispositivo, per difetto della condizione di ammissibilità della richiesta di applicazione della pena prevista dall’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Arezzo.
Così deciso in Roma il 9 aprile 2025 Il Consi liere estensore
Il Presidente